Domenica 24 dicembre 2023, IV Domenica di Avvento, Vigilia di Natale
RISCOPRIRE LA TRADIZIONE
Una sessantina di anni fa il “cantautore” fiorentino Riccardo Marasco, in realtà serio cultore di tradizioni popolari della sua Toscana, dedicò un disco al Natale in Terrasanta, immaginando il Bambino che nasce ancora una volta tra noi: e nella presentazione notò come si fosse ormai scoperto che “Gesù Bambino è il miglior agente di commercio del mondo”. Si era, allora, all’alba ancora modesta del consumismo, ma già le cose – a volerle e saperle osservare – apparivano chiare.
Per molto tempo si è andati aventi così: e la Causa per la quale si festeggiava il Natale è andata a poco a poco sbiadendo. Ormai sono in pochi ad andar in chiesa, anche a Natale. Nella cattolica Italia, qualche sacro edificio si riempie abbastanza nella notte del 25 e la mattina seguente: ma sono sempre meno, e fra loro scarseggiano i giovani, i ragazzi. La nostra civiltà ha davvero cambiato pagina.
D’altra parte un vecchio proverbio arabo dice: “Di notte non combattere le tenebre, ma tieni accesa la lampada”.
Teniamo accesa la nostra lampada. Non dimentichiamo il senso della Tradizione. L’antico Albero solstiziale pagano, riscoperto nel Cinquecento da Martin Lutero, ha ormai battuto il buon vecchio Presepio: e i suoi ornamenti hanno progressivamente smarrito ogni riferimento cristiano. È rimasta la pallida cometa, banalizzata in stella (del resto, la “cometa” stessa nella tradizione cristiana è un’innovazione giottesca).
Proviamo, artigianalmente, qualche “restauro tradizionale”. Il vecchio presepio, per esempio…
IL PRESEPIO
Sorpresa. Quest’anno, nessuno ha polemizzato a proposito del presepio. Nessuna maestra democratica ha obiettato che esso potrebbe offendere la sensibilità dei bambini musulmani (anche perché, lo scorso anno, qualcuna ci provò: e molti imam risposero che, al contrario, a loro sembrava che la cosa andasse benissimo); nessun sociologo ha trovato da ridire sul fatto che, in questo modo, si viola la par condicio tra le religioni. Si è naturalmente osservato che tutto ciò può significare due cose: o che gli italiani stanno recuperando il senso della tradizione proprio a partire da qualcosa che appartiene sul serio alla loro identità e alle loro radici; o che, viceversa, in una società sempre più ormai laicizzata il presepio è diventato una presenza residuale, che si può ben lasciar passare inosservata in attesa che si spenga da sola. Se nella seconda ipotesi c’è qualcosa di anche lontanamente fondato, sta a noi cattolici impegnarsi per smentirla: il presepio è una bandiera che non si può abbassare; e la battaglia per mantenerne l’uso è straordinariamente seria.
Ma com’è nato? Anche qui, il discorso sarebbe lungo.
Presepe, Presepio, Capannuccia. Il termine originario latino, indicante qualcosa di chiuso e di recintato, identifica principalmente una greppia, una mangiatoia, ch’è rimasto nel francese crèche e nel tedesco Krippe; mentre gli spagnoli preferiscono riferirsi alla città natale di Gesù, e parlano difatti di Belén. Un caso particolare quello polacco, dove il presepio ha la forma di un nobilissimo castello con guglie e bandiera, sul cui portale si allestisce la scena della Natività. Questi presepi hanno varie dimensioni: da quelle tascabili a quelle alte parecchi metri.
La fonte della rappresentazione è comunque evangelica. È il Vangelo di Luca, 2,7, a dirci che Maria peperit filium suum primogenitum; et pannis Eum involvit, et reclinavit Eum in praesepio. La mangiatoia era collocata, si suppone, in una stalla. Sarebbe poi nata tra i padri una lunga controversia, se quel “presepio”, quella mangiatoia, stava in un “tugurio”, un ambiente riparato come una capanna, oppure in una grotta; quanto ai due compagni animali del bambino, il bue e l’asino, essi non figurano nei Vangeli canonici e paiono corrispondere a un fraintendimento del testo della profezia di Isaia o di quella di Abacuc: la loro presenza è attestata nei Vangeli apocrifi, ma passò molto presto alle raffigurazioni iconiche, come si vede nelle sculture del “sarcofago di Stilicone” nella basilica milanese di Sant’Ambrogio, dell’inizio del V secolo. Si è notato che non l’asino e il bue, bensì l’onagro (l’asino selvatico) e il toro, sono animali sacri al culto di Mithra: e pare che una piccola grotta sacra, un mithraeum, sorgesse a Betlemme nel luogo poi identificato con quello della nascita di Gesù attualmente al centro della cripta della basilica costantiniana della Natività. Tutta la simbolica relativa alla nascita di Gesù rinvia, quanto meno nei Vangeli apocrifi, alla simbolica mithraica della nascita del Saoshiant, il “Rinnovatore”: ma anche un Vangelo canonico, il più antico, quello di Matteo, contiene simboli che rinviano indirettamente al mithraismo come i magi e la stella. Nel 614 d.C., quando i sasanidi persiani, di religione mazdea, conquistarono Betlemme, non distrussero la basilica della Natività: secondo la tradizione cristiana, in quanto videro in essa effigiati i magi in abito persiano. Ma forse essi scorsero, in realtà, un’analogia ancora più profonda tra il culto lì prestato al Bambino e il mito del neonato Mithra di quanto i cristiani sapessero o volessero ammettere.
