Domenica 21 aprile 2024, Domenica IV dopo Pasqua
Sant’Anselmo d’Aosta; San Silvio; Dies Natalis Almae Romae
MA IL NOSTRO PAESE È PRONTO PER UN’EVENTUALE GUERRA?
POCHI SOLDATI, POCO PERSONALE MILITARE, CORRIAMO AI RIPARI
Gli italiani si sono scoperti neobellicisti e rispolverano il Si vis pacem, para bellum, un tempo improponibile e considerato parafascista. E va bene: contenti loro… Però in Italia mancano militari, aviatori, marinai. E non è solo una questione di leva obbligatoria.
Secondo la nostra Difesa la Marina Militare italiana e non soltanto, anche esercito e Aeronautica, hanno urgente bisogno di più personale, seguendo la necessità generale di rafforzamento delle forze armate del Paese. Nel suo ultimo rapporto annuale, pubblicato recentemente, appare che la Marina Militare Italiana avrebbe bisogno di raggiungere un organico di 39.000 unità per portare a termine le sue missioni in corso, ovvero di un aumento del 34% rispetto agli attuali 29.000 organici.
Riprendendo la questione annunciata la settimana scorsa davanti al Parlamento dal Capo di Stato Maggiore, Ammiraglio Giuseppe Cavo Dragone, che riguarda tutti i principali Corpi militari del nostro Paese, questa è una conseguenza dell’aumento del numero di missioni all’estero alle quali l’Italia è chiamata a partecipare, nonché da una crescente necessità di pattugliamento dei nostri mari contro la presenza, spesso imprudente, di unità non appartenenti a Paesi Nato.
Ma c’è di più: inevitabilmente bisogna affrontare anche i primi effetti della crisi demografica, con le nuove generazioni in età di possibile ingresso nelle Forze Armate, cioè oggi i nati entro il 2006, che sono in numero minore e si rischia di non poter sostituire i circa 170.000 uomini che prossimamente andranno in pensione. In totale, al giorno del discorso di Cavo Dragone ai politici, i militari italiani in servizio erano 165.564. L’altro fattore è che l’Italia nel decennio 2014-2024 aveva progressivamente ridotto il numero di professionisti, poiché la situazione geopolitica vedeva minacce quasi esclusivamente all’estero. Una riduzione a 150.000 unità (-40.000 sul totale 2011), era prevista dalla legge 244 del 2012, poi emendata con la n. 119 del 2022 che rimanda il termine ultimo per il “dimagrimento” dei militari al 2034 e fissa la possibilità di arruolare altri 10.000 uomini, secondo l’ammiraglio comunque ancora pochi. Secondo l’attuale assetto, la Marina dovrebbe raggiungere l’organico di 30.500 unità, contro una richiesta ufficiale di 39.000, dai 29.000 attuali. Da notare che lo scorso anno la nostra Marina ha utilizzato in media 4.000 marinai al giorno nelle sole operazioni programmate, con il picco raggiunto a fine aprile, quando risultavano schierate 42 navi, 4 sottomarini, 18 velivoli e complessivamente 7.324 persone.
Sebbene le nuove unità navali in costruzione prevedano equipaggi meno numerosi, non possono certo considerare personale attempato quando si tratta di compiere operazioni gravose o emergenziali. Uno degli effetti più immediati è il concorso a nomina diretta per giovani ufficiali (tra i requisiti quello di essere laureati in discipline Stem, Medicina o Legge), annunciato anche dall’Aeronautica Militare. Ma in un Paese con oltre settemila chilometri di coste, posizionato al centro del Mediterraneo e membro della Nato e della Ue, la cui expertise militare e cultura della sicurezza sono richieste all’estero, la Marina dovrebbe essere la Forza armata più organizzata e meglio equipaggiata. E oggi paghiamo decenni di silente riduzione della spesa militare, dettata da due cause: l’illusione del risparmio e l’ideologia pacifista. Qualche paragone: la Germania ha 184.000 militari in servizio e 15.000 riservisti; la Francia 200.000 + 35.000; il Regno Unito un totale di 98.100. E se c’è chi pensa a reintrodurre la leva obbligatoria, oggi impensabile vista l’alta (e costosa) preparazione necessaria per combattere, è anche vero che le generazioni successive al 2010 sono ancor più ridotte nei numeri.
