Minima Cardiniana 458/4

Domenica 10 marzo 2024, IV Domenica di Quaresima, Santi Quaranta Martiri

VELA A MOMPRACEM
IL PROFUMO DELL’ULTIMO GIORNO
di Luigi G. de Anna
– Ti ricordi di Oi?
La voce di Anong viene da lontano. Lei abita ancora in Finlandia, io qui, nella Thailandia del nord. Ogni tanto ci sentiamo, Anong non parla molto, cose pratiche da amministrare che riguardano nostra figlia Marin. Ma non oggi.
– Certo che la ricordo.
– Domani andiamo al tempio di Littoinen, sono dieci anni…
È vero, Oi è morta dieci anni fa a Turku.
– Come passa il tempo… Versate l’acqua benedetta anche da parte mia.
Era maggio, a maggio la Finlandia, uscita dal lungo inverno, rifiorisce.
Accompagnai quel giorno Anong alla casa per malati terminali Karinakoti di Hirvensalo, un’isola vicino la città, dove era ricoverata Oi, una delle sue migliori amiche. L’hanno portata lì perché la sua vita era arrivata al suo limite estremo. Era malata terminale di cancro. Aveva 42 anni.
Me la ricordo bene. Molto simpatica, con un seno prosperoso, dove nascondeva i soldi che vinceva quando, tra amiche, passavano il tempo a giocare a carte in casa nostra. La sua storia era quella di molte thailandesi emigrate in Finlandia. Venute per un uomo, hanno visto naufragare, e non per colpa loro, il matrimonio. E, restate sole, senza conoscere la difficile lingua finlandese, emarginate per via di antichi pregiudizi, vivono spesso una vita difficile. Diventano donne delle pulizie, o lavorano negli stabilimenti dove si prepara il salmone, oppure finiscono a fare le massaggiatrici, e questo le emargina ancora di più.
Oi aveva tre figli. Una figlia è nata in Finlandia. Parlano il dialetto di Turku ed era per me curioso sentire una persona dai tratti fisici così palesemente asiatici esprimersi come un giovane di Varissuo, il quartiere di Turku dove vive la maggior parte degli extracomunitari.
Oi, per mantenere la famiglia, dovette fare qualsiasi lavoro le venisse offerto. Poi, frequentato un corso di avviamento professionale, era diventata fornaia. Si alzava alle cinque, ma era contenta di avere un impiego fisso.
Mi dava, quando veniva da noi, delle briosce dolci, che le regalavano al forno quando avanzavano; me le dava perché i thailandesi non mangiano né briosce né pane.
Anong aveva preparato per lei il som tan, uno dei più comuni piatti thailandesi. Le amiche le cucinavano qualcosa di thailandese ogni giorno, anche se era ben poco quello che poteva mangiare. Ma quello del pranzo era divenuto un rito. Comunemente lo fanno stendendo una stuoia sul pavimento. Da Oi invece si riunivano intorno al suo letto e chiacchieravano tra di loro, come fanno in Thailandia, dove gli ospedali sono pieni di gente che va e viene e di parenti che dormono accanto al letto del malato. La cosa mi colpì quando a Banphot Phisai dovemmo portarci la nipotina di Anong che aveva la febbre. Sembrava di essere al mercato. La corsia non era più un luogo triste, di sofferenza, ma piuttosto di calda solidarietà umana.
Oi, consunta dalla malattia e quasi irriconoscibile, ascolta, segue con gli occhi, dice perfino qualche parola e sorride, poi torna ad assopirsi, inebetita dai sedativi. Anche per questo l’hanno mandata via dall’ospedale, troppi visitatori ha detto il medico. In Finlandia si muore in silenzio, come si è vissuti.
Un’amica, appena tornata dalla Thailandia, aveva portato con sé, sfidando le severe regole della Finnair, delle fette di durian, uno dei frutti più amati dai thailandesi, ma il suo profumo è talmente penetrante che lo dovettero lasciare sulla veranda.
Le amiche sono tristi, ma non c’è intorno a Oi quell’aria plumbea che ci sarebbe da noi. Anong mi ha detto che l’anima di Oi passerà in un altro corpo. Anche se per i buddhisti l’aspirazione è alla quiete eterna, il ritorno dell’anima cancella il terrore del nulla assoluto che abbiamo noi cristiani.
Il figlio di Oi, poco più che ventenne, secondo la tradizione, qualche giorno prima si era fatto monaco. Hanno celebrato la funzione nel piccolo monastero di Littoinen che i thailandesi hanno nella campagna vicino Turku. Gli vengono rasati i capelli e le sopracciglia e gli viene data la veste marrone, insieme alla ciotola per le elemosine. Anche il re di Thailandia, quando morì la madre, si fece monaco per alcuni mesi.
La casa di riposo per malati terminali è immersa nel verde. Un posto certamente bello per morire, meglio di un ospedale. Ma Oi avrebbe voluto morire a casa sua, in Thailandia. Non ce l’ha fatta. Ci porteranno le ceneri, ma la cremazione non sarà, per ovvi motivi, quella tradizionale, cui ho assistito a Nakhon Sawan, con le nenie dei monaci, il banchetto e perfino la veglia con il gioco a carte, proibito in Thailandia e permesso solo in occasione di un funerale.
Uscimmo sulla veranda. Oi si stanca subito e deve rientrare. Porge ad Anong un piccolo involto con alcune monete. Anong, che presto sarebbe partita per la Thailandia, avrebbe offerto quelle monete al wat, il tempio buddhista, perché l’anima di Oi facesse un buon viaggio. Per questo a chi muore si mette una moneta in bocca.
Il forte odore del durian si era diffuso nell’aria. Così diverso, così estraneo a quello del bosco che circondava la casa. Un profumo che veniva da lontano. Il profumo della casa di Oi, nella regione di in I-san, dove i campi di riso sono color verde smeraldo.
Quando una persona a noi vicina muore, si ripete il grande mistero della Morte, quell’uscita, penosa quanto l’ingresso nella vita.
Oi era molto bella, dai lunghi capelli corvini e dal sorriso gentile.
Passa la bella donna e par che dorma.