Domenica 7 aprile 2014
Domenica in Albis o “della Divina Misericordia”
Seconda Domenica di Pasqua; San Giovanni Battista de La Salle
“REBUS VIVENTI”
CI VORREBBE UN’INTERVISTA (IMPOSSIBILE)
di Paolo Piazzardi
Ci vorrebbe un’intervista, di quelle ‘impossibili’ naturalmente (a patto che non venga chiesto se “la vita è sogno”). Contribuirebbe a far luce su due “rebus viventi”, uno senza nome, l’altro con troppi “alias”.
Ma intervistarli sarebbe come invitarli ad aprirsi, a confidarsi, a dar vita a un “transfert”. Vorrebbe dire “mettere in piazza” emozioni, sentimenti, vittorie, sconfitte.
Si fa presto a dire “transfert’” anche se l’“uomo che sussurrava ai ratti” sarebbe stato un soggetto forse più “abbordabile” dell’altro.
Lo Spagnolo parla solo quando è in vena, è testimone reticente di se stesso, dopo il distacco dalla famiglia e dagli affetti.
Si dice che tra i diplomatici siciliani fosse in vigore una norma non scritta: uno scambio di occhiate, per sostituire parole superflue. Sguardi che fungevano da “password”, per un accesso riservato a pochi, pochissimi.
Ma qui c’è dell’altro. Tra i due c’è più una rivalità “professionale”, non cenni d’intesa complice.
E non potrebbe essere altrimenti, aggiungeremmo.
Si sta parlando di “primedonne”, per natura portate ad elidersi vicendevolmente.
Inoltre gli “affabulatori del Nana Hotel” sarebbero diventati due. Il rischio che si profilava era quello di mescolare le loro storie, di sovrapporle, di intrecciarle ad altre, in un “dare e ricevere” più confuso che fecondo.
“Last but not least”, qualcuno avrebbe potuto anche pensare: “Ma io questa storia l’ho già ascoltata”. Sì, è vero: raccontata dall’altro dei “duellanti”.
Ma qualcosa sfugge sempre, in questo andirivieni, in questo gioco di rimandi favoriti dal “Mekong”, il “drink” raccomandato per un’introspezione psicologica, sia di un laico che di un “incaico”.
Bangkok, anni Novanta. Serata d’onore alla Dante Alighieri. Un pubblico di famiglie italiane si appresta ad incontrare “il santone del Peru”.
Chi sarà mai? Un altro Yogananda Paramahansa? Non esattamente. Una specie di Osho Rajneesh? Neanche.
La serata ruota attorno alla “teoria dei colori” – diffusa a Cuzco ed ora anche a Bangkok – per la quale i colori, variamente combinati tra loro, darebbero una risposta ai grandi quesiti dell’umanità.
L’“alunno del sole” – così è stato presentato con enfasi – entra con movenze studiate nella sala banchetti de “La Locanda” di Bangkok.
È il momento “clou” della serata. Tutti gli occhi sono per Guantanamera, che, per l’occasione, indossa quello che pareva un piviale da Arciprete. Almeno così lo ricordavo da chierichetto.
Il suo capo è contornato da frecce. Lo accoglie un silenzio “sacrale”, impaziente di ascoltarlo.
E lo fa, ieratico come Pio XII. Rituali, formule, sacrifici umani o di animali (ne aveva già dato prova con l’incolpevole topo), tutto si riversa su quel pubblico di mamme, papà e bambini, i quali dimostrano maggiore attenzione dei loro genitori: occhi sbarrati per i più piccini, palpebre chiuse per i grandi.
Il successo della serata (per quanto la parola sia grossa) incoraggia il Nostro a spendersi di più.
Questa volta l’auriga del “Carro del Sole” (e dei colori) approda alla storica Università di Thammasat, maggiore centro di studi politico-economici, nel quale ha studiato la moglie, probabile promotrice dell’evento.
Il traffico di Bangkok ci costringe ad arrivare tardi. Ma si riconosce a distanza quel corpo, quel piviale, quell’Auditorium.
La sua vista 10/10 da pilota gli consente di riconoscermi tra la folla. E di invitarmi di sorpresa a una specie di prolusione. Come se fosse stato facile.
L’aviatore fa rullare i motori e si appresta al decollo. “Professore, dica, dica Lei al gentile pubblico presente cosa si può ottenere in natura dall’‘Ars Combinatoria’ dei colori”.
Più di me, quel giorno a Thammasat avrebbe fatto “all’uopo” E.L. James e le sue Cinquanta sfumature di grigio.
Il marinaio tamburella impaziente con le dita sul tavolo e guarda l’orologio. Non vuole far tardi con la lezione di “thai”. Ma quel che avvenne dopo valeva un ritardo.
Dal cassetto dei ricordi la vedova di Guantanamera estrae un “reperto” color seppia.
Aeroporto Militare di Pratica di Mare, anno 1938. Presentazione al Duce degli allievi del corso speciale per Piloti di Guerra sudamericani.
Mussolini esce dal Savoia Marchetti che ha pilotato, in uniforme bianca, come il suo casco di pelle. Quella sinfonia monocolore, senza le già ricordate sfumature, non lo soddisfa. A margine vergherà un inequivocabile “NO”, con matita rossoblù.
Un giovane allievo pilota del Perù è immortalato nell’atto di ricevere l’encomio. “Lui”?
Un rompicapo. In quella foto poteva essere anche Paul Meurisse de Les Diaboliques. Presente nella foto di gruppo, ma in fondo simile agli altri, per via di quel seppia “egualitario”.
Del resto, le eccezioni che non si prestavano ad equivoci erano due soltanto in quella foto: il Duce e Italo Balbo.
Altro era stato il vissuto dello Spagnolo.
Anche nel suo caso occorreva pur sempre fare i conti con la (sua) verità. Quale che fosse, la donava prodigo al colto e all’inclita. Largheggiava con le mance, come col menù dei viaggi: Congo, Macao, Singapore, Bali, Giava, Borneo: questi i “topoi” del gitano-andaluso.
Un Pinkerton all’incontrario. Quando “la nave giunge nel porto” la sua Butterfly indossa il kimono più bello. Né lacrime, né sospiri pucciniani, grazie a una tecnica pressoché infallibile: il denaro, che compensava il poco tempo a disposizione di due amanti.
Detta così, la cosa potrebbe inficiare i meriti dello Spagnolo: mercenari lui e lei.
Ma una seconda analisi rivela il segreto di una coppia che vince la sfida col tempo, con la routine, con le convenzioni.
C’era dell’altro, si capisce.
Non si dorme accanto a un uomo – con “Que Viva El Tercio” tatuato sull’avambraccio – senza ricevere in cambio molto più del denaro,
Conosceva la sua donna la Ballata del vecchio marinaio?
Probabilmente no, ma poco importava. Ad illustrargliela provvedeva lui, “tableau vivant” uscito dalle pagine di Coleridge, per poi farvi ritorno con un albatros al collo.
Per contro, quel mondo interiore – fatto di ansie, di angosce e solitudine – non era il suo.
Nella Ballata una forza misteriosa costringe il protagonista a raccontare la sua storia.
Il tavolo del Nana Hotel è prenotato per due. Anzi tre. È atteso un ospite, che vi alloggia dal 1772.