Domenica 19 maggio 2024, festa “ufficiale” della Pentecoste
RISCRIVERE LA STORIA, FRAINTENDERE LA STORIA, FALSIFICARE LA STORIA
LA DESTRA STORICAMENTE ATLANTISTA. È VERO?
di Antonio de Felip
In un convegno organizzato nel 2022 dal think tank liberal-conservatore e occidentalista Fare Futuro, Giorgia Meloni sostenne che:“dal Movimento Sociale Italiano a oggi la destra è sempre stata atlantista”.
Il tema di un supposto “atlantismo storico” della Destra venne richiamato anche quando la leader di Fratelli d’Italia compì un devoto pellegrinaggio ad limina a Washington o, ancora più recentemente, in occasione del suo zelo atlantista e russofobico, al limite del fanatismo, riguardo al conflitto tra Russia e Ucraina.
Più volte abbiamo sentito o letto espressioni come: “Il tradizionale atlantismo della Destra” oppure “la Destra da sempre occidentalista” o simili.
Poiché Fratelli d’Italia non ha ripudiato, almeno non ancora, quello storico simbolo che, seppur mutilato, ancora fiammeggia nel suo emblema e quindi ne accetta, almeno in parte, l’eredità, sia pure con qualche abiura non sempre ben vista da tutti i suoi esponenti, militanti e simpatizzanti, è lecito chiedersi se questo richiamato schieramento atlantista e filoamericano sia storicamente vero, lo sia stato da sempre, lo sia stato senza dubbi o spaccature.
Filoamericano?
Per essere più espliciti, è vero che il MSI, nella sua storia, è sempre stato entusiasticamente filoamericano e graniticamente atlantista?
E quali furono le posizioni di quel mondo complesso e articolato che, in taluni casi con qualche forzatura, possiamo definire di Destra e che non si esaurisce nel MSI?
Il MSI venne fondato il 26 dicembre 1946, a Roma, nello studio di Arturo Michelini. Tra i fondatori, Pino Romualdi (che, ancorché ricercato dalla polizia del neonato regime democratico, fu il grande tessitore della nascita del nuovo partito), Giorgio Almirante, Giulio Cesco Baghino e altri.
Aderirono testate giornalistiche, piccoli partiti, esponenti di gruppi clandestini fascisti che avevano operato nel Sud occupato dagli Alleati, ma il nerbo dei dirigenti era costituito da reduci della RSI, molti dei quali provenienti dai campi di concentramento dove i vincitori ammassarono, vessarono, torturarono e affamarono i vinti che non rinnegarono la scelta della Repubblica di Salò, come il famigerato campo di Hereford in Texas, quello di Algeri, quello inglese di Yol sotto l’Himalaya, in Italia quello di Certosa di Padula, di Coltano con i suoi sottocampi vicino a Pisa, in uno dei quali fu rinchiuso, in una gabbia a cielo aperto, anche Ezra Pound.
È ovvio come in quell’ambiente e in quei gruppi umani non ci potesse essere nessuna simpatia per gli USA e poi per il Patto Atlantico da cui originò la NATO, anche se lo storico Giuseppe Parlato avanza l’ipotesi, mai documentalmente dimostrata, di contatti, immediatamente dopo la guerra, tra i servizi USA e Junio Valerio Borghese e forse lo stesso Romualdi.
Il programma del MSI
Nei dieci punti programmatici del neonato MSI, l’accenno alla posizione internazionale è piuttosto sobrio: “Politica estera ispirata agli interessi concreti e contingenti della Nazione, auspicando la formazione di una unione europea su piede di parità e giustizia”.
Quando, nel luglio 1949, si trattò di votare alla Camera (ove il MSI aveva sei deputati) la ratifica dell’adesione dell’Italia al Patto Atlantico, il partito decise di votare per il no, decisione che venne rispettata da tutti i deputati tranne che da Guido Russo Perez, che proveniva dalle file dei qualunquisti, che votò a favore, dando vita a un incidente che la dice lunga sul comune sentire all’interno del partito: un gruppo di dirigenti giovanili, Giulio Caradonna, Gianfranco Finaldi, Marcello Perina, Mario Tedeschi (futuro direttore de Il Borghese) ed Enrico de Boccard affrontò Russo Perez in piazza e l’ex qualunquista si beccò due sonori schiaffoni: Caradonna e Tedeschi si contesero poi l’onore di questi schiaffi.
