Domenica 21 aprile 2024, Domenica IV dopo Pasqua
Sant’Anselmo d’Aosta; San Silvio; Dies Natalis Almae Romae
EDITORIALE
CONTRO I PREGIUDIZI, LA DISINFORMAZIONE, LA CALUNNIA. GLI EBREI IN IRAN
di Alessandro Bedini
“Alle giovani generazioni bisogna insegnare ad ampliare gli orizzonti. Il mondo non finisce a New York”. Parole sagge mai così appropriate di fronte ai drammatici scenari che abbiamo di fronte ai giorni nostri. Sono l’auspicio di uno dei più autorevoli orientalisti e conoscitori del mondo islamico: il mai abbastanza compianto Massimo Campanini, islamista docente di Storia del Medio Oriente e di Civiltà islamica in varie Università, tra cui l’Orientale di Napoli, e la San Raffaele di Milano, autore di innumerevoli pubblicazioni, tra cui una monumentale Storia del Medio Oriente contemporaneo.
Complessità versus disinformazione, pluralità di opinioni versus mainstream, approccio storico-scientifico versus pensiero unico. Parole d’ordine che traspaiono dalle riflessioni a trecentosessanta gradi di Campanini. Il quale è stato, tra l’altro, un fine conoscitore del mondo persiano-iraniano, cui ha dedicato numerosi saggi e articoli. Dunque se, come ci ricorda Marc Bloch, la conoscenza del passato ci aiuta a meglio comprendere il presente, vale la pena provare a sfatare alcuni luoghi comuni che ci vengono quotidianamente serviti da giornaloni generalisti, telegiornali a orologeria et similia. In specie dopo l’acuirsi della crisi tra la Repubblica Islamica dell’Iran e lo stato ebraico di Israele, con sullo sfondo il mai risolto conflitto utrasettantennale israelo-palestinese, il genocidio, pardon massacro (la differenza è fondamentale…) che si sta consumando a Gaza, il pericolo di un incendio di tutto il Vicino e Medio Oriente che potrebbe portarci verso una terza guerra mondiale, come ammonisce Papa Francesco. L’Iran degli Ayatollah, diciamolo a scanso di equivoci, non ci piace, non ci piacciono gli eccessi di cui è vittima una parte della popolazione, le persecuzioni di chi dissente ecc. Ma l’Iran non è solo questo e, sempre a scanso di equivoci, i regimi tirannici o le democrature, come vengono definite con un pessimo termine le nazioni che non hanno sposato la democrazia liberale a guida occidentale o meglio à tête américaine, sono spesso accreditate, dall’Occidente liberal-progressista, della patente di “paesi arabi moderati”, vedi l’Arabia Saudita, gli Emirati del Golfo, il Kuwait, l’Egitto, la stessa Turchia, che addirittura fa parte della NATO. Il metro di giudizio è rappresentato insomma dal grado di obbedienza che ciascun paese manifesta nei confronti del “mondo libero”, meglio se a stelle e strisce. È consequenziale il fatto che paesi come appunto l’Iran, crocevia tra Asia, Africa e Europa, il quale si autopercepisce come una grande potenza regionale, punto di riferimento per il mondo sciita, ricchissimo di materie prime, gas e petrolio, che non intende sottomettersi ai “desiderata” di un Occidente, considerato come “inimicus” nel senso schmittiano del termine, venga bollato come stato canaglia e fatto oggetto di pesanti sanzioni. Lo stato di Israele, con la sua politica espansionistica, viene identificato come l’avamposto di quell’Occidente che intende imporre la propria egemonia al resto e mondo, secondo una logica imperialista. Già, Israele, ma quali sono e quali sono stati i rapporti della Repubblica Islamica con il mondo ebraico? È lecito oppure no separare quella che è la strategia politico-militare dello stato ebraico, l’entità sionista come la si definisce dalle parti di Teheran, dai rapporti con quegli ebrei che vivono sul territorio dell’antica Persia? Ebbene la comunità ebraica che vive in Iran, stimata tra trenta e trentacinquemila unità, è la più numerosa dopo quella di Israele. Le sue origini sono antichissime, si stima sia presente in Persia sino dall’VIII secolo avanti Cristo. Durante l’epoca Sasanide, prima ancora dell’avvento dell’Islam, era la più numerosa comunità ebraica del mondo, ancor più estesa di quella della Palestina. Anche dopo la conquista islamica