Minima Cardiniana 469/6

Domenica 26 maggio 2024, Santissima Trinità

ROTTA PER MOMPRACEM
L’ISOLA CHE C’ERA
di Fabio Negro

Chi dice che non ritornerete a Mompracem, e che non abbiano a ritornare ancora i tempi della Tigre?
(E. Salgari, La Tigre della Malesia)

Mompracem! Quante volte l’abbiamo sognata? Quante volte abbiamo sognato di combattere per la libertà, fianco a fianco con Sandokan? Quante volte abbiamo immaginato di lasciare tutto e partire per raggiungerla? E quante volte l’abbiamo cercata sugli atlanti moderni ma il nostro viaggio si è fermato quando non l’abbiamo trovata?
Un luogo speciale (per me doppiamente, perché segna il mio esordio letterario[1]), mistico e affascinante quanto il suo padrone, di cui sembra essere diretta emanazione. È infatti suggestivo cogliere le analogie tra l’isolotto minuscolo che fa tremare tutto il Borneo, e la bocca di Sandokan, piccola che mostra denti acuminati; tra la fama funesta di Mompracem, che atterrisce tutte le popolazioni malesi e lo sguardo del pirata che fa chinare qualsiasi altro sguardo; tra il covo inespugnabile e l’animo della Tigre della Malesia, inaccessibile a ogni paura. E ciò perché Mompracem è uno scoglio formidabile, un baluardo, un’“isola maschio”, come l’ha giustamente definita Felice Pozzo[2].
E in quanto isola è uno dei topoi prediletti del regno dell’avventura: basti pensare all’Isola che non c’è di Peter Pan, a quella del Tesoro di Stevenson, a quella misteriosa di Verne. Ma Mompracem è molto di più, a metà tra l’Isola Non-Trovata di Gozzano e l’Itaca di Kavafis; è l’ardimento, il coraggio, la voglia di riscatto, il luogo da cui un manipolo di uomini si scaglia contro nemici soverchianti e ingiusti.
Per raccontare di Mompracem, bisogna operare una distinzione tra l’isola letteraria e quella reale.
Per la prima vorrei ricorrere a un espediente, ossia cominciare dalle parole di Salgari per poi proseguire con una descrizione enciclopedica…
Mompracem, isola selvaggia, di fama sinistra, covo di formidabili pirati, è situata nel mare della Malesia, a poche centinaia di miglia dalle coste occidentali del Borneo, di fronte al Sultanato di Brunei. È un isolotto di medie dimensioni, cinto da pericolosissimi frangenti e da secche che rendono difficoltosa la navigazione. A nord dell’isola, a circa 60 miglia, trovansi le Tre Isole e poco oltre il possedimento britannico di Labuan, mentre al sud vi è il piccolo arcipelago delle Romades e a 110 miglia l’isola di Whale. Fu colonizzata intorno alla metà del XIX secolo dal principe Sandokan di Kinibalu, noto come la Tigre della Malesia, spodestato dal suo trono e che ne fece la sua base per azioni di pirateria ai danni del commercio inglese e olandese.
L’isola è coperta da dense foreste, ed è piuttosto pianeggiante, fatta eccezione per un’altissima rupe, tagliata a picco sul mare, che si eleva nella parte settentrionale. Su questo sperone roccioso, che guarda la baia del villaggio di Gjehawem, sorge una gran capanna, abitazione del capo dei pirati, e diparte un torrente che garantisce provvista di acqua fresca a tutta l’isola, diramandosi in tre bracci in direzione sud-est, sud e sud-ovest. Alle foci di questo rivo, sorgono altri due villaggi.
Le sue coste sono ben provviste di fortificazioni, di trincee, di terrapieni, di stecconati e di gabbioni, armati di una cinquantina di cannoni di vario calibro, di alcuni mortai e di una sessantina di spingarde. Protetta naturalmente dal mare, come abbiamo detto, è guardata da una flottiglia di agili prahos malesi, che possono addentrarsi tranquillamente tra i bassifondi, mentre più a largo si ancorano una dozzina di cannoniere a vapore. L’abitano stabilmente due o trecento pirati con le loro famiglie, appartenenti alle più bellicose razze dell’estremo oriente: malesi, dayaki, giavanesi, macassaresi, batiassi.
L’isola fu attaccata e occupata da forze nemiche due volte, nel 1849 e nel 1868, per essere poi definitivamente conquistata da Sandokan e annessa al regno di Kinibalu.
E la Mompracem reale? Beh, qui il discorso cambia e si fa più complesso, perché bisogna lasciare da parte ogni fantasia.