(Fonte: Panorama)
L’ESERCITO ITALIANO HA BISOGNO DELL’AUMENTO DELLE SPESE MILITARI
Organico poco numeroso e poco addestrato, mezzi da aggiornare. Le eccellenze dei nostri reparti speciali non coprono il problema globale della nostra difesa, per troppi anni poco considerata dalla politica. E bisogna correre ai ripari.
La guerra in Europa non è più un’ipotesi lontana. Lo dimostra la famosa circolare dello Stato maggiore dell’Esercito che ha chiesto ai vari comandi di “valutare le domande di congedo anticipato” e che “tutte le unità in prontezza” siano alimentate al 100% con personale da addestrare. Una guerra quindi che viste le premesse potrebbe interessare anche noi italiani. Ma qual è la situazione numerica ed operativa del nostro Esercito?
Le Forze armate italiane dispongono complessivamente di oltre 170mila soldati di cui 89.400 nell’Esercito (il resto sono Aeronautica e Marina Militare) e sono considerate il 12esimo esercito più potente al mondo secondo Global Firepower. Una potenza confermata anche dai fondi investiti nella Difesa. Nel 2020 infatti l’Italia ha speso circa 23 miliardi di euro nelle proprie forze armate, pari a circa l’1,30% del PIL mentre nel 2021 la spesa è aumentata arrivando quasi a 25 miliardi (1,41% PIL). Investimenti che a quanto sembra non sono stati comunque sufficienti. Per questo in Parlamento si è parlato di incrementare ancora la spesa militare “verso il traguardo del 2% del PIL” per l’oggettiva mancanza di personale e mezzi in grado di fronteggiare un’emergenza bellica immediata con una previsione di spesa che sfiora i 26 miliardi.
La verità è che l’Esercito del nostro Paese da 50 anni dal punto di vista militare non è più operativo se non nei teatri di guerra o in missioni di pace all’estero, dove l’Italia è impegnata in 34 nazioni con i suoi corpi d’élite. A questo proposito dobbiamo ricordare che i nostri corpi speciali sono universalmente riconosciuti come vere e proprie eccellenze che il mondo invidia e vuole copiare; mentre sul territorio italiano il personale militare si è occupato solo delle emergenze: terremoti, operazione Strade Sicure, incendi, ricerca persone scomparse e supporto alla sanità pubblica come abbiamo visto durante la pandemia, sono stati i compiti assegnati ai soldati italiani negli ultimi decenni. Insomma, personale di certo non più abituato ad operazioni reale di offesa o difesa. Tutto quindi viene demandato all’addestramento, sulla cui efficacia ci sono però dei dubbi. Sono in molti infatti a sostenere che effettivamente solo il 20% del nostro Esercito sia pronto al combattimento. Mentre sul fronte armamenti ad oggi il Ministero della Difesa non rilascia numeri ufficiali sulle armi ed i mezzi per motivi di sicurezza ma secondo alcuni dati trapelati non si sbaglia nel dire che a nostra disposizione abbiamo 200 carri armati che non sono di ultima generazione. Si tratta infatti di cingolati con oltre 20 anni di anzianità e in difficoltà di manutenzione, come ha segnalato anche il sottosegretario alla Difesa Giorgio Mulè che ha parlato di “mezzi vetusti”.
Tutto questo è frutto di scelte decennali della politica che, in una situazione di pace consolidata in Europa, ha via via ridotto non solo i soldi ma anche importanza all’attività della difesa. Basti pensare a chi, come il Movimento 5 Stelle, ad esempio è sempre stato contrario all’acquisto di nuovi aerei F35.Tutte scelte che possiamo definire “pacifiste” e per certi versi anche “logiche” vista la situazione in Europa; oggi che però il quadro è cambiato ci troviamo costretti ad inseguire l’ennesima emergenza. Ma se questo in contesto dovessimo entrare in guerra l’Italia sarebbe pronta?
