Domenica 28 gennaio 2024
San Tommaso d’Aquino, Quarta Domenica del Tempo Ordinario
ARTE, ARTE E ANCORA ARTE
CHAGALL. IL COLORE DEI SOGNI
di Eleonora Genovesi
“Un quadro deve fiorire come qualcosa di vivo. Deve afferrare qualcosa di inafferrabile: il fascino e il profondo significato di quello che ci sta a cuore” (Marc Chagall)
Ed è proprio il cuore a guidare quel ragazzo di Vitebsk nel corso della sua lunga e feconda carriera artistica, consentendogli di raggiungere un’assoluta ed unica libertà espressiva.
In un periodo storico contraddistinto dalla nascita delle Avanguardie Artistiche, Marc Chagall, giunto a Parigi nel 1912 dalla natia Russia, nella capitale francese rivaluta con la sua arte il valore del linguaggio dell’anima. Chagall fa riflettere su quella parte dell’arte che non è frutto del logos, del ragionamento della razionalità. E qui lascio la parola a lui: “Impressionismo e Cubismo mi sono estranei. L’Arte, mi sembra, è innanzitutto uno stato d’animo. L’anima di tutti è santa, di tutti i bipedi in tutti i luoghi della terra. Soltanto il cuore onesto è libero, il cuore che ha la sua proprietà logica e la sua ragione. L’anima che è arrivata da sola a quello stadio, detto dagli uomini in letteratura, illogicità, è la più pura”.
Ed è proprio su questo aspetto dell’arte di Chagall che si concentra la mostra in corso al Centro Culturale Candiani di Mestre, mostra che è stata il mio regalo natalizio.
L’esposizione si focalizza sulla natura rivoluzionaria dell’arte di Chagall, quella della pittura vista come sogno e come trionfo della fantasia creatrice.
Con Marc Chagall si entra nell’universo dei colori, del sogno e di quella irrazionalità che si fa vessillo della libertà interpretativa di un artista.
La mostra si articola in sei sezioni che consentono di ammirare, oltre a dei capolavori provenienti dalla Ca’ Pesaro, altre opere significative dell’artista provenienti da prestigiose collezioni internazionali quali l’Albertina di Vienna, il Musée National Marc Chagall di Nizza, il Museum of Fine Arts di Budapest e l’Israel Museum di Gerusalemme.
La peculiarità di questa mostra, che ripercorre il viaggio fantastico di Chagall nell’arte del Novecento, è quella di aver fatto di lui un filo rosso che collega opere ed artisti che hanno condiviso temi o che sono stati influenzati dal suo eccezionale iter artistico.
Si parte dal Sogno Simbolista, sezione dedicata al simbolismo di natura onirica di artisti quali Odilon Redon, Gaetano Previati, Adolfo Wild o Cesare Laurenti, in cui si esamina l’influenza che questa corrente pittorica ebbe sulle prime opere di Chagall. Va tuttavia detto che il Simbolismo di Chagall non è quello colto della corrente francese, ma è una sua personale reinterpretazione che restituisce allo spettatore l’immagine di un mondo fantastico in cui le figure fluttuano libere nello spazio. La pittura Simbolista si propone di estrinsecare l’esperienza emotiva dell’artista servendosi di soggetti mistici, spirituali e di temi legati alla religione o alla mitologia. Ed eccomi entrare in questa dimensione di sogno con le opere di Odilon Redon, un artista che si ispirò a numerose fonti.
Troviamo: Brunilde (litografia del 1894), la valchiria della leggenda eroica germanica, ripresa dall’opera di Wagner; Luce (litografia del 1893). Ma è l’Arte Celeste, litografia del 1894, a calamitare la mia attenzione.
