Domenica 26 maggio 2024, Santissima Trinità
CARTOLINE (LETTERARIE) DAL VIETNAM
PHUONG
di Luigi G. de Anna
8 marzo 1965: i Marines della 9th Marine Expeditionary Brigade sbarcano a Da Nang. È l’inizio della nuova fase della guerra del Vietnam, gli USA hanno deciso to put the boots on the ground. Certo, non sono i primi militari americani che arrivano in Vietnam. Da anni i Green Berets, la CIA e altri consiglieri stanno o addestrando le truppe di Saigon o creando una fitta rete di contatti con tribù etniche in funzione anti Vietnam del Nord. Del resto a Da Nang c’era già una base di appoggio per l’aviazione.
Sbarco del tutto simbolico, perché non suscita alcuna reazione da parte di Hanoi o del Vietcong. La spiaggia è presidiata soltanto da fotografi e cameramen. Il mondo deve sapere che il comunismo non trionferà e che il Vietnam non sarà la pedina del domino che farà crollare il sud est asiatico.
L’autista dell’hotel Paris Deli mi porta a vedere la spiaggia. A dire il vero non capisce perché mi interessi tanto quell’area di parcheggio di grossi camion che si affaccia su un mare non del tutto pulito.
– Non vuole andare in un ristorante? Abbiamo ottimo pesce a Da Nang.
Non lo metto in dubbio. Tutto il lungomare di questa pulitissima, ordinata, tranquilla città che vive di un turismo soprattutto asiatico, è disseminato di ristoranti che espongono grandi vasche con il loro patrimonio ittico a disposizione del turista, dalle aragoste, alle murene, dai gamberi alle cernie.
Ma non ho appetito. Almeno non ancora. E poi la colazione del Paris Deli è ottima.
– Töi, quanto ci vuole per andare a Hoi An?
– Un’ora, non di più.
– Allora andiamo.
Hoi An è una piacevole cittadina, ricca di storia, un angolo di colonia francese della vecchia Indocina. Si stende lungo il fiume, dove si cullano i barconi per i turisti. Anch’io faccio la mia gita, vecchi palazzi coloniali e nuovi hotel sfilano lentamente.
Al ritorno, all’imbarcadero aspetta un giovane. Si regge su due stampelle, le gambe deformate dalla poliomielite. Mi fa cenno di fermarmi, apre una borsa, ne estrae alcuni libri, conservati nel cellophane. Libri a me già noti sulla guerra del Vietnam, sono ottime edizioni pirata, frutto dell’arte vietnamita del “fake” che dalle borse e profumi si estende alla letteratura.
Uno di quei libri attira la mia curiosità: The Quiet American di Graham Greene, pubblicato nel 1955. Un romanzo che ha segnato la mia scoperta dell’Indocina, tradotto nel 2002 in un bellissimo film da Phillip Noyce con Michael Caine nel ruolo del protagonista Thomas Fowler, un reporter inglese della guerra d’Indocina.
Il romanzo di Greene destò un’enorme curiosità e molte polemiche: Greene esponeva, in forma non troppo romanzescamente velata, l’intervento degli Stati Uniti come terza componente nella guerra. Incuneandosi tra Francia e Vietminh, si alleò, complice la CIA, con una terza forza vietnamita, composta di militari di eserciti privati. Il regista di questa operazione è Alden Pyle, un giovane della CIