Minima Cardiniana 450/3

Domenica 14 gennaio 2024
II Domenica del Tempo Ordinario; San Felice di Nola, San Nino

IL NULLA CHE AVANZA
DENTRO IL CUORE DI TENEBRA
di David Nieri
Sono due notizie che probabilmente a pochi interessano, episodi all’apparenza di secondo piano – o addirittura di terzo, visto e considerato quel che sta accadendo in Medioriente, in Ucraina e in varie altre parti del globo – ma che segnano, a loro modo, una “continuità” rispetto all’anno da poco conclusosi, inaugurando così il 2024 nel segno di quella che Hannah Arendt definiva la “banalità del male”, una sorta di assuefazione all’orrore nelle sue infinite diramazioni.
Due tristi storie che vedono coinvolti gli animali, straordinarie creature che lo stesso san Francesco definiva “fratelli minori”: se il 2023 si è concluso con l’orribile morte, dopo quattro giorni di agonia, del gattino Leone – scuoiato vivo “per divertimento” ad Angri, in Puglia, lo scorso 10 dicembre –, il 2024 appena iniziato non ha fatto sconti al povero Aron – un pitbull –, bruciato vivo dal suo padrone a Palermo perché “troppo aggressivo”. Non ce l’ha fatta, Aron, a resistere alle ustioni riportate sull’80% del corpo e ai gravi danni causati agli organi interni.
Alcuni giorni fa ad Alberobello, in provincia di Bari, un gatto è stato colpito da un calcio sferrato da una ragazzina che non ha mancato di accompagnare con risate divertite una scena che non merita alcun commento: Grey, questo il nome del micio, è finito nelle acque gelide della fontana del paese morendo annegato. L’orrore, però, non finisce qui. La scena è stata filmata da una persona presente, probabilmente un’amica della ragazzina, che poi ha postato il video sui social con tanto di didascalia: “Ciao amo’, beccati un po’ di notorietà”. Chiamatela, se volete, “condivisione”, l’unica possibile in tempi di sonno profondo della ragione.
Certo, le notizie di questi giorni sono ben altre, ce ne rendiamo conto. Ma chi scrive è fermamente convinto che sia impossibile stilare una classifica dell’orrore e che esista altresì un profondo legame tra il dolore e la sofferenza inflitti volontariamente a una creatura innocente e indifesa e quello causato a un altro essere umano, magari approfittando della sua debolezza (il prosperare di bullismo e baby gang ce lo dimostrano ampiamente e con sempre maggior frequenza). Personalmente, sento di sposare appieno il pensiero di Arthur Schopenhauer, strenuo difensore dei diritti degli animali, il quale sosteneva che “la pietà per gli animali è connessa alla bontà del carattere: un uomo crudele nei confronti degli animali non può essere un uomo buono”.
I due episodi sopra riportati non rappresentano, purtroppo, casi isolati, ma riflettono, in tutta la loro devastante violenza, una delle tante piaghe che assillano il nostro presente privato di autorità e modelli educativi di riferimento. A farne le spese sono soprattutto le giovani generazioni, ormai smarrite nella realtà virtuale dell’apparenza ossessivo-compulsiva del Nulla che Avanza oltre il monitor.
Il Nulla che Avanza, appunto.
Viviamo, da alcuni anni, nella società delle belle parole, della retorica del vuoto, del significante senza significato, delle omelie laiche tradite e immediatamente raggirate dalle azioni; della realtà fittizia dei convegni, degli eventi senza soluzione di continuità, dove il bene si redime tra quattro mura per poi disperdersi nel grigiore dell’irrealtà evanescente dello slogan d’occasione. Navighiamo a vista nell’imposizione del politicamente corretto e del politicamente corrotto, nella dittatura dell’inclusività che ti accoglie solo se ti adegui, escludendoti altrimenti: perché devi credere, devi obbedire acriticamente alla nuova Religione Progressista, ma non combattere. La lotta tra bene e male non contempla zone grigie di riflessione: è tutto ben fissato nei nuovi comandamenti che cadenzano la ricerca dell’infelicità. Perché il nostro Occidente è infelice, e spesso sopravvive “grazie” agli antidepressivi.
A proposito dell’autenticità dei “modelli di riferimento” dell’epoca del selfie, sappiamo bene che i personaggi pubblici si affidano a spin doctors che dosano le parole, filtrano i contenuti, disegnano l’abbigliamento e redigono i messaggi da fornire in pasto agli aficionados che ancora credono alle favole, purché emendate da eventuali contenuti offensivi: che i sette nani si scelgano un’altra colf; anzi no, uno sguattero di sesso maschile, in nome della sacrosanta parità di genere.
Non solo: i crimini contro la vita – e lo sono, dal più grande al più piccolo – non si chiamano più errori, come cantava Pierangelo Bertoli, augurandosi che almeno il vento (del cambiamento) potesse soffiare ancora. No, ormai sono diventati “errori di comunicazione”: e gli influencers – molti dei quali veri e propri mostri 2.0 – sono “costretti” a ricorrere alle “migliori” agenzie di comunicazione per tentare di salvare il salvabile (in genere un impero finanziario) all’indomani di un misfatto e ricostruirsi la verginità della fama e dell’immagine patinata.
Il fatto è che la straordinaria società del benessere plasmatasi a partire dal secondo dopoguerra seguendo i canoni, i criteri e i dettami di un progresso declinato secondo le direttive del dio degli inglesi – sarebbe stato meglio non crederci mai – sembra che adesso si stia lacerando sotto le stesse prerogative che hanno consentito il suo pieno realizzarsi. Un modello di vita concentrato sulla performance, sulla competizione e di conseguenza sulla sopraffazione ama poco il prossimo suo ma tanto se stesso. E così la barbarie dell’individualismo, del relativismo, del nichilismo e della bulimia consumistica ha avuto la meglio pervadendo ogni angolo di esistenza, da quel che resta dell’ambiente familiare alla scuola, fino ai luoghi di lavoro, sciogliendo il deterrente di qualsiasi filtro morale e dunque sdoganando le più diverse (e subdole) forme di violenza, alla quale i modernissimi maître à penser, profondi conoscitori dello scibile umano, pensano di poter dare un nome, isolando il problema a valle senza pensare che è proprio a monte che inizia la valanga. E a monte prosperano, spesso beatamente, tutti coloro che non possono sottrarsi al “contratto” perché tengono famiglia anche se sono single, così corroborando un sistema malato e incancrenito che sta disseccando alle radici i presupposti dell’umana e civile convivenza.
Non so se esista una via d’uscita a questa modernità che senza Dio si è privata anche degli uomini di buona volontà, a parte qualche rara eccezione. Non so se il tempo sia ancora dalla nostra parte. So per certo che la prospettiva del degrado è ormai ben fissa all’orizzonte, senza che la siepe – quella di un benessere raggiunto e poi perduto – ne possa più escludere il guardo.
D’altronde, anche alla luce del conflitto che sta martoriando Gaza, continuo a non capire quale sia, oggi, la civiltà e quale la barbarie. Quando Joseph Conrad raccontava, con la “voce” di Charles Marlow, il cuore di tenebra, lo faceva con il protagonista a bordo di un’imbarcazione, la Nellie, ancorata sul fondo del Tamigi, al cospetto di un orizzonte nero come la pece, sebbene rischiarato qua e là da luci “artificiali”. Dov’è l’oscurità del male, sembrava chiedersi: nelle nostre città o nelle profondità dell’Africa?