Quell’angelo che fluttua nel cielo suonando un violino sembra dipinto da Chagall… E invece no, è Redon, un artista che trae la sua ispirazione da fonti letterarie e musicali, fermamente convinto del legame indissolubile che esiste tra musica ed arti figurative. Segue l’opera intitolata Lux, un modello in gesso del 1920, dello scultore milanese Adolfo Wild, un artista in cui, per usare le parole di Vittorio Sgarbi “il virtuosismo è tutt’uno con la spiritualità: un realista dell’anima che criticava Canova per la ‘freddezza’”. Wild, perfetto interprete delle emozioni umane, fonde nelle sue opere elementi ripresi dal Liberty italiano con quelli della Secessione Viennese.
Lux rappresenta un volto femminile, probabilmente della Vergine, racchiuso in un manto. Le due stelle che ne chiudono gli occhi conferiscono a questo volto un mix di dolore ed estasi mistica. Di fronte allo spettatore c’è un viso ferito dalla sofferenza, immerso in un’atmosfera resa ancor più sovrannaturale dall’intreccio di stelle che compongono il mantello.
Ecco poi la Leda e il cigno (1907) del ferrarese Gaetano Previati, artista aderente alle correnti dei divisionisti e dei simbolisti, che con la sua cromia chiara e le sue pennellate sottili combina istanze simboliche con la mitologia. Chiude la sezione la Ninfea, olio su tela del 1898 dell’artista Cesare Laurenti, intrisa di un magico simbolismo.
Quello delle Ninfe, che nella mitologia greca rappresentavano un essere divino legato alla natura, è un soggetto ricorrente nell’ambito del simbolismo europeo.
Nel lago dipinto da Laurenti galleggia una ninfa il cui corpo, circondato da ninfee, affiora solo in parte, spiccando con il suo colore bianco sulla superficie scura dell’acqua. L’opera di Laurenti non può non riportare alla mia mente la pittura Preraffaellita, in particolare l’Ophelia di John Everett Millais.
Si chiude così questa prima sezione nella quale i pittori simbolisti presenti, con le loro opere hanno esplorato a 360° i sentimenti umani, talvolta con dipinti più oscuri e criptici, talaltra con dipinti più luminosi e gioiosi. In entrambi i casi, lo spettatore viene condotto in quella dimensione di sogno che introduce l’idea di Supernaturalismo di Chagall.
Si passa ora alla seconda sezione intitolata: “È soltanto mio / Il paese che è nell’anima mia”, che, come si evince dal titolo, è completamente dedicata a Marc Chagall.
Chagall nacque il 7 luglio del 1887 a Vitebsk, ai tempi russa, oggi bielorussa, dove rimase fino al 1907, anno in cui si recò a studiare Arte a San Pietroburgo, per poi andare nel 1912 a Parigi. Nel 1914 rientrò nella sua Vitebsk pensando di restarvi solo qualche mese, ma lo scoppio della prima guerra mondiale lo costrinse a rimanervi fino al 1922. E fu proprio in questo arco temporale che recuperò il legame con il mondo ebraico della sua infanzia, raccontato con immagini del suo villaggio natio, la sua Vitebsk che porterà sempre nel suo cuore. Ecco l’olio su tela dal titolo Il Rabbino di Vitebsk in cui vediamo un uomo dallo sguardo malinconico con la bocca ritratta nell’atto di salmodiare, vestito con il suo tallit sulle spalle e con il kippà in testa.
L’attenzione dello spettatore è catturata dal volto del soggetto, descritto con grande precisione, grazie allo sfondo scuro che esalta le forme geometriche bianche e nere del tallit. Questo legame con l’ebraismo delle sue origini lo ritroviamo anche in due incisioni, di cui una intitolata le Lamentazioni di Geremia e l’altra Aronne davanti al candelabro d’oro, realizzate da Chagall per illustrare il Testo Sacro, incisioni affiancate in mostra dalle lastre originali servite per la loro realizzazione. Si passa poi al bellissimo olio su tela dal titolo Vitebsk. Scena di villaggio, realizzato nel 1935, descritto come se fosse un luogo reale, ma in realtà frutto dei suoi ricordi. È una descrizione realizzata con il linguaggio del sogno, ma non quello Surrealista di un Magritte o di un Dalì, bensì un surrealismo chagalliano dolcissimo e al contempo malinconico di chi ha dovuto lasciare la propria terra.
Su uno sfondo rosso acceso di matrice fauves vediamo delle case, uno steccato, un carretto che vola, un ebreo errante su un tetto, le capre, le galline e in primo piano un personaggio circense steso per terra. Questo dipinto è una sorta di vocabolario visivo del linguaggio di Chagall in cui troviamo, da un lato l’influenza della sua lunga permanenza parigina e dall’altro la nostalgia per la sua terra di origine.
Il risultato è un’immagine surreale in cui molti elementi hanno un forte valore simbolico: l’ebreo errante sul tetto che simboleggia la realtà del vagabondo con quella di una figura fantastica non soggetta alle comuni leggi gravitazionali, o ancora il Clown in primo piano che rappresenta l’universo degli ultimi, dei diseredati, dei saltimbanchi.
Queste figure impresse fortemente nella memoria dell’artista, insieme al paesaggio danno forma ad un’immagine simbolo dello sradicamento dalla propria terra e della malinconia della vita… Eppure non mi immalinconisco perché la forza del colore e il carretto che vola mi fanno pensare al potere della volontà con il quale si possono superare le problematiche della vita. Ed eccomi arrivata alla terza sezione dal titolo: “Artisti in Esilio”. Sono accolta da una grande foto del 1942 in cui insieme a Chagall ci sono una serie di altri artisti espatriati dalle loro terre di origine. Yves Tanguy, Max Ernst, Fernand Lèger, André Breton, Piet Mondrian, solo per citarne alcuni. Mi sembra di essere lì con loro e per fermare l’attimo decido di farmi una foto insieme a loro.
Questa sezione rimanda alle vicende vissute da Chagall e dagli altri artisti in foto nel fuggire dal nazismo verso l’America. Nel giugno del 1940 venne creato negli Stati Uniti da intellettuali, scienziati ed accademici americani e tedeschi l’E.R.C. (Emergency Rescue Committee ossia Comitato di Soccorso internazionale), un’organizzazione non governativa, sostenuta dalla first lady Eleanor Roosevelt per aiutare a fuggire i rifugiati, per lo più ebrei dall’Europa invasa dai nazisti. Sostanzialmente lo scopo era quello di salvare artisti e politici perseguitati in Europa.
La prima opera che vedo è il Meteorologo del surrealista Max Ernst in cui le linee, tracciate ed incise liberamente su strati di colore sovrapposto, danno luogo a delle forme articolate che assumono le sembianze di uccello.
Quello dell’uccello è un soggetto ricorrente in Ernst che identifica in questa immagine il suo alter ego Loplop secondo i dettami delle metamorfosi surrealiste che percepiscono questa creatura come un essere a metà tra uomo ed animale che irrompe nella dimensione dell’inconscio, del sogno a loro tanto cara.
Seguono 2 opere di Ossip Zadkine, scultore russo, anch’egli nato a Vitebsk, nel luglio del 1890, solo 3 anni dopo la nascita di Marc Chagall. Di Zadkine, associato al movimento artistico del Cubismo, troviamo: Composizione, un disegno a matita colorato con inchiostro di china tempera, che risente moltissimo dell’opera di Wassily Kandinsky nelle forme che richiamano la superficie in movimento dell’acqua quasi si trattasse di una sorta di miraggio. Segue l’Arlecchino, scultura in bronzo dalla linea serpentinata, che, nella sua compattezza, richiama la stagione primitivista del cubismo. Ed eccomi giunta alla quarta sezione, il cui titolo “Il Colore dei Sogni” è di per se stesso estremamente accattivante.
Tema di questa sezione è l’Amore. Ed uno dei temi centrali delle opere d’arte di Marc Chagall, oltre a quello della religione, della vita dei contadini in Russia, della struggente nostalgia per il suo paese, dei motivi della tradizione ebraica, è proprio quello dell’amore, incarnato dalla sua adorata Bella, moglie, musa, fonte di continua ispirazione.
Ciò a conferma di quanto la creazione artistica di Chagall sia un qualcosa di oltremodo lontano dal predomino della ragione. L’amore per Chagall si identifica in un abbraccio che annulla l’individualità dei due corpi, nel colore blu, nel fluttuare dei due amanti. Amore fa rima con colore. E qui lascio ancora la parola a Marc Chagall: “Nella vita, proprio come nella tavolozza del pittore, non c’è che un solo colore capace di dare significato alla vita e all’arte: il colore dell’amore”.
E la dimensione intima, sospesa, di sogno, dell’arte di Chagall, la ritroviamo anche nelle opere dell’espressionista danese Emil Nolde e in quelle di Augusto Giacometti.
Di Nolde, uno dei maggiori esponenti dell’espressionismo tedesco, troviamo il dipinto Piante in fiore, in cui il soggetto naturale viene trasformato, grazie ad un cromatismo pastoso e brillante in un qualcosa di visionario. La fioritura è un’esplosione di colori brillanti e vivaci capaci di trasmettere grandi emozioni e tanto stupore.
Di Giacometti è in mostra il dipinto Rose bianche del 1931, una natura morta in cui il dato naturale, grazie al lirismo del colore, si fa quasi astratto. E guardando quel bellissimo gioco di luce e colore, di bianco e grigio che si staccano da un fondo di un azzurro variegato, non posso fare a meno di pensare all’elemento onirico del Surrealismo, ma anche a quello spirituale dell’Espressionismo.
Ed ecco apparire dinanzi ai miei occhi lo straordinario olio su tela di Marc Chagall dal titolo Gli Amanti, del 1937 in cui vediamo due allegoriche figure di amanti, chiuse in un abbraccio strettissimo che li rende una cosa sola, letteralmente immerse tra fiori di uno sgargiante rosso, bianco, rosa, sospese nel blu…
Un blu dove realtà e sogno si confondono. Il sognatore Chagall associa la descrizione dell’amore all’aria blu e ad una natura rigogliosa… Perché dire Chagall vuol dire sogno!
E questo sogno lo ritrovo nell’altrettanto straordinario Villaggio Blu del 1968 in cui ancora una volta riaffiorano con forza i luoghi dell’infanzia di Chagall. Come negli Amanti il ricordo è immerso nell’azzurro del cielo, un azzurro forte che richiama alla mente la cromia dei Fauves.
E in un’atmosfera da sogno, quei personaggi così cari all’artista come la mamma col bambino, l’angelo che veglia dall’alto, la chiesa del villaggio di Vitebsk, gli animali, il rabbino sui tetti ed il viandante sulla strada, paiono librarsi in aria. E per quanto realistica possa essere la rappresentazione del contesto, il colore e la linea di questo grande artista russo conferiscono all’ambiente una valenza onirica.
Marc Chagall è colui che inseguì la bellezza e la magia del sogno, un sogno fatto di colore. Cosa ha voluto dirci questa sezione, il “Colore dei sogni”? Credo sia una sorta di allegoria della potenza dell’amore che ci salva da ogni forma di meschinità… E solo un artista dall’animo poetico come Marc Chagall poteva trasmetterci così bene questa sensazione. Si passa poi alla quinta sezione dal titolo “Le opere religiose”, una sezione piuttosto ampia, in cui sono esposte le incisioni realizzate da Chagall, fra il 1931 ed il 1939, per illustrare la Bibbia, incisioni commissionategli dal mercante d’arte francese Ambroise Vollard, che nel 1972 l’artista donò al Musée National Chagall di Nizza.
Accanto alle incisioni troviamo anche le lastre originali con cui sono state realizzate le grafiche.
Ma questa ampia sezione, oltre alle opere di Chagall a soggetto religioso, ci presenta anche opere di artisti quali Georges Rouault, Frank Brangwyn, Veikko Aaltona e István Csók, creando così un dialogo sul tema del sacro con la sensibilità di artisti vissuti in tempi e luoghi diversi.