Ma anche questa è una faccenda complessa. Probabilmente, durante la reazione pagana voluta dall’imperatore Giuliano, dal 361 al 362, si tentò di obliterare il culto di Gesù Bambino (ammesso – e non si sa quanto concesso – ch’esso avesse a sua volta obliterato un precedente culto mithraico) impiantando nel luogo della Sua nascita un santuario di Adone, il mitico amante di Afrodite-Astarte a sua volta, secondo la tradizione dei suoi fedeli, morto e risorto. Ma, a partire almeno dagli ultimi tre decenni del IV secolo, Betlemme era tornata ad avere il suo santuario della Natività, presso il quale s’installò san Gerolamo attendendo alla sua traduzione latina della Bibbia.
Il presepio, come noi lo conosciamo, nacque tardivamente, ma preceduto da un buon numero di raffigurazioni di Maria che tiene tra le braccia il Bambino e che rinvia con ciò ad analoghe raffigurazioni soprattutto isiache (lo si vede bene nella pittura parietale romana delle catacombe di Priscilla, di ca. il 230), dell’adorazione dei pastori, di quella dei magi. Un altro tema di grande rilievo: dei magi parla, tra gli evangelisti canonici, il solo Matteo: ma la loro leggenda è andata accrescendosi nei secoli soprattutto grazie alle narrazioni evangeliche apocrife e all’attenzione che hanno loro dedicato apologisti e Padri della chiesa, da Tertulliano a Isidoro di Siviglia a Beda il venerabile fino alle grandi ricapitolazioni due-trecentesche di Giacomo da Varazze e di Giovanni di Hildesheim.
Le rappresentazioni sacre natalizie ed epifaniche fecero ingresso nella pratica cultuale della Chiesa d’Occidente a partire dall’VIII secolo, insieme con quelle pasquali: sono le processioni-rappresentazioni a carattere liturgico-spettacolare denominate per esempio Officium Stellae, Officium Pastorum, Officium Trium Regum, che in Inghilterra si chiamarono miracles plays, in Germania geistliche Schauspiele, in Francia mystères, in Spagna autos sacramentales. Si tratta del nucleo del futuro dramma liturgico, nel quale sacerdoti ed accoliti interpretavano angeli e pastori; e dei “tropi” liturgici che divennero poi, appunto, veri e propri Officia. È stata ipotizzata una qualche continuità tra queste cerimonie e la versione popolare dei cortei liturgici pagani, specie di quelli in onore – ancora – di Mithra: non è improbabile che vi sia in effetti una continuità, ma ignoriamo le fasi e i caratteri del momento acculturativo nel quale queste cerimonie, mantenendo in una certa misura il loro carattere pagano, si cristianizzarono.
Certo comunque Francesco, nel 1223, rientrato da poco dalla crociata – durante al quale non aveva però potuto visitare né Gerusalemme, né Betlemme – organizzò nella cittadina umbra di Greccio una specie di sacra rappresentazione collettiva cui partecipò l’intera cittadinanza, riunita attorno alla messa effigiata dal cardinale Ugolino di Segni. Francesco, in quanto diacono, cantò il Vangelo, recitò l’omelia e pose il Bambino nella mangiatoia. Tommaso da Celano e Bonaventura hanno raccontato l’evento, che la scuola di Giotto ha effigiato nella basilica superiore di Assisi: ma i particolari della cerimonia non sono concordi. Ad ogni modo, è da lì che nasce il presepio italiano, diffuso inizialmente dall’Ordine francescano. Da allora il termine praesepe cominciò ad espandersi rispetto al suo primitivo e più ristretto valore, mentre le rappresentazioni della grotta o capanna (o grotta-capanna), della Sacra Famiglia, dei due animali e dei pastori divenivano sempre più presenti ma, collegati con la Natività, si andavano distinguendo dai momenti “epifanici” del viaggio-cavalcata dei magi e dall’adorazione del Bambino da parte di essi. Tecnicamente, gli angeli sono correlati ai pastori giudei, ai quali hanno annunziato la nascita del salvatore, mentre la medesima forza divina che è in essi si esprime, riguardo ai magi – che sono pagani e astrologi – nella stella.
