Minima Cardiniana 457/5

Domenica 3 marzo 2024, Terza Domenica di Quaresima, Santa Cunegonda

VERSO LE ELEZIONI EUROPEE
FUORI L’UE DALLA NATO. TERZA PARTE
di Bruno Bosi
La democrazia è un buon metodo di governo, non può essere perfetto e nemmeno deve essere l’unico. È un tentativo di esprimere i valori universali di uguaglianza e giustizia, dei quali nessun sistema politico può pretendere di averne l’esclusiva. Se le democrazie occidentali non si impegnano a distribuire anche i diritti sociali ed economici, mitigando le pretese del capitalismo, del liberismo e della finanza predatoria, restano il consumismo, l’inquinamento, l’arrampicamento sociale, l’egoismo individuale. Diventa difficile pretendere di suscitare l’emulazione degli altri popoli che hanno vissuto i contatti con l’Occidente come dominati, costretti ad accettare questa subordinazione come esito di un’abbagliante superiorità tecnologica.
Il progresso tecnologico occidentale comporta la necessità di espandersi a livello globale, una forma di dipendenza o di debolezza che l’Occidente prova a risolvere con l’uso della forza nei confronti di paesi che hanno acquisito i mezzi per pretendere di dialogare alla pari in una società globale multipolare. Gli ex colonizzati si rendono conto delle contraddizioni del sistema capitalista, esasperate dal neoliberismo, e non possono accettare di sottostare al progetto di globalizzazione unipolare che prevede un’unica comunione globale: la povertà nella rassegnazione a una relazione di dominio imposta da chi ha il controllo dei flussi di denaro. L’Occidente rivendica una superiorità attribuita a un sistema democratico solo formale, e quindi non viene riconosciuta. Non possiamo continuare a gongolarci nello status di democratici, riconosciuto solo da un giudizio autoreferenziale delle nostre élites dirigenti.
Se il momento dirimente tra civiltà e barbarie lo vogliamo individuare nella scelta tra democrazia e autocrazia, non possiamo farlo solo a parole. Democrazia non significa esprimere un voto “nel segreto dell’urna”, ma determinare il percorso della società di appartenenza cercando di mantenerlo coerente coi princìpi di giustizia e uguaglianza nelle relazioni politiche, sociali, economiche e culturali. Le nostre democrazie devono accettare dei limiti anche in campo economico, finanziario e militare. Questo è un livello di civiltà che i cittadini dei paesi occidentali, nella grande maggioranza, hanno raggiunto; l’élite politica dominante no. Per questo devono ingannare i loro cittadini, cercando di trascinarli in occasioni di guerra per dirimere questioni che non li riguardano. Le relazioni internazionali sono sempre state, e lo sono ancora, determinate da rapporti di forza: anche la pretesa occidentale di imporre il proprio ordine sul resto del mondo è assurda ma reale; e lo è, o lo è stata, per un rapporto di forza economica e militare.
La preoccupazione che spinge l’Occidente ad agire è solo il timore che possa crescere qualcuno in grado di opporsi alla sua egemonia. Quello che spaventa è la totale mancanza di scrupoli da parte dell’élite che monopolizza la politica, nel perseguimento di questo obbiettivo, compresa la possibilità di trascinare in una guerra devastante i popoli europei. La guerra Russia-Ucraina è lo scontro tra chi vuole l’unipolarismo e chi il multipolarismo. Da una parte il dominio del dollaro, dall’altra una gestione della globalizzazione condivisa tra i poli esistenti e aperta a quelli che andranno a formarsi. Chi ha messo in discussione il dominio incontrastato del dollaro fino ad oggi è sempre finito male: Mattei, Allende, Saddam, Gheddafi, ecc.
L’ultimo espediente per coinvolgere i popoli occidentali, dominati, nel tentativo di conservare l’egemonia per i dominatori è l’unanimità di facciata, come in tutte le dittature. Una forma eccessiva di manipolazione e strumentalizzazione della pubblica opinione che potrebbe rivelarsi l’occasione per smascherare e liberarci dai politici corrotti nel senso che non fanno più i nostri interessi. Fanno di tutto per far apparire l’Occidente come una comunità coesa definita Atlantismo, pronta a combattere per difendere la democrazia, mentre la realtà è completamente diversa. Le società occidentali hanno come unico valore il denaro, un obiettivo solo quantitativo, illimitato, acquisibile con una competizione che determina conflittualità e ha sgretolato il livello di coesione indispensabile per il sentimento di appartenenza a una società. I cittadini non sono più disposti a difendere una democrazia che, anziché i loro interessi, tutela le pretese della finanza predatoria. Infatti, nello scontro coi BRICS viene assoldato un paese povero e corrotto che manda i suoi giovani a morire per i ricchi paesi occidentali. Di fronte al rischio di una terza guerra mondiale, con prevedibili effetti disastrosi per l’umanità, è evidente la necessità di cambiare i vertici politici che insistono in questa direzione negando la possibilità di un’alternativa.