Uno degli organi neofascisti, La Sfida, lo bollò come “traditore”. Russo Perez, per evitare l’espulsione per indisciplina, diede le dimissioni dal gruppo parlamentare e passò a quello della DC.
L’astensione
Nelle votazioni successive sulla NATO il MSI, sempre tra accese polemiche interne, si astenne.
Per protesta, Roberto Mielville, un apprezzatissimo giovane dirigente e segretario del Raggruppamento giovanile, già combattente in Africa, prigioniero degli americani sopravvissuto alle feroci condizioni del campo di Hereford e popolarissimo tra i giovani missini (sua la frase: “Il peggio del Fascismo è meglio del meglio dell’antifascismo”) si dimise per protesta.
Su questa discussa decisione per l’astensione pesava la concreta minaccia internazionale comunista sull’Europa, ma anche l’illusione, dimostratasi poi ingenua, di poter contrattare l’adesione italiana con l’ammorbidimento delle terribili clausole vessatorie del Trattato di pace: la perdita di parte della Venezia Giulia, di Trieste, dell’Istria, della Dalmazia, delle colonie e altre umilianti condizioni.
Era questa l’idea di uno dei fondatori del MSI, Ezio Maria Gray. Ovviamente questo “ammorbidimento” non avverrà mai.
Poi, con il “moderato” Augusto De Marsanich, eletto nuovo segretario al posto di Almirante, la scelta atlantista diverrà più palese, anche se lo stesso De Marsanich prenderà le distanze dal concetto di “Occidente”, dichiarando questa scelta “una lotta per la difesa e lo sviluppo di una civiltà che non è rappresentata dalla vaga nozione di Occidente, ma dall’Europa: insieme di valori umani, storici, sociali e religiosi”.
È un “Occidente” ben distante da quello atlantista.
Equidistanza dai blocchi USA/URSS
Scrive la storica Elisabetta Cassina Wolf: “Nell’interpretazione neofascista degli anni Quaranta e Cinquanta, il concetto di ‘Occidente’ non coincideva affatto con i valori e la cultura degli Stati Uniti d’America e neppure con i valori della democrazia rappresentativa oppure del capitalismo”.
L’equidistanza tra i due blocchi fu la base della politica missina di quegli anni, come conferma un altro storico, Pietro Neglie: “Il terzaforzismo […] si presentava nel nostro paese come una peculiare caratteristica del neofascismo organizzatosi nel MSI”.
Rimane il fatto che la scelta atlantista, sia pure compiuta con molte riserve, sarà sempre vivacemente discussa all’interno del partito.
Contrari a questa scelta erano i gruppi giovanili: nel settembre del 1950 nell’assemblea del Raggruppamento giovanile studenti e lavoratori prevalse la tesi, sostenuta da una mozione firmata, tra gli altri, da Pino Rauti, Silvio Vitale e Mirko Tremaglia, dell’opposizione integrale a comunismo e capitalismo e, ovviamente, al Patto atlantico.
Nel terzo congresso nazionale dell’Aquila sia la corrente della “sinistra sociale”, di cui faceva parte anche Giorgio Almirante, sia la “destra spiritualista” dei cosiddetti “Figli del sole” di Pino Rauti ed Enzo Erra, che raggruppava tradizionalisti evoliani e cattolici, chiesero con forza l’opposizione radicale al Patto Atlantico.
Le tre età della Fiamma
Come scrive Marco Tarchi nel suo Le tre età della fiamma: “La formula del rifiuto dell’ordine di Yalta […] è iscritta nel codice genetico del Msi”. E ancora: “Esisteva una ostilità di fondo verso gli Stati Uniti, dominata ma non esaurita completamente dalla loro immagine come vincitori della Seconda guerra mondiale e corresponsabili dell’ordine di Yalta”.