Come dobbiamo anticipato solo il 20% delle forze armate è addestrato perché i corsi di addestramento sarebbero troppo costosi e non indispensabili visto l’impiego che è stato fatto dei militari in attività del tutto esterne al contesto militare. Addirittura qualcuno voleva usare l’esercito per asfaltare le strade. La verità è che solo oggi ci si è accorti a causa della guerra in Ucraina dell’impiego dei militari italiani in operazioni che non hanno nulla a che vedere con la prima mission prevista dalla Costituzione ossia difendere i confini dello Stato. Per questo la difesa è corsa ai ripari con la famosa circolare inviata ai comandi che nonostante sia ordinaria come dichiarato dallo SME ha di nuovo la richiesta di trattenere in servizio i militari in scadenza della ferma. Significa che il soldato al termine di un anno o di 4 anni se vuole può rimanere in servizio, una cosa mai avvenuta prima d’ora, soprattutto in vista del taglio dei 20mila militari che era previsto nel 2024. Il rischio concreto è che le forze armate possano fare la figura che la Sanità ha fatto durante la pandemia. Ossia non essere in grado di fronteggiare un’emergenza di cui ad oggi non si conoscono le dimensioni e molto dipende da quale sarà il livello di escalation. Al momento quello che oggi è normalmente gestibile domani potrebbe sfuggire di mano come è già accaduto durante la Pandemia che ha trovato l’Italia impreparata.
(Fonte: Panorama)
ITALIA PRONTA ALLA GUERRA? QUEL CHE DICONO VERI O AUTOPROMOSSI “ESPERTI” (QUALI CROSETTO, CAVO DRAGONE, MARGELLETTI E DOTTORI)
Dal titolare della Difesa al capo di Stato Maggiore della Difesa, passando per esperti ed analisti, è allarme sulla situazione di esercito, forze militari, armi, munizioni.
L’Italia non è pronta a una guerra.
Ne è convinto il numero uno della Difesa italiana, Guido Crosetto. Alla domanda di Nicola Porro, conduttore di Quarta Repubblica durante la puntata del 25 marzo: “Siamo a un livello della difesa accettabile dal punto di vista di armamenti, formazione e militari?”, è stata la risposta del ministro della Difesa che non ha lasciato spazio a dubbi o interpretazioni: “No”. “Vuole la verità? Secondo me no”, ha ribadito Crosetto.
Il giornalista ha insistito chiedendo se questa affermazione sia “a livello di personale, munizioni, addestramento, cos’è che ci manca?”. “Se avessimo subito un attacco come quello che ha subito l’Ucraina… mi fermo”, ha chiosato Crosetto.
Affermazioni forti da parte del titolare della Difesa del nostro paese che già da tempo solleva la questione della situazione geopolitica internazionale “allarmante” sottolineando che il suo compito – d’altronde – “è preparare il Paese rispetto agli scenari peggiori”.
E se in Europa c’è chi si prepara a un eventuale conflitto con l’economia di guerra (come il nostro vicino d’Oltralpe), in Italia i vertici militari accendono un faro sulle forze armate italiane “assolutamente sottodimensionate” per i tempi che corrono.
Bisogna essere pronti a tutto per il ministro Crosetto
“Io preferirei non essere preoccupato ma l’Unione europea e gli Stati devono prefigurare qualunque tipo di scenario”, ha dichiarato oggi il ministro della Difesa Guido Crosetto a margine della cerimonia per i ‘100+1’ dell’Aeronautica Militare tenuta presso il Nuovo polo concorsuale a Guidonia.
“Penso non succederà nulla di grave, ma dobbiamo prepararci alla possibilità che possano succedere cose gravi, come ci ha insegnato l’Ucraina, magari non direttamente al nostro Paese”, ha aggiunto Crosetto, sottolineando che “l’Italia affronta la sfida del terrorismo da anni in silenzio. Ogni giorno le forze armate e di polizia combattono il terrorismo. Lo Stato c’è sempre, vigile; questo non significa che il pericolo scompaia, significa che i cittadini devono sapere che lo Stato non si accorge del terrorismo solo quando succede qualcosa, come successo in Russia qualche giorno fa”.
“La Difesa è il presupposto fondamentale della democrazia e necessariamente deve parlare anche di cose brutte, perché non esiste la possibilità di difendersi senza armi”, ha poi detto il ministro nel corso della cerimonia. “In un momento drammatico come questo, ci siamo ricordati che la Difesa non poteva essere solo una protezione civile 4.0, il mondo può cambiare e questo è un periodo che nessuno si augurava. Ma noi non abbiamo mai mollato. Molti nostri concittadini si erano dimenticati dell’esistenza di Isis, non noi che la combattiamo in Iraq e in Kuwait. Le provocazioni vanno avanti da oltre due anni ai confini europei. Siamo qui per difendere il Paese, anche quando nessuno si ricorda del pericolo. Il nostro maggior successo è la tranquillità che però richiede impegno costante, sacrificio, preparazione e investimento”.