La debolezza del sistema attuale, nato dopo la seconda guerra mondiale, consiste nella finzione di uguaglianza tra stati piccoli e deboli verso stati grandi e potenti. È stata questa finzione che non ha funzionato nel progetto ONU. Infatti, il mondo si sarebbe dato dopo un paio d’anni un ordine bipolare dove gli stati dovevano schierarsi con una delle due super potenze. La DUDU prevedeva un mondo dove le nazioni, grandi o piccole, potevano e dovevano convivere in pace, libere di seguire ognuna una propria strada verso un futuro migliore. Era ancora una visione condizionata da un forte sentimento nazionalista, e pertanto si prefiggeva di garantire le realtà statali di qualsiasi dimensione riconfermando il mito della sacralità dei confini immutabili. I progressi tecnologici dei mezzi di comunicazione hanno eroso l’impermeabilità dei confini. Non ha più senso delimitare col filo spinato da difendere col sangue le diversità culturali di costumi, di tradizioni, di religione o economiche tra paesi limitrofi che solo da scambi economici e culturali possono usufruire della crescita di una comune civiltà. È questa la dinamica che spinge in direzione di relazioni globali. Dalla dimensione statale a quella globale non si può arrivare in un unico passaggio, deve avvenire per gradi, andando a unire stati troppo piccoli per avere la forza di salvaguardare la propria indipendenza politica, economica e militare. Lo stato sovrano deve rinunciare alla sua, solo teorica, illimitata sovranità accettando un’autorità sovrastante, alla cui strutturazione ha portato il suo contributo. Unirsi per arrivare a una dimensione in grado di convivere con altri modelli di sviluppo in una globalizzazione multipolare, dove i diversi poli hanno una dimensione che consente loro di avere i mezzi per farsi rispettare. Questo è un requisito fondamentale per partecipare alla strutturazione della comunità globale.
Le istituzioni di governo della società globale multipolare devono rispecchiare dei reali rapporti di forza di entità che, in quanto tendenzialmente equivalenti militarmente ed economicamente, hanno interesse a cercare relazioni di cooperazione e non di conflittualità. L’UE rappresentava, fino alla fine del secolo scorso, il più avanzato laboratorio sperimentale di relazioni globali, basata sulla forza di attrazione dovuta a una condizione di elevato benessere economico e civile che ne caratterizzava la sua identità. Questo percorso è stato ostacolato sia dalle identità statali, sia dall’appartenenza occidentale. A partire dagli attentati alle Tori Gemelle è iniziato un percorso inverso, di destrutturazione dell’identità faticosamente acquisita, per porci al traino della potenza militarmente egemone. Un percorso che non corrisponde a quanto previsto dai trattati di adesione al progetto europeo e nemmeno alle aspirazioni dei popoli europei. È l’atlantismo, l’illusione che mettendo assieme il polo europeo e quello americano si possa raggiungere una dimensione incontrastabile dal resto del mondo. Un fallimento politico, sociale e militare che l’Occidente tenta di nascondere rilanciando l’opzione guerra.
Nel sistema bipolare l’antagonismo tra i due sistemi economici, capitalismo e comunismo, aveva comportato una contrapposizione ideologica estrema che aveva spinto l’Occidente alla cementificazione in un unico blocco. L’Occidente diventa così la più grande concentrazione di potere politico, economico e militare che sia mai esistita, e lo è senza istituzioni politiche preposte a una qualche forma di governo. Paradossalmente, viene escluso il metodo democratico nelle decisioni, in quanto tutti i paesi aderenti a questo progetto sono considerati democratici. Sembra che il tutto sia dovuto a una tacita convenienza che può, più di una legge o di un trattato internazionale, determinare una convergenza dei politici statali sempre gelosi della loro formale sovranità. Il tutto avviene senza la regia di un’autorità politica istituzionalizzata che vede i politici, statali, europei e occidentali sottostare servilmente a un potere di fatto che non si sa a chi attribuirlo, come avviene dove esercita il suo potere la criminalità organizzata.