La maggioranza degli intellettuali d’area era fortemente contraria al Patto Atlantico e all’alleanza con gli USA: lo era Ernesto Massi, docente universitario e fondatore della scuola italiana di geopolitica, lo era Concetto Pettinato, brillante giornalista già direttore de La Stampa, condannato, poi amnistiato, dai vincitori a 14 anni per la sua adesione alla RSI, che definì l’adesione al Patto: “un atto di servizio nei confronti dei nemici” e che nel 1952 si dimetterà dal partito lamentando “una deriva reazionaria, conservatrice e filoatlantica”.
Contrari l’intellettuale e scrittore cattolico, all’epoca dirigente giovanile, Fausto Gianfranceschi che scriverà anni dopo: “Eravamo contrari al Patto atlantico perché condannavamo l’americanismo, la visione utilitarista e materialista di cui gli Stati Uniti erano portatori”.
Contrario Giorgio Pini, direttore del Resto del Carlino e poi sottosegretario al Ministero dell’Interno nella RSI, ovviamente incarcerato dai vincitori al termine delle ostilità. Il figlio sedicenne venne assassinato dai partigiani, colpevole di aver fatto visita al padre nelle galere dei “liberatori”. Pure lui uscirà dal MSI per protesta anche, ma non solo, per la scelta atlantista.
Le testimonianze
Interessante anche la testimonianza di Sergio Gozzoli, militante del MSI, poi uscitone negli anni ’60, autore di diversi testi e animatore della rivista L’Uomo Libero: “Ho sempre considerato l’America la nostra peggior nemica e non ho cambiato idea. Lasciai il MSI proprio perché, accettando il sistema, si era convertito al filoamericanismo”.
E Gaetano Rasi, tra i fondatori del MSI in Veneto, poi ideatore ed animatore dell’Istituto di Studi Corporativi, di cui fu presidente Ernesto Massi: “Sul Patto atlantico eravamo critici, perché credevamo nella sovranità della nazione”, anche se poi ne accettò, per la situazione internazionale, l’adesione dell’Italia.
Assai duro invece il giudizio di Enzo Erra, uno degli intellettuali storici della Destra, autore di testi critici “da destra” delle tesi di De Felice sul Fascismo: definì il Patto atlantico una “mostruosa costruzione imperialista nella quale nessuno dei nostri vitali interessi viene salvaguardato”.
Tra gli anni ’60 e ’70 nel mondo della cultura di destra primeggiò la figura di Adriano Romualdi, figlio di Pino, morto prematuramente per un incidente nel 1973 che, nonostante il cripto-atlantismo del padre, si schierò per un’Europa Nazione anche quale superamento del patriottismo piccolo borghese del MSI che si limitava, come scrisse, alla “guardia del bidone di benzina dell’Alto Adige”.
Anche in Adriano troviamo il sogno di un’Europa quale terza forza, autonoma e indipendente da America e URSS: “Cos’è mai questo antifascismo se non il tentativo di nascondere Yalta, di nascondere agli europei che nel 1945 non sono stati ‘liberati’, ma venduti e spartiti?”.
La stampa “neofascista”
Coerentemente con le posizioni dei principali intellettuali d’area, anche la vivace stampa neofascista, attiva fin dal primissimo dopoguerra e che spesso sfidava le chiusure e le sospensioni del regime democratico, fu concordemente, quasi senza eccezioni, ostile all’alleanza con gli USA e con i vecchi nemici.
Questa la posizione di Rivolta Ideale, fondato nell’aprile del 1946, del Meridiano d’Italia diretto da Franco de Agazio e, dopo l’assassinio di questi per mano della Volante Rossa, da Franco Servello che, dopo il 1948 scelse il fronte dell’antiamericanismo, come ammise lo stesso Servello in un libro intervista del 2006 a cura di Aldo Di Lello.
Anche Rosso e Nero, vicina alla sinistra neofascista, è decisamente antiamericano, così come lo sono La Sfida, diretto da Enzo Erra, Asso di Bastoni di Pietro e Domenico Caporilli e Pagine Libere, forse la migliore rivista d’area di quel periodo, fondato da Vito Panunzio che poteva contare sulla collaborazione di penne prestigiose come, tra le altre, quelle di Ugo Spirito, Gioacchino Volpe, Adolfo Oxilia, Francesco Carnelutti, Attilio Mordini e poi i “giovani” Primo Siena, Giano Accame, Fausto Gianfranceschi.
La politica atlantista del MSI fu poi duramente avversata da Nazione Sociale di Ernesto Massi e dal centro studi omonimo collegato a questa rivista.
Imperium di Erra, Evola e Clemente Graziani
Ed è anche da citare la rivista Imperium, nata nel 1950, diretta da Enzo Erra, che annoverò tra i suoi collaboratori anche Julius Evola, oltre a nomi di spicco quali quelli di Clemente Graziani e Fausto Gianfranceschi, che fu poi costretta a sospendere le pubblicazioni per l’arresto di Erra, Gianfranceschi e altri, tra cui anche il futuro giornalista e deputato liberale, poi in Forza Italia, Egidio Sterpa, per l’accusa, montata dalla polizia del regime, di alcuni attentati con cariche esplosive da petardi che fecero pochissimi danni.
Anche Julius Evola fu arrestato, accusato di essere l’ispiratore e l’ideologo del gruppo, e portato in tribunale in barella, perché rimasto paralizzato sotto un bombardamento alleato a Vienna, che venne difeso, con una memorabile arringa, dal più grande penalista dell’epoca, Francesco Carnelutti, che abbiamo già trovato tra i collaboratori di Pagine Libere. La linea della rivista era l’esaltazione del potenziale ruolo dell’Europa contro il duopolio USA-URSS.
È da citare anche il Pensiero Nazionale di Stanis Ruinas, organo informale di quegli ambienti di reduci di Salò che, in nome dell’indipendenza nazionale e di un radicale antiamericanismo, giunsero persino a strizzare l’occhio ai comunisti.
L’Orologio
Una menzione particolare merita una rivista più tarda, L’Orologio, uscita nel 1963 e diretta da Luciano Lucci Chiarissi, che sostenne una posizione apertamente anticonservatrice e dichiaratamente terzomondista, oltre che, ovviamente, ferocemente antiamericana.
Uno dei più lucidi storici “dal di dentro” del mondo della Destra, Adalberto Baldoni, scriverà che “Il gruppo de L’Orologio, nel corso degli anni, diventerà la casa comune di intellettuali critici. Una vera e propria palestra di consapevolezza etica […]. Sarà una fucina culturale e creativa che in molti lascerà profonde tracce. Nel ’68 si schiererà decisamente a favore della contestazione”.
In nome dell’anti atlantismo e dell’antiamericanismo, L’Orologio individuò nell’imperialismo americano un pericolo maggiore di quello sovietico per la civiltà europea.
Compare qui un tema che ebbe ampia diffusione nella cultura “di destra” non solo italiana ma anche europea, quella degli U.S.A. come “nemico principale”.
Fu questo uno degli argomenti di punta di Jeune Europe, movimento nazional-europeo fondato dal belga Jean Thiriart e che chiedeva lo scioglimento simultaneo del Patto atlantico e di quello di Varsavia, allo scopo di unire il continente europeo in unica grande nazione “da Dublino a Vladivostock”.
Jeune Europe ebbe un buon seguito tra i giovani di destra di molti paesi europei delusi dalle politiche moderate e non sufficientemente antiamericane delle destre classiche.
Anche un giovanissimo Franco Cardini, uscito nel 1965 dal MSI in cui aveva militato per qualche anno, si avvicinò a Jeune Europe, grazie a un incontro con Jean Thiriart, invitato a Firenze da Attilio Mordini, al cui “cenacolo” Cardini partecipava.
