Domenica 19 maggio 2024, festa “ufficiale” della Pentecoste
LE NOTIZIE CHE CONTANO
L’EUROVISION E LA RISOLUZIONE ONU
di David Nieri
In un periodo in cui le “polemiche” e l’opinione pubblica si dividono e dibattono sulle “questioni che contano”, tipo l’Eurovision che è diventato il Sanremo europeo per divulgare “artisticamente” il verbo del politicamente corretto (fino a qualche anno fa si chiamava Eurofestival, c’era anche qualche buona canzone ma non se lo filava nessuno), oppure l’esonero di Massimiliano Allegri dalla panchina della Juventus (ne va, a quanto pare, del destino dell’economia e del welfare del nostro paese) si tace o quasi su argomenti che dovrebbero invece scandalizzare, come ad esempio il ritiro dal mercato del “vaccino” AstraZeneca, con le conseguenze “scientifiche” che dovrebbe sollevare. D’altro canto, si fanno spallucce quando il ministro degli Esteri israeliano Israel Katz (mai cognome fu più appropriato) definisce l’Onu “antisemita” e si guarda e si passa, senza di lor curarci, mentre l’ambasciatore (sempre israeliano) Gilad Erdan distrugge con un tritacarte alcune pagine del documento delle Nazioni Unite per l’adesione della Palestina in qualità di Stato membro, appunto, dell’Onu.
Sì, perché nessun giornaletto mainstream ha stigmatizzato il fatto che la nostra straordinaria Italia, governata dai cosiddetti “sovranisti”, si è astenuta dal voto a proposito della risoluzione presentata dagli Emirati Arabi Uniti per attribuire alla Palestina nuovi “diritti e privilegi” all’interno dell’Onu approvata durante l’Assemblea del 10 maggio scorso dalle Nazioni Unite con 143 voti favorevoli, tra i quali Francia, Federazione Russa e Cina (oltre a Belgio, Cipro, Estonia, Irlanda, Lussemburgo, Malta, Montenegro, Polonia, Portogallo, Slovacchia e Slovenia), 9 contrari, tra cui gli Stati Uniti e Israele (gli altri sono Argentina, Repubblica Ceca, Ungheria, Micronesia, Palau, Nauru, Papua Nuova Guinea), e 25 astenuti, tra cui Italia, Germania e Regno Unito (oltre ad Austria, Bulgaria, Croazia, Finlandia, Lettonia, Lituania, Paesi Bassi, Romania e Svezia, per limitarci ai paesi europei).
Da ricordare il fatto che l’Assemblea generale delle Nazioni Unite attribuì a maggioranza un nuovo status alla Palestina nel lontano 2012. In quell’occasione la Palestina fu promossa da “entità non statuale” a “stato osservatore non membro”: l’Italia allora votò a favore della risoluzione (il solito cerchiobottismo di italica origine controllata: ci basti ricordare le parole dell’attuale premier, allora con numeri risicati all’opposizione, in occasione dell’invasione della Crimea contro le sanzioni imposte alla Russia), mentre gli Stati Uniti e Israele (come da copione) furono contrari. Il significato di tale decisione fu soprattutto simbolico, ma consentì alla Palestina di partecipare ai dibattiti delle Nazioni Unite, con le autorità palestinesi che si auguravano, grazie a quel “passaggio”, di poter modificare la propria posizione di forza nelle contrattazioni e negli accordi con lo Stato di Israele e il riconoscimento di uno stato palestinese.
Giammai. Anche la nuova risoluzione non cambierà le carte in tavola, perché l’approvazione non garantirà alla Palestina di diventare uno stato membro dell’organizzazione: l’eventuale adesione dovrebbe infatti essere approvata in primo luogo dal Consiglio di Sicurezza, un organo composto da 15 membri, di cui cinque permanenti e con diritto di veto (Cina, Russia, Stati Uniti, Francia e Regno Unito). E in tal senso la risposta (non c’è bisogno di chiedersi da quale parte arriverà il veto) la conosciamo già. Il gesto di Gilad Erdan, che ha distrutto con il tritacarte una copia dello Statuto delle Nazioni Unite, appare dunque come la plateale esibizione di un attore (pure mediocre) sul palcoscenico del teatro dell’assurdo, che purtroppo, nel mondo terribilmente reale, significa la prosecuzione di un genocidio e la sua “giustificazione”.
Sempre a proposito di priorità e anche di attori, ce n’è un altro che sta recitando la parte di presidente dell’Ucraina seguendo pedissequamente la sceneggiatura Nato. È dei giorni scorsi la visita a Kiev del segretario di Stato statunitense Antony Blinken, che ha promesso a Zelensky l’invio di nuovi aiuti militari per due miliardi di dollari con tanto di concertino live in un club della capitale ucraina, dove il segretario si è esibito suonando la chitarra elettrica. Tutto molto rassicurante.
Per quanto riguarda la Russia, contro la quale si vuole proseguire una strategia di guerra dopo che nell’aprile 2022 era già stato raggiunto un accordo tra le parti in causa ed era vicinissimo a essere firmato (anche di questo, avete letto qualcosa sulle pagine dei giornali?), prima del “veto” di Gran Bretagna e Stati Uniti (sempre loro: “e al dio degli inglesi non credere mai”), ricordo quando i nostri straordinari maître à penser (a tal punto che pure il generale Vannacci è diventato un autore di bestseller e un opinionista di alto spessore) parlavano ogni giorno delle svariate malattie di Putin e dell’inconsistenza dell’esercito russo, costretto ad andare al fronte e a combattere con vanghe, badili e zappe, in assenza di altro armamentario. Il “bello” è che il peggio deve ancora arrivare. Presto ce ne accorgeremo.