Minima Cardiniana 455/2

Domenica 18 febbraio 2024
Prima Domenica di Quaresima
San Simone, San Flaviano, Santa Artemisia
18 febbraio 1745 – Nascita di Alessandro Volta

EDITORIALE
LA MIA PREGHIERA PER LE VITTIME DEL PROFITTO
di David Nieri
Quando accadono tragedie del genere, la prima reazione è un misto di angoscia, orrore, tristezza, impotenza. Sentimenti che si ripetono, a intervalli sempre più ravvicinati, di fronte a ciò che inevitabile non è. Perché se la morte fa parte del naturale percorso della vita – e ne è, almeno per chi crede ancora in qualcosa, la fine e il fine stesso –, non lo sono le cosiddette “morti bianche”, ovvero le vittime sul lavoro. Che quest’anno, nel primo mese e mezzo circa del 2024, sono già 150, cifra purtroppo destinata a essere quotidianamente “ritoccata”.
Quel che è successo venerdì 16 scorso nel capoluogo toscano lascia attoniti. Per un duplice motivo. Il primo, le 4 vittime per ora sottratte alle macerie (la quinta, nel momento in cui si scrive, è stata solo localizzata) a causa del crollo di una grossa trave del cantiere del nuovo supermercato Esselunga che ha ceduto, travolgendo otto lavoratori: Luigi Coclite, il 59enne di Collesalvetti (Livorno) trovato nella giornata di venerdì; le altre tre persone decedute sono Mohamed Toukabri, 54 anni, tunisino; Mohamed El Farhane, 24 anni, marocchino; Taoufik Haidar, 43 anni, marocchino. Il secondo riguarda la pressoché totale assenza da parte dell’attenzione mediatica, politica, sindacale in merito alle morti sul lavoro, che quasi sempre sono vittime del profitto, declinato sul paradigma del contenimento dei costi a discapito della sicurezza. Serve il caso eclatante, rumoroso, mediaticamente appetibile, come ad esempio la bellezza di una giovanissima ragazza madre risucchiata da un telaio, per indurre scalpitanti paladini del diritto e “garanti della costituzione” a infarcire con la retorica del “mai più” un’emergenza “scomoda”, che spesso non vediamo o non vogliamo vedere, perché a morire sono frequentemente gli immigrati (la manodopera a basso costo 2.0), oppure anonimi “operai del progresso” (che ci fa comodo) che finirà per cementificare anche la nostra anima, ormai sezionata nella partita doppia della vita, quella dei sempre più profitti e delle poche perdite.
All’indomani della tragedia ha iniziato a trapelare la notizia che l’azienda committente e la ditta appaltatrice del crollo nel cantiere Esselunga di via Mariti a Firenze sono gli stessi degli incidenti avvenuti nel cantiere di un altro supermercato del gruppo lombardo della Gdo a Genova, nella zona di San Benigno, avvenuto il 10 febbraio 2023: nell’occasione, tre operai erano rimasti feriti a causa del cedimento di una rampa del parcheggio a uso del nuovo supermercato: la Villata spa, l’immobiliare partecipata al 100% da Esselunga, e Aep, attività edilizie pavesi, con sede a Pieve del Cairo (Pavia). Nel capoluogo ligure la procura, dopo la Asl3, aveva aperto un fascicolo per fare luce sul rispetto delle norme di sicurezza dopo il crollo di una rampa in cemento e poi di una cancellata nel giro di un paio di mesi. In quelle occasioni ci furono alcuni feriti, ma non vittime. I cantieri, dopo il dissequestro, sono tutti ripartiti.
Nel caso del cantiere di Firenze, circa trenta ditte in subappalto fanno riferimento all’impresa capofila: quattro quelle impegnate nel cantiere il giorno del disastro e dai 50 ai 100 operai presenti quotidianamente in quello che sarà un nuovo supermercato con la lettera allungata, al quale personalmente mi permetto di “rimproverare” le condizioni di lavoro imposte ai dipendenti e il fatto di essere stato il primo a portare in Italia un nuovo modo di “fare la spesa”: Esselunga è stata infatti fondata dagli americani guidati da Nelson Rockefeller su ispirazione della Cia, intenzionati a portare in Italia il modello all’epoca inedito della moderna distribuzione. Erano gli anni del dopoguerra e la nuova tipologia di retail era vista come una splendida opportunità per ridurre il costo dei generi alimentari e migliorare il potere d’acquisto delle famiglie italiane. Questa l’idea di James Hugh Angleton, collaboratore dei servizi segreti Usa e ispiratore dei piani di Rockefeller, che sosteneva “come fosse difficile essere comunista con la pancia piena”. Una strategia sociale e politica. Bernardo e Guido Caprotti, insieme ad altri imprenditori lombardi (Marco Brunelli, Mario e Vittorio Crespi) furono, inizialmente, i “fortunati” individuati dal magnate e politico americano per portare il progresso nel Belpaese.
È proprio la filosofia della riduzione dei costi ad aver progressivamente investito anche il modo di costruire le nuove cattedrali del piacere (ma anche scuole, ponti, palazzi): materiali sempre più scadenti, velocità di esecuzione e sicurezza abilmente ignorata. Una piramide di subappalti che spesso nessuno controlla, salvo poi indagare, come abbiamo visto, a tragedia compiuta. Ma con le lastre dei prefabbricati e le loro travi sta crollando anche il fondamentale rispetto per la vita, sacrificata al profitto e al nulla nel quale ci stiamo progressivamente immergendo.
La mia preghiera va innanzitutto alle vittime, alle loro famiglie, ai loro cari. Vite spezzate negli angoli oscuri di quei cantieri dove spesso neanche si riesce a guadagnarsi da vivere. La mia preghiera va a tutte le morti bianche delle quali non si parla e non si è mai parlato, semplici numeri che servono solo a definire tragiche statistiche.
Ma c’è un’altra preghiera che vorrei indirizzare a chi di competenza. Ai sindacati, agli ispettori, alle istituzioni, affinché pongano un argine a questo scempio, occupandosi della tutela dei lavoratori e non solo di propaganda elettorale e di categoria, del PIL e dei soldi del PNRR.
L’ultima preghiera riguarda noi, il nostro stile di vita, la nostra completa indifferenza nei confronti di ciò che pensiamo non ci possa mai accadere. Il cemento che sta divorando i nostri spazi, non solo cittadini, sta inaridendo anche le nostre anime. Perché c’è un nesso tra il numero delle vittime sul lavoro e il progresso infinito e indefinito che rincorriamo acriticamente, per gratificare la nostra voracità di consumo e supplire ai vuoti esistenziali sempre più preoccupanti. Di questo passo, ci ritroveremo a vivere all’interno di un enorme centro commerciale, diventato ormai la cattedrale presso la quale ogni settimana si compie il nostro rito del carrello pieno di “beni” che spesso neanche ci servono. Le nostre città, i nostri centri storici stanno diventando un eterno carnevale, un evento senza fine, un’apoteosi di rumore, un “cantiere” (appunto) sempre aperto per ammortizzare artificialmente lo smarrimento causato dalla perdita di ogni valore.
Chi scrive è dell’avviso che il primo cantiere da ricostruire sia proprio la nostra stessa vita, a partire dalle fondamenta.