Mi sono occupato di questo argomento nel 2011, e ho impiegato innumerevoli risorse per tentare di dare una risposta al quesito: l’isola dei pirati malesi esiste? E che fine ha fatto?
Mompracem è un’entità che appare sulle mappe del Mar Cinese meridionale sin dal 1500, riportata sotto diverse denominazioni (Mompiaslì, Mopiasem, Mon Pracem, Monpracem, Mampracem, Monpracom, Monpiacem) fino alla seconda metà dell’Ottocento. Varia il suo nome così come la sua posizione, e ciò è dovuto dalla tendenza di ricopiare le vecchie mappe piuttosto che compilarne di nuove a seguito di nuovi rilevamenti. I cambiamenti politici che interessano l’area, poi, fanno sì che vi siano carte portoghesi (le più antiche), rimpiazzate poi da quelle olandesi e infine da quelle inglesi (le più moderne). Dal 1870, lo scoglio pirata permane per qualche tempo come presenza geografica senza nome poi, scompare del tutto.
Cento anni dopo, il giornalista Giulio Raiola tenta una prima identificazione, riconoscendo in Keraman, unica isola a sud di Labuan, l’odierna Mompracem. Vi sbarca, cementa una targa a ricordo e tornato in Italia ne scrive[3] alle soglie dell’uscita dello sceneggiato RAI per la regia di Sergio Sollima. L’attribuzione è stata fatta sulla base dei documenti più vecchi, sottovalutando decenni di evoluzione cartografica, e ignorando le carte più recenti, colpevoli di non meglio precisati errori marchiani.
Di questa tesi, difesa peraltro fino ad oggi da Bianca Gerlich, ho sempre dubitato, così mi sono messo anche io in rotta per Mompracem. No, Keraman non poteva essere l’isola della Tigre; troppo vicina alla britannica Labuan, e inoltre già nota alla marina inglese.
Forte delle competenze acquisite grazie ai miei studi nautici, dunque, e grazie alle moderne tecnologie satellitari che per la prima volta sono state impiegate, ho confutato questa teoria, proponendo una versione forse meno romantica, ma assai più affidabile.
Ritengo infatti che Mompracem potrebbe essere scomparsa a causa degli sconvolgimenti climatici della zona e dell’innalzamento delle acque del mare, o addirittura non essere mai stata un’isola, ma che veniva riportata su tutte le carte per la sua pericolosità durante la navigazione. Per quei paraggi, infatti, passava naturalmente la rotta commerciale che uscendo dallo stretto di Malacca, passata Singapore, volgeva a nord verso i porti della Cina e del Giappone.
Chi oggi volesse “conoscere” Mompracem, non la troverebbe sui normali atlanti, ma potrebbe farlo grazie alla rete o a cartografia specifica. Oggi si chiama infatti Ampa Patches, ed è un grosso banco corallino sommerso[4] che si trova nelle acque del Brunei, alla foce del fiume Barram. Si compone di una grossa placca, attorno alla quale sorgono innumerevoli scoglietti, altri banchi rocciosi, e secche sabbiose. Svetta (o quantomeno svettava qualche anno fa), oltre la superficie una torretta di segnalazione, a ricordare ancora oggi come quella zona sia altamente rischiosa.
Mi ha recentemente confortato (e sorpreso), rivenire qualche anno dopo ben tre carte pubblicate nel primo Novecento, su cui Mompracem viene disegnata e su una di essa, del 1904, vi appare anche Keraman, come evidente realtà ben distinta ed estranea.
Ecco, può sembrare che con un colpo deciso io abbia spento ogni magia, ma non è così. La ricerca salgariana, ciò che con essa si rivela, aiuta solo a comprendere meglio l’uomo Salgari e il suo modo di lavorare. Nessuna “scoperta”, per quanto esatta, potrà privare il lettore della “sua” Mompracem. Nonostante ciò che abbia scritto, ad esempio, per me Mompracem resterà per sempre una jungla di pomodori nell’orto di casa dei nonni, e un kriss di legno.

[1] F. Negro, La riconquista di Mompracem, l’isola che c’era, Edizioni Simple, Macerata, 2011.

[2] Cfr. F. Pozzo, Postfazione – Mompracem: la libertà in mezzo al mare, in F. Negro, La riconquista di Mompracem, l’isola che c’era, cit.

[3] G. Raiola, Sandokan mito e realtà, Edizioni mediterranee, Roma, 1975

[4] Per l’appunto, su molte carte, Mompracem si trova rappresentata come una forma oblunga, la cui linea perimetrale è punteggiata. Questa è la simbologia riservata alle secche e ai bassifondi.