Con il Trecento abbiamo Natività e Adorazioni dei magi addirittura monumentali, come si vede nelle grandi statue trecentesche di legno policromo di Simone dei Crocifissi nell’abbazia di Santo Stefano a Bologna. Molti di questi presepi erano semoventi, cioè dotati di ruote o di braccia articolate, come del resto le immagini della Passione: è famoso quello realizzato in Santa Maria Maggiore, a Roma, da Arnolfo di Cambio nel 1280. Dal punto di vista invece del rilievo paesistico, fu importante quello di Giovanni e Pietro Alamanno, terminato nel 1480, e ora a Napoli in San Giovanni in Carbonara; altri presepi illustri si trovano a Leonessa, a Matera, ad Altamura, a Putignano. Nell’Italia settentrionale si ha l’importante ciclo del Sacro Monte di Varallo presso Varese.
Il primo vero e proprio presepio meccanico fu quello costruito nel 1588 per il principe elettore Cristiano di Sassonia. Frattanto, fino dal 1534, san Gaetano da Thiene aveva fondato il primo grande presepio monumentale ed espresso la speranza che un presepio fosse costruito “in ogni casa”: il che dette avvìo alla manifattura diffusa dei figurinai artigiani costruttori di figurine in gesso, cartapesta o legno. Le principali scuole di presepio artistico si svilupparono a Napoli, appunto, e a Genova. Oggi l’arte dei “figurinai” prospera soprattutto in certe città o regioni d’Italia quali Napoli, la Lucchesia e Garfagnana, il Tirolo. Sono inoltre ben noti i santons provenzali.
Era pratica almeno medievale il raffigurare nelle scene di presepio una qualche parte di monumento antico, come sarcofagi o colonne, a indicare come il cristo nascente rivivificasse le antiche tradizioni perdute: dai padri theatini di Napoli in poi, si fissò la tradizione di porre la mangiatoia del Bambino ai piedi di una grande colonna classica, memoria forse del tempio napoletano di Castore e Polluce sulle rovine del quale si era fondata la basilica di San Paolo maggiore, poi dedicata a san Gaetano. Il quartiere napoletano dei figurinai si addensa appunto attorno alla piazza di san Gaetano.
Oggi, i presepi conoscono un’infinità di variabili regionali e vengono di continuo “attualizzati”: a Napoli, quest’anno, si trovano anche le figurine delle vere o supposte amichette del presidente Berlusconi. Le saghe che si celebrano attorno ai presepi inanimati, o a quelli meccanici, si alternano dall’arco alpino alla Sicilia con le Sacre Rappresentazioni sempre collegate alle tradizioni regionali e di rado “storicizzate”. La ragione di questa “insensibilità filologica” è in realtà molto seria: si tratta, ogni anno, non già di ritrarre il panorama della Betlemme di duemila anni fa, bensì di sottolineare come il Bambino rinasca ogni anno, e rinasca qui, tra noi, tra la nostra gente perché è uno di noi. Certo, la campagna romana e la Ciociaria non sono più quelle dei presepi che si possono ammirare in piazza del popolo, e questo vale anche per la montagna abruzzese o per quella tirolese. Ma il principio teologico è sempre quello inaugurato a Greccio da Francesco, allorché parve che il Bambino vivesse tra le sue mani. Anche l’albero di Natale, d’origine germanica e luterana, ormai è di casa tra noi. Ma restiamo italiani: non dimentichiamo il presepio.
Franco Cardini
Bibliografia
La bibliografia sul presepio è immensa e molte sono le pubblicazioni anche recentissime. Tra esse ci limitiamo a segnalare: Il Natale di Francesco a Greccio, a cura di A. Cacciotti, Milano, Biblioteca Francescana, 2022; M. Bettini, Il Presepio. Antropologia e storia della cultura, Torino, Einaudi, 2023; C. Frugoni, Il Presepe di San Francesco. Storia del Natale di Greccio, Bologna, il Mulino, 2023; M. Nioli, E. Moro, Il presepe. Una storia sorprendente, Bologna, il Mulino, 2023.