Domenica 7 aprile 2014
Domenica in Albis o “della Divina Misericordia”
Seconda Domenica di Pasqua; San Giovanni Battista de La Salle
VERSO LE ELEZIONI EUROPEE
AL VOTO PER UN’ECONOMIA DI GUERRA?
di Bruno Bosi
Vista l’assurdità delle proposte europee per la questione Ucraina dobbiamo sperare che siano dovute a una soluzione combinata dalla diplomazia segreta, per consentire ai nostri bellicosi dirigenti di salvare la faccia sostenendo che la Russia è indotta a negoziare per paura di un intervento diretto dell’UE. Più che minacce sembrano rassicurazioni alla Russia dell’ininfluenza, sul proseguimento della guerra, del dispiegamento di una divisione francese in Ucraina, mentre può essere efficace per giustificare le privazioni di un’economia di guerra riservate a noi occidentali. Quello che salta agli occhi è la totale mancanza di considerazione, anche solo formale, per l’opinione dei cittadini europei su una questione determinante per l’esistenza stessa dell’UE.
Questi politicanti, in balia del potere della finanza, anche se espresso dai vertici della potenza egemone, non si rendono conto che senza il sostegno dei loro popoli non hanno alcuna autonomia, sono costretti ad ingoiare qualsiasi sopruso e a farlo ingoiare ai loro cittadini per non essere dichiarati inutili o deposti da un qualche moto rivoluzionario o crollo finanziario istigato o pilotato dall’alto. La nostra dimensione statale con tanto di legge fondamentale o costituzione dice inequivocabilmente che l’Italia ripudia la guerra nella soluzione delle controversie internazionali. La cessione di sovranità dalle istituzioni nazionali a quelle sovranazionali era giustificata dalla promessa di una maggiore trasparenza ed efficienza, nella trasmissione della volontà popolare agli organi di governo, come previsto dai trattati di fondazione dell’UE. Il merito più importante dell’UE era di aver assicurato un lungo periodo di pace e conseguente benessere a un continente che per l’ambizione irresponsabile dei vertici nazionali era stato devastato da due guerre mondiali nello spazio temporale di una generazione. Questa missione si è interrotta col passaggio dal capitalismo industriale al capitalismo finanziario che si basa su una valutazione solo quantitativa e spinge a una gestione verticistica, piramidale, unilaterale. Se il progetto fila liscio si impone con mezzi coercitivi morbidi: basta la manipolazione dell’informazione per diffondere una visione della realtà falsa ma in grado di marginalizzare il comune buon senso e impedire la possibilità di un’alternativa. Spetta ai cittadini, partendo dalla dimensione locale, poi nazionale e infine sovranazionale esprimere la volontà condivisa di tornare sulla strada che consenta di intravedere un futuro migliore. Coesi abbiamo la forza per restituire al popolo l’iniziativa che i nostri attuali delegati hanno abbandonato in favore della finanza. Detenere l’iniziativa significa impegnare l’antagonista dove è più vulnerabile. Nel nostro caso si tratta di appianare lo squilibrio di potere che si è creato tra denaro e lavoro nella gestione dell’anticipo sempre necessario per il sostentamento di chi anticipa lavoro per la realizzazione di un prodotto futuro. Il lavoro è il vero anticipo che rende possibile l’attività economica ma è soggetto a tutti i limiti terreni di spazio, di tempo e di contrapposizioni dovute agli egoismi individuali che spetta alla politica risolvere. La politica ha rinunciato a questo compito consegnandolo alla finanza, che trasforma l’anticipo in un debito “cartolarizzato” e pertanto oggetto di scambio per attività finanziarie denominate in denaro che non ha limiti, deve solo dimostrare di saper crescere per attrarre chi ne ha troppo, mentre deve apparire scarso per chi ne ha troppo poco per indurlo a desiderarlo e rincorrerlo senza scrupoli. Non rientra tra le facoltà umane la possibilità di creare entità illimitate, mentre le istituzioni create dall’uomo possono stimolare una bramosia individuale eccessiva per l’accumulo di denaro alla quale deve corrispondere uno stato di necessità e di paura per l’umanità. Il denaro è un’istituzione che deriva dalla volontà degli umani uniti in comunità coese in vista di fini comuni: se si evidenziano delle criticità che vanno a minare la coesione e l’esistenza della società, il potere politico è tenuto ad apportare le opportune correzioni. Dobbiamo riportare il denaro alla sua naturale funzione di mezzo per agevolare gli scambi commerciali in un sistema circolare che si autoalimenta. La disponibilità di denaro deve rispecchiare le capacità espresse col lavoro ma deve essere speso e non accumulato. La funzione di riserva di valore del denaro deve essere sottoposta a una scadenza. L’enorme potere della finanza non è finanziario, è il potere politico di spremere ricchezza dal lavoro, dall’ultimo ciclo produttivo. Se la quantità nominale di ricchezza attribuita alla finanza avesse un significato, basterebbe prenderne una piccola parte e si appianerebbero tutte le tensioni. Non è possibile, perché questa ricchezza non esiste: al valore nominale non corrisponde nemmeno il valore della carta che rappresenta i titoli di credito. Si parla di quantità pari a quaranta volte il PIL mondiale, oggetto di frenetici scambi quotidiani che solo per le spese di gestione hanno un costo in grado di soffocare l’economia reale. È un sistema destinato a un crollo inevitabile, come ammesso da tutti i capi di Stato occidentali nel pieno della crisi del 2007. Oltre a motivazioni etiche, morali ed economiche, il cambio di direzione è imposto dalla realtà di forze che sono in grado di rifiutare l’imposizione dell’unipolarismo come metodo di governo della globalizzazione e pretendono una gestione multipolare. Sono paesi che hanno subìto per secoli il dominio occidentale e sono disposti a combattere per scrollarsi di dosso questa pesante tutela. L’Occidente, usurpato del potere politico dalla finanza globale e predatoria, è ridotto a una mera espressione di potenza militare. È una comunità in declino, dove i motivi di contrasto tra le due sponde dell’Atlantico superano i vantaggi dell’unione e forse per nascondere questa evidenza si autodefinisce col termine inclusivo di Atlantismo; tenta di affermarsi con la guerra ma non può pretendere che i suoi giovani vadano a combattere per imporre un progetto assurdo che dimostra disprezzo per l’aspirazione ad un mondo più giusto e coeso. Deve assoldare uno stato fallito che manda a morire i suoi giovani, come si dice, per salvare le ricche e potenti democrazie occidentali, ma in realtà per mantenere la dittatura del dollaro, non nell’interesse del popolo americano ma dei vertici della finanza. Per pagare i mercenari devono inasprire ulteriormente le condizioni di chi lavora: si parla di economia di guerra… Questo avviene nell’imminenza delle elezioni per i vertici delle istituzioni democratiche europee e americane. È l’occasione per dire basta, ce lo impone la nostra responsabilità nei confronti delle nuove generazioni alle quali non possiamo tramandare un ordine insostenibile sull’orlo di una guerra nucleare. Basterebbe esprimere la volontà di agire in questa direzione affinché il castello di carta della finanza possa dissolversi senza lasciare traccia di sé. Si aprirebbero spazi per un mondo migliore, per riprendere il percorso ascendente della civiltà umana, col rifiuto della guerra e la demolizione del mito del potere illimitato del denaro accumulato e inutilizzabile. Ricordiamo che l’unico capo di Stato che condivide le opinioni qui espresse è papa Francesco. Ma non la Chiesa cattolica.