Nouvelle Droite e Alain de Benoist
La formula degli USA “nemico principale” ebbe una certa fortuna nell’ambito della Destra, della Nouvelle Droite francese, nella Nuova Destra italiana e in genere in molti ambienti definibili “non conformisti”.
Alain de Benoist scrisse un saggio, Il nemico principale, contro il liberalismo, l’americanismo e l’occupazione dell’Europa. Significativi i titoli di alcuni capitoli: “L’Europa non può essere confusa con l’Occidente”, “Noi apparteniamo alla potenza continentale”. Una frase emblematica: “L’America non è una nuova Roma, ma una nuova Cartagine. Noi saremo sempre per Roma, contro Cartagine”.
Il saggio venne pubblicato in Italia da La roccia di Erec, casa editrice vicina alla Nuova Destra di Marco Tarchi (definizione a cui Tarchi preferì quella successiva di “Nuove sintesi”).
Con a Giorgio Locchi, de Benoist aveva scritto, anni prima, Il male americano, in cui esaminava il substrato imperialista e para-religioso della “ideologia americana”: “Dato che Dio ci ha favoriti, abbiamo il diritto di cercare di fare in modo che le altre nazioni si sottomettano alla nostra volontà”, scrisse un pubblicista conservatore USA.
A sua volta, Marco Tarchi pubblicò, nel 2004, un saggio, convincente e documentato anche sul piano delle argomentazioni, con il titolo Contro l’americanismo. D’altronde, questo è uno dei temi di fondo della sua rivista, Diorama, una delle più longeve dell’area “non conforme” italiana.
Rauti e la rivista Linea
Sempre in tempi più recenti, è da ricordare la rivista del mondo rautiano Linea, che ebbe un notevole successo nell’ambito dei militanti missini.
Anch’essa su posizioni assai critiche verso il liberalismo USA e a favore di un’Europa sciolta dai blocchi. Merita poi di essere ricordato Orion, originale e coraggioso foglio di Maurizio Murelli, Marco Battarra e Carlo Terracciano che si oppose all’inquinamento liberal-conservatore e atlantista della Destra e che esibì senza alcun problema le sue venature nazional-bolsceviche.
Per tornare ai gruppi politici, pare superfluo ricordare il fermo anti-atlantismo dei vari, variegati e diversificati movimenti extraparlamentari della destra radicale: il Centro studi Ordine Nuovo, poi Movimento Politico, Avanguardia Nazionale, Lotta di Popolo, Terza Posizione, e altri succedutisi nei decenni fino ad arrivare ai nostri giorni.
Infine, la Destra giovanile, nelle sue varie sigle storiche: Raggruppamento giovanile studenti e lavoratori, Giovane Italia, Fronte della Gioventù: in migliaia di manifesti, convegni, comizi, manifestazione non è mai emersa una posizione atlantista.
La stragrande maggioranza dei giovani “nazionali” è sempre stata ostile agli USA e alla NATO. Sempre.
Si può citare, come esempio tra molti altri, uno striscione comparso in una manifestazione del FdG a Padova nel 1985: “Non sarà oggi, sarà domani, butteremo a mare russi e americani”.
Goliardia antiamericana
Chi scrive si ricorda, sempre negli anni ’80, un goliardico slogan a una manifestazione a Milano: “Russi e americconi, fuori dai coglioni”, con la sua gustosa variante partenopea: “Russi e americchioni etc.”.
Infine, come non ricordare che il 28 maggio 1989 a Nettuno centinaia di giovani del FdG e del MSI cercarono di dimostrare contro la visita del presidente Bush e contro gli USA?
Furono duramente caricati dalla polizia, con numerosi feriti per le percosse ricevute dai poliziotti.
Tra i feriti, poi arrestati con decine di altri militanti, anche il segretario nazionale del Fronte della Gioventù, Gianni Alemanno e il segretario provinciale, Fabio Rampelli, oggi felicemente vice-presidente della Camera dei Deputati.