No alla leva obbligatoria
Allo stesso tempo, il ministro della Difesa ha precisato che nonostante lo scenario attuale “Non si è mai parlato di leva obbligatoria nel Paese”. “Viviamo tempi difficili, in cui semmai c’è bisogno di tanti professionisti. Dobbiamo piuttosto ragionare sul numero di questi”, ha spiegato Crosetto, aggiungendo: “Abbiamo bisogno di professionisti formati, non di cittadini che fanno un anno di leva”.
Lo scenario mutato delineato dal capo di Stato maggiore della Difesa
Riguardo il nuovo contesto geopolitico, si è espresso proprio ieri anche il capo dello Stato maggiore della Difesa, Giuseppe Cavo Dragone, durante un’audizione presso le Commissioni riunite Esteri e Difesa della Camera e la Commissione Esteri e Difesa del Senato. “Se mettiamo a sistema la crisi nello stretto di Aden, l’evoluzione dello scenario geopolitico dal Sudan al Sahel, fino all’Africa occidentale e alla regione dei grandi laghi, si vede prendere forma una fascia di instabilità che minaccia l’Europa, in grado di condizionare flussi commerciali, movimenti migratori e approvvigionamenti energetici”, ha spiegato Cavo Dragone. “Gli ultimi sviluppi hanno portato la Nato a rivedere tanto il proprio modello di forze quanto i piani di difesa” ha aggiunto Cavo Dragone.
La complessità dello scenario geopolitico attuale, nonché le minacce alla sicurezza internazionale, sono all’origine del dispiegamento delle Forze armate dell’Italia all’estero. Lo ha detto il capo dello Stato maggiore della Difesa, Giuseppe Cavo Dragone, durante un’audizione presso le Commissioni riunite Esteri e Difesa della Camera e la Commissione Esteri e Difesa del Senato. “La dimensione operativa è senza precedenti dal dopoguerra: dai Paesi baltici, lungo tutto il fianco est della Nato, dal Medio Oriente al Corno d’Africa, dal Mar Rosso sino al Golfo di Guinea passando per il Sahel”, ha affermato Cavo Dragone illustrando che “In coerenza con la nostra appartenenza al perimetro euro-atlantico, la Difesa assicura un contributo significativo a 9 missioni della Nato, 8 dell’Unione europea e 5 delle Nazioni Unite; 14 iniziative sono invece condotte all’interno di specifiche coalizioni o su base bilaterale”.
Forze armate insufficienti
E non c’è bisogno di ipotizzare lo scenario peggiore di un conflitto in Europa per tracciare un bilancio negativo dello stato delle forze armate tricolori.
Soltanto in base agli attuali impegni della Difesa l’entità delle forze sia insufficiente: “Oggi siamo assolutamente sottodimensionati: 150mila è improponibile, 160mila che è quello che ci è stato approvato è ancora poco e 170mila è il limite della sopravvivenza” ha evidenziato il Capo di Stato maggiore della Difesa. “La legge Di Paola del 2012 avveniva in un contesto diverso, sono cambiati gli impegni e le minacce”.
“Se penso alla situazione mi metto le mani nei capelli. Nell’esercito – ha ricordato ancora Cavo Dragone – abbiamo turni di impiego massacranti. Sono cambiati i tempi, sono cambiate le minacce, e il nostro impegno è sempre più massivo. Vogliamo una difesa europea, e questo ci richiederà tanto. Ho fatto richiesta per avere più uomini. Continuerò a chiederli fino a che non mi cacciano” ha concluso Cavo Dragone.
In arrivo scontro militare in Europa secondo Margelletti
Anche se, lo scenario peggiore sembra più vicino che mai.
“La mia sensazione, da Presidente del Centro Studi Internazionali [dov’è situato tale prestigioso istituto? Com’è composto il suo staff?], è che avremo uno scontro militare in Europa fra qualche tempo – ha osservato il prof. Andrea Margelletti in un’intervista odierna rilasciata a Policy Maker – I russi non hanno alcun interesse, alcun desiderio, alcuna voglia, di aprire un dialogo politico con l’Occidente, perché, altrimenti, sarebbe semplicissimo: fermi i combattimenti e ti ritiri. Stante che questa cosa non avviene e che i russi continuano a ripetere, come un mantra, che combattono per la denazificazione, la demilitarizzazione dei territori, non c’è alcuno spazio negoziale”, ha proseguito Margelletti.