La potenza di questo blocco tende a diventare sempre più finanziaria, una vera tigre di carta supportata però da un apparato militare fino ad oggi ritenuto incontrastabile. Questo enorme potere incentiva le speculazioni e sfrutta i disastri, guerre, pandemie, calamità naturali come occasioni per spremere ricchezza dalle attività produttive, dal lavoro. La contrapposizione che sta montando a livello globale, che vede da una parte i paesi occidentali e dall’altra i paesi in via di sviluppo e le nuove potenze emergenti (BRICS), quasi tutti ex colonizzati, sta diventando “sociale”. Questo è imperdonabile e nello stesso tempo insostenibile da parte delle democrazie: un’economia liberista e una politica democratica non possono convivere a lungo senza arrivare a stabilire chi deve essere il timoniere della società. Non è accettabile una relazione di dominio imposta da un’entità virtuale, irraggiungibile da qualsiasi rimostranza con metodi democratici, che per esistere deve impoverire il lavoro e nello stesso tempo convive pacificamente con un’élite politica che si pretende democratica in quanto formalmente espressa dal popolo. In questo modo la democrazia diventa un metodo per addomesticare il popolo a non ribellarsi al dominio economico, o addirittura a trascinarlo alla guerra per imporre questa pseudo-democrazia al resto del mondo.
Noi europei, sulla via della povertà, non dobbiamo lasciarci aizzare contro i più deboli, ma dobbiamo mettere innanzitutto ordine in casa nostra, riconoscendo di esserci momentaneamente incamminati in un vicolo cieco. Possiamo farcela, abbiamo superato ostacoli che sembravano impossibili. Abbiamo superato una concezione della politica come strumento di realizzazione delle manie di grandezza di chi detiene il potere politico, siamo passati, nelle relazioni internazionali, dalla guerra alla negoziazione, abbiamo superato il colonialismo con la demolizione dei pregiudizi dovuti al razzismo, abbiamo riconosciuto i diritti civili e politici uguali per tutti. Ora, visto che lo sviluppo dei mezzi di comunicazione crea contatti globali, dobbiamo contribuire, su basi paritarie con gli altri poli, a creare istituzioni per il coordinamento di una regia globale. Basterebbe un sussulto di dignità che parta dal basso, rifiutare l’addomesticamento progressivo imposto dal pensiero unico per mettere da parte la rassegnazione al declino e ritrovare l’aspirazione a un futuro migliore. La mancanza di realismo dell’élite che monopolizza le nostre istituzioni ci offre l’opportunità di imprimere una svolta con le prossime elezioni europee. Macron, Stoltenberg, von der Leyen, Draghi, tutti provenienti dal pianeta Goldman Sachs, si sono incamminati in un vicolo cieco scaricando le loro responsabilità su un’unanimità che non esiste e non è neppure una risicata maggioranza. Ora basterà un segnale forte che smentisca l’unanimità che costoro hanno offerto in omaggio ai loro padroni e questi dovranno dileguarsi. Il segnale, per essere chiaro e inequivocabile, deve partire da un movimento che si presenta all’appuntamento elettorale con un solo obbiettivo: FUORI L’UE DALLA NATO, LA GUERRA NON È UN’ OPZIONE. Un obiettivo condiviso da una forte maggioranza dei cittadini europei in grado di mettere da parte, momentaneamente, la conflittualità paralizzante per l’azione politica tra destra e sinistra. Poco importa se rendere effettiva questa proposta richiederà tempi lunghi o potrà apparire irrealizzabile. Dovranno spiegarci se il popolo è sovrano oppure no, nel qual caso ci possono anche risparmiare l’incombenza del voto. Ma dobbiamo agire, ora. Si devono attivare coloro che esprimono le idee che producono indignazione: ma indignarsi non basta, bisogna agire, altrimenti diventa uno sterile esercizio di presunzione pseudointellettuale che crea divisione e induce alla rassegnazione a subire ingiustizie che la disinformazione fa apparire come inevitabili. L’alternativa esiste, ed è a portata di mano.

… e, in seconda istanza, potessimo provare con un FUORI L’ITALIA DALLA UE. VIA L’UE DA TUTTA L’EUROPA, CANCELLIAMOLA NELL’INTERESSE DI TUTTI I BUONI EUROPEISTI! E MAGARI FUORI ENTRAMBE, NATO E UE, DALLE PROSPETTIVE DI UN CONTINENTE CHE VUOLE UNIRSI IN PACE E IN LIBERTÀ?
PROSPETTIVE IMPROBABILI? E CHI PUÒ AFFERMARLO?
A pensare il contrario basterebbe riflettere su due piccole cose: a quale scopo è NATO il Patto Atlantico, e come e perché qualcuno lo USA.