Chagall è da sempre affascinato dal testo sacro che considera come la più importante ed appassionante forma di arte. Ma come sempre l’artista fornisce una sua personalissima interpretazione del tema biblico. Chagall, che considerava la Bibbia un inventario della natura, nell’illustrarla si sentiva una sorta di portatore, di interprete del messaggio religioso. In Dio appare in sogno a Salomone, nell’uomo guidato dal Signore sulla retta via, nel Perdono di Dio annunciato a Gerusalemme, nell’Eterno si manifesta ad Elia, l’artista mescola il tema biblico con le sue memorie di Vitebsk e con la sua permanenza in Palestina, creando così un personalissimo universo visuale.
Ma oltre a tutto ciò alcune di queste tavole ci rievocano anche la realtà delle persecuzioni antisemitiche che lo stesso Chagall visse in prima persona. E non è un caso se il tema della Crocifissione sia un tema così caro all’artista, che nel riprendere il soggetto del Cristo in croce sofferente, lo eleva a simbolo dell’umanità oltraggiata, aggredita e a simbolo delle tribolazioni del popolo ebraico.
E in questo modo l’ebreo Marc Chagall si fa interprete dell’emblema più forte della cristianità.
Nel bozzetto realizzato per la Sacra Famiglia, una gouache e pastello su carta velina, sulla destra troviamo una famiglia raggomitolata su se stessa, chiusa in una sorta di abbraccio protettivo: il bambino protetto dall’abbraccio della madre, a sua volta protetta dall’abbraccio del marito a sua volta protetto da una capra. Vi chiederete cosa possa entrarci questo animale in una simile iconografia. L’uso ricorrente da parte di Chagall della capra prende spunto dalla tradizione ebraica, secondo la quale questo animale è il simbolo della protezione e del focolare domestico. E quella famiglia ebrea, Dio sa di quanta protezione abbia bisogno alla luce del dramma che incombe su di loro rappresentato dal Cristo in croce, posto sulla sinistra, un Cristo che ha come perizoma un panno bianco con le tipiche decorazioni ebraiche del tallit.
Chagall vede nella figura del crocifisso, nella passione di quel profeta degli ebrei, nel Dio della cristianità morto come uomo, un simbolo valido universalmente per esprimere la miseria del suo tempo. Gli stessi concetti li si ritrovano nella litografia della Crocifissione, scena affollata di personaggi e dominata dalla croce, che diviene una scena ideale che rappresenta la sofferenza umana in attesa della salvezza.
E il dialogo sul tema religioso prosegue con la Tiberiade del francese Georges Rouault, opera appartenente ad un ciclo di temi evangelici realizzato dall’artista nel 1948.
La sua interpretazione del sacro è austera e priva di licenze descrittive, affidandosi esclusivamente alle suggestioni che egli sa suscitare attraverso la materia, lo spazio e il colore. Segue il San Simeone dell’inglese Frank Brangwyn, la cui immagine ci restituisce tutto lo smarrimento dell’eremita.
Ma è la Deposizione del finlandese Veikko Aaltona l’opera che più di tutte trasuda misticismo, stimolando la sfera emotiva dello spettatore. L’artista evidenzia la soggettività dell’espressione con una pittura pastosa e vivace dalle pennellate abilmente armoniose. Molto bello e vibrante anche il dipinto dal titolo Il Calvario realizzato nel 1931 dal trentino Tullio Garbari. Quella di Garbari è una spiritualità molto diretta, popolare, vicina alla carica mistica degli ex voto, come ci attesta questo dipinto in cui le figure, poste all’esterno della consueta griglia prospettica di questo tema iconografico, esprimono grande sofferenza.
La mostra si chiude con la sesta ed ultima sezione dal titolo Il Colore delle Favole, una sezione all’insegna della fantasia, dell’illogicità, dell’istintività e della gioia del messaggio lasciatoci dalla pittura di Chagall. È la sezione dedicata alla fantasia e all’utopia gioiosa che permea l’arte di questo grande artista russo. Nel 1923 il già citato mercante d’arte francese Ambroise Vollard commissionò a Chagall una serie di acqueforti per le Favole di La Fontaine, cui seguiranno quelle sulla Bibbia di cui si è già parlato.