Necessario un commissario Ue per la Difesa
E alla luce di questo scenario, “credo che – ha spiegato il presidente del Cesi – l’Europa dovrà fare molto di più per occuparsi della propria difesa. Il che vuol dire apporti bilaterali o multilaterali tra i vari strati. L’esercito europeo, le forze armate europee prevedono che ci sia una governance europea. Ma senza un Presidente europeo, senza un ministro degli esteri europeo, di un ministro della difesa europea, di quale governance parliamo? Inoltre, credo che dovremmo fare una serissima riflessione e riconoscere che sia il momento di istituire, all’interno della Commissione europea, la figura di Commissario alla difesa. In questo modo inizieremmo in maniera reale a sincronizzare gli sforzi nella difesa e nell’industria della difesa perché ne abbiamo bisogno”.
È il momento di prepararsi
Per il professor Margelletti [professore? Da quale cattedra insegna?] infatti non c’è alcun dubbio: “Noi andiamo alla guerra, questa è la mia sensazione. E non perché lo vogliamo” ha spiegato a PolicyMaker, “ma perché pare che sia inevitabile dagli atteggiamenti dei russi. Mi preoccupa molto, invece, quando io sento dire non è il momento di parlare di guerra. Questo vuol dire che noi non siamo preparati psicologicamente e strutturalmente a un eventuale conflitto. Si ricordi che ieri il ministro della difesa Crosetto ha detto che noi non siamo preparati. Il fatto che noi non siamo preparati vuol dire che noi ci dobbiamo preparare. Il primo passo per risolvere un problema è riconoscerne l’esistenza” ha concluso il presidente del Centro Studi Internazionali.
Una nuova fase storica
Tuttavia, secondo Germano Dottori, analista geopolitico e consigliere scientifico di Limes, “di tutte le amministrazioni statali italiane, la Difesa è quella che sembra avere la percezione più chiara del cambiamento in atto in questa fase storica. Per quanto il personale della Farnesina segua con grande attenzione quanto capita nel mondo, i militari hanno infatti colto per primi alcuni tratti essenziali del mutamento in corso”, ha scritto sull’ultimo numero della rivista diretta da Lucio Caracciolo.
“Proprio per questo sarebbe stato necessario equipaggiarsi in anticipo, con l’obiettivo di consegnare alla nazione uno strumento militare tendenzialmente in grado di affrontare da solo o con qualche alleato regionale ogni genere di crisi al di sotto dello scenario della guerra mondiale tra superpotenze, ovvero quello descritto dall’articolo 5 del Patto Atlantico relativo alla mutua difesa collettiva” prosegue Dottori, ammettendo: “Certo, i soldi sono pochi e basso è ancora il consenso nei confronti dell’incremento delle spese militari italiane”.
“Ma non è solo questione d’armamenti. I conflitti in cui si sta articolando la Guerra Grande stanno facendo giustizia di un’illusione in cui a lungo ci eravamo cullati dopo la fine della guerra fredda. Il combattimento contemporaneo consuma elevati quantitativi di munizioni e richiede quantità di effettivi incompatibili con i modelli di difesa di cui ci siamo dotati progressivamente dopo il crollo del Muro di Berlino”, ha aggiunto l’esperto su Limes.
“Cambiare mentalità”
“In ogni caso, si naviga avendo sulla linea dell’orizzonte degli obiettivi non immediatamente raggiungibili. La traduzione della pianificazione militare in autentiche capacità aggiuntive richiede infatti un lungo periodo di tempo, circostanza che sfugge alla gran parte dei non addetti ai lavori. Lo strumento che abbiamo è stato immaginato dieci-quindici anni fa, e oggi stiamo costruendo il percorso che definirà le Forze armate degli anni Trenta e Quaranta di questo secolo” prosegue Dottori.
“Cambiare la mentalità di un sistema e la cultura politico-strategica del nostro paese, infine, sarà un processo ancora più lungo, complesso e incerto, a meno che non si verifichi un grosso shock. Specialmente per noi italiani, tra i quali è già affiorata la tentazione di trasferire al più presto la delega a proteggerci esercitata dagli Stati Uniti, che non vogliono più assumersi questa responsabilità, a un’Europa nella quale sarà difficile trovare interlocutori più sensibili di noi alla salvaguardia dei nostri interessi nazionali”, ha concluso il consigliere scientifico di Limes.