la comunità ebraica restò numerosa e si andò sviluppando, tra l’altro, un importante filone letterario persiano-giudaico, la cui scrittura era in caratteri ebraici. Le genti del Libro ahl al-kitab, erano libere di professare la propria religione. Facendo un salto temporale di secoli, si arriva agli anni Sessanta-Settanta del Novecento, quando la comunità ebraica diviene la più facoltosa di tutto il Medio Oriente, escluso lo stato di Israele. Nel campo medico, accademico ed anche imprenditoriale, la comunità poteva vantare risultati di eccellenza. Tutto ciò aveva luogo in un paese islamico dove le minoranze erano e sono ancora oggi rispettate. È vero che in alcuni periodi ci sono state persecuzioni e intolleranza nei confronti degli ebrei, in specie sotto il dominio safavide, in Europa ne sappiamo qualcosa anche noi, ma a partire dal 1906, con la cosiddetta rivoluzione costituzionalista, tutte le minoranze religiose furono riconosciute e protette e fin da allora fu data la possibilità, alla comunità ebraica, di eleggere un proprio rappresentante nel Majiles, il parlamento iraniano. Dopo il 1917, con la dichiarazione Balfour che prevedeva un focolare nazionale ebraico nella Palestina che verrà poi posta sotto il mandato britannico, il movimento sionista cominciò ad essere attivo anche in Iran, creando non pochi problemi. Identità persiana ed ebraica finirono per creare una sorta di cortocircuito, tanto che le leadership ebraiche iraniane si dissociarono in modo netto dal movimento sionista. Nel 1951 l’Iran è stato il primo paese islamico a riconoscere lo stato di Israele, all’epoca in cui regnava Mohammed Reza Shah. Si arriva poi alle soglie della rivoluzione komeinista, ed è significativo che “nell’estate del 1978, dai 7000 ai 12000 ebrei hanno protestato contro il governo monarchico e quasi tutti i leader religiosi della comunità ebraica iraniana, come l’influente Yedidia Shofet, hanno partecipato alle proteste rendendosi anche determinanti nella collaborazione – come si legge nell’esauriente volume a cura di Giovanni Filoramo, Ebraismo, Bari, Laterza, 1999”. Veniamo all’oggi: la Costituzione iraniana sancisce che gli ebrei hanno eguali diritti dei musulmani. A suo tempo lo stesso ayatollah Khomeini varò un decreto nel quale veniva assicurata la protezione dello stato nei confronti degli ebrei e per tutti gli appartenenti alle religioni non musulmane. A loro, così come agli zoroastriani, è assegnato un seggio nel Parlamento. Le minoranze presenti in Iran hanno diritto all’auto-amministrazione e godono della libertà di culto, a Teheran ci sono circa undici sinagoghe cui sono associate le scuole ebraiche. La comunità ebraica possiede il più grande ospedale del paese, l’ospedale ebraico “Dr Sapir”, pazienti e buona parte del personale sono musulmani. Anche nell’ambito culturale i rapporti che potremmo definire “interreligiosi” sono assai sviluppati. A Teheran si trova una biblioteca ebraica con diverse migliaia di libri e numerosi studiosi frequentano la Biblioteca Centrale dell’associazione ebraica. Nel 2003 il presidente Khatami si è recato, per la prima volta, dopo la rivoluzione del 1979, in una sinagoga, dove ha incontrato il rabbino capo. Vale ancora una volta la pena di sottolineare un paio di questioni. Primo: sionismo e ebraismo non sono affatto sinonimi. Criticare o, nel caso dell’Iran, essere in conflitto con lo stato ebraico non significa essere antisemiti o meglio antigiudaici, quindi persecutori di ebrei, e quanto abbiamo sommariamente esposto sopra lo dimostra. Secondo: il regime iraniano può e magari deve essere biasimato per il clima oppressivo che ha instaurato, ma sul piano dei rapporti internazionali e su quello con le minoranze religiose il giudizio non può essere lo stesso. Demonizzare l’avversario è un esercizio che purtroppo l’Occidente ha ben imparato a praticare, vedi Iraq e Afghanistan, solo per fare gli esempi più recenti, provocando danni incalcolabili di cui ancora oggi paghiamo le conseguenze con la compiacente benedizione dei cosiddetti organismi internazionali.