Torniamo alla domanda iniziale: si può impunemente affermare che la Destra, intesa come “campo largo” è sempre stata atlantista? Che l’atlantismo e il filoamericanismo è nel suo DNA?
No, decisamente no.
Quando, in nome dell’anticomunismo e della situazione internazionale, il principale attore della Destra, il MSI accettò il Patto atlantico obtorto collo, con molte riserve e pagando il prezzo di non pochi dissidenti fuoriusciti, non lo fece mai in modo unanime: ci furono sempre consistenti minoranze (che erano maggioranza tra i giovani, la base, gli intellettuali e la stampa d’area) ostili al Patto e all’alleanza con gli USA.
E anche quando parte dei vertici missini accettarono la NATO lo fecero tutti con dignità e senza servilismi.
Diceva Giorgio Almirante: “Alleati sì, servi mai”. E non andò mai a Washington a prendere ordini.
(2 di Picche, 18 maggio 2024)
P.S. redazionale
Giorgia Meloni, quarantasette anni – l’età di una signora non si dovrebbe dire: ma nel suo caso, vista la sua brillante precocità politica, il ricordarlo equivale a renderle omaggio: del resto i quarantasette anni che ha non li dimostra – è donna colta e anche nella storia di quello che era il suo partito, il MSI, è versata. Sa bene che la storia di quella discussa formazione fu tutt’altro che linearmente “occidentalista” e “atlantista”: e che nel suo DNA c’erano molte cose che oggi può far piacere non ricordare. Sa bene anche quanto i leaders del suo partito furono cinici nell’avallare demagogicamente l’antiamericanismo (e la spiccata posizione di sinistra nel campo sociale) di buona parte della base e di quasi tutto il mondo culturale e intellettuale dei suoi militanti e dei suoi simpatizzanti (un mondo ben più ricco e variegato di quello, esangue e sospetto di opportunismo, che ruota attorno ai “Fratelli d’Italia”), salvo poi in parlamento far sistematicamente e magari sottobanco gli interessi di maggioranze che a USA e NATO erano legate a doppio filo.
Ma il presidente del Consiglio dei Ministri queste cose, che conosce benissimo, non può raccontarle e nemmeno ammetterle nel caso che qualcuno provocatoriamente la inviti a farlo. Giorgia Meloni deve mantenere il simbolo della fiamma al centro del dispositivo simbolico del suo partito in quanto ha interesse a dimostrare una continuità MSI-AN-FdI che, se contestata, potrebbe nuocere alla sua immagine e magari farle perdere dei voti. Per questo deve negare un’evidenza che per sua fortuna non a tutti è nota: che cioè il MSI, a differenza dei FdI, non era affatto un partito conservatore né filoccidentale. Per questo è necessario un “trucco di laboratorio”: modificare il DNA del vecchio MSI per nascondere la discontinuità se non l’opposizione tra esso e i FdI. Diciamo che, se tra il padre MSI da una parte, i figli AN e FdI dall’altra, c’è questa discontinuità di DNA, ciò deve dipendere da qualcosa che nelle storie familiari degli esseri umani accade molto più spesso di quanto non si creda e non si dica: una generazione illegittima, un segreto da nascondere con cura e con vergogna.
Resta comunque palese un’altra onta tremenda, ben visibile e indelebile: l’astensione italiana dal voto per la risoluzione ONU che avrebbe conferito alla Palestina nuovi e più concreti riconoscimenti: una risoluzione che non avrebbe danneggiato nessuno, nemmeno Israele. Questa vergogna, signor presidente del Consiglio, il paese che Lei governa non la meritava. Questo atto di gratuito servilismo nei confronti dell’arroganza statunitense e della follia del senescente assetato di potere Netanyahu non doveva esser perpetrato. Alla notizia di ciò, molti fra i nostri connazionali hanno pronunziato una frase terribile, che segna per sempre chi la pronunzia come chi l’ha provocata: “Oggi mi vergogno di esser italiano”. Che Dio perdoni chi ci ha condotti a tanto.