(Fonte: Startmag)
RISCHIO GUERRA TOTALE, I DOSSIER DEGLI 007 EUROPEI: “PUTIN PUÒ ATTACCARE, INVESTIRE NELLE ARMI”
L’industria bellica continentale cresce, ma è dietro al resto del mondo. Il generale Li Gobbi: “L’esercito italiano deve arruolare più giovani”.
Roma, 25 marzo 2024 – Il rogo ucraino e l’aggressività russa si sono trasformate in una lezione per l’Europa, la quale sta cominciando a comprendere che la politica della difesa comune tra Paesi membri va allestita dal punto di vista dei sistemi d’arma, degli investimenti e dell’organizzazione. Più cooperazione e spese razionalizzate. Ce lo suggerisce lo scenario di guerra ucraino, premono i Paesi baltici e la Polonia che si sentono esposti a imprevedibili mosse di Mosca, lo fa pensare l’atteggiamento degli Usa che in caso di vittoria di Donald Trump non è detto continuino nell’assistenza militare come oggi.
Circola una preoccupazione ricorrente negli ultimi rapporti annuali dei servizi segreti dei principali Paesi Ue: “La Russia, se avrà campo libero, non si fermerà in Ucraina. Si sta preparando a una guerra lunga con l’Occidente”. Sono in tensione i Baltici, Polonia, i neo-soci del club della Nato, Finlandia e Svezia. Forse per la prima volta in alcuni documenti ufficiali a Bruxelles si parla di “prepararsi a un’emergenza militare”. Su questo aspetto è in arrivo un rapporto destinato alla presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, la quale ha promesso che se sarà rieletta istituirà un commissario per la Difesa, premendo sul fatto che l’Europa deve aumentare le spese militari.
Le grandi manovre sono cominciate. Secondo una ricerca Ispi “nell’Ue l’industria bellica ha raggiunto nel 2022 un fatturato di 135 miliardi di euro (+10%) e ha impiegato circa 516mila persone (+4%). Tuttavia, nessuna azienda di un Paese Ue compare nella classifica delle 10 più grandi per fatturato a livello mondiale”. Anche qui, dunque, è d’obbligo una riflessione perché se servono armamenti, servono anche aziende tecnologicamente avanzate per produrli. Troppi sistemi sono acquistati fuori dall’Ue e in ordine sparso.
L’italiana Leonardo è la prima impresa europea nell’industria della difesa e si posiziona solo all’11° posto con un fatturato 2022 di 12,9 miliardi di dollari. E servono armamenti comuni perché non si possono avere 3-4 tipi di mezzi blindati diversi e filosofie difensive differenti tra Paesi membri. L’intenzione è arrivare entro il 2030 a far sì che i Paesi Ue appaltino in comune il 40% dell’equipaggiamento. E nella Difesa ognuno deve arrivare a destinare il 2% del Pil.
L’Italia dopo anni di tentennamenti ha previsto un piano di robusti investimenti interni dal 2024 al 2029. “Il mondo è cambiato e cambia anche il nostro modello di difesa – spiega il generale Antonio Li Gobbi, già direttore delle operazioni presso lo Stato Maggiore della Nato a Bruxelles – e l’Italia deve rinforzare alcuni aspetti. Fino al 2014 si è puntato su un modulo di proiezioni rapide con forze ridotte e flessibili. Oggi come vediamo in Ucraina è da mettere in conto anche un possibile scontro sul terreno con forte capacità di fuoco. È necessario arruolare più giovani, più impiegabili sul campo e con ferme brevi, anche di 9-10 anni. Con la garanzia di veicolare poi chi esce verso altre occupazioni. Oggi abbiamo in servizio circa 100mila uomini. Il numero va aumentato”.
Poi c’è il nodo degli equipaggiamenti d’arma. Ancora Li Gobbi: “Bisogna puntare sull’aumento di forze corazzate, artiglieria, difesa aerea. Tutto ciò senza dimenticare la tecnologia di ultima generazione come i sistemi aerei a guida remota, i sistemi di intercettazione. L’Italia ha già allestito anche una scuola di formazione per la guida dei droni, che oggi come si vede nei teatri bellici, sono fondamentali per la ricognizione e l’attacco”. In Italia l’aumento della spesa militare è trainato da un bilancio del ministero della Difesa che supera per la prima volta i 29 miliardi di euro (+5,1% rispetto al 2023).
(Fonte: Quotidiano Nazionale)