Ciascun racconto di La Fontaine, si serve di una descrizione umoristica dell’animo e del comportamento umano, per fornire al lettore una morale, un po’ come nelle parabole.
E Chagall rivede nell’immaginario descritto da La Fontaine il suo prototipo fantastico, non tanto per quanto attiene la morale del racconto, quanto per la personificazione umana degli animali, descritti con grande immediatezza e naturalezza.
Le Favole sono una collezione di 240 poemi e racconti che attingono dal folklore, dagli eroi della mitologia greca, ma soprattutto dai racconti tradizionali in cui gli animali incarnano i vizi e le virtù degli esseri umani. E Marc Chagall intraprende con grande entusiasmo il progetto propostogli da Vollard, fondendo nelle sue rappresentazioni i ricordi legati alla sua Vitebsk con i periodi trascorsi presso la casa del nonno a stretto contatto con gli animali e gli agricoltori. Se le incisioni presenti in mostra (i due muli; il gallo e la volpe, il lupo supplica la volpe davanti alla scimmia), ci palesano il sogno utopico dell’arte di Chagall, è nella Mucca con l’ombrello che il sogno fantastico ed illogico di questo artista trova la sua massima espressione.
Perché la mucca che sorregge l’ombrello rappresenta proprio Chagall, l’ebreo errante che lascia il suo paese in cerca di nuove identità. Il bianco dell’animale diventa veicolo di candore, di speranza: l’animale è pulito, non ferito.
Il sollevare l’ombrello da parte della mucca rappresenta la leggerezza che serve al viaggiatore per affrontare le difficoltà che si troverà innanzi; è un supporto che spinge il protagonista a trovare la forza per andare sempre oltre.
Ecco svelati, ammesso che a fine mostra ce ne fosse bisogno, il sogno e la fantasia che caratterizzano l’opera del grande Marc Chagall, colui che fece della bellezza del sogno una realtà. Realtà ahimè non sempre compresa poiché spesso le sue opere furono definite come “superficiali” perché troppo distaccate, oniriche, lontane dalla realtà.
E all’utopia di Chagall si riallacciano le visioni fantastiche di George Grosz come si può ammirare nella sua Natura morta con gatto ed anatra, dove, in uno spazio astratto dalle atmosfere stranianti e dai colori innaturali, si incontrano animali che paiono quasi plastificati e si scontrano oggetti incompatibili tra loro. Ma quest’ultima sezione, quella del Colore delle favole, si colora anche delle riflessioni, tra favola e mito di artisti quali Félicien Rops, Frank Barwig e Mario De Maria, offrendoci una visione affascinante di come il messaggio di Chagall abbia influenzato gli artisti successivi.
Ma la lezione utopica e anti-moderna data da Chagall con le sue opere pittoriche e grafiche, la si ritroverà anche nella seconda metà del Novecento in prove di inconsueta atmosfera onirica come nella scultura di Claudio Parmiggiani, nella pittura di Corrado Balest e di Carlo Hoellesch.
Siamo così giunti alla fine di questa bellissima mostra che ci restituisce l’apporto rivoluzionario dell’arte di Marc Chagall. Mi è parso di entrare in un sogno, illogico, bello, dove tutto può accadere. Marc Chagall con il suo personalissimo stile, ispirato al mondo dei sogni e pervaso da un’intensa vena poetica, ha cambiato per sempre il modo di intendere e fare arte… Non si potrà più tornare indietro.
E sono fermamente convinta che come pittura del sogno e come trionfo della fantasia creatrice questo straordinario, prolifico autore abbia ancora molto da raccontare.
“Gli uomini frettolosi di oggi sapranno penetrare nella mia opera, nel mio universo?” (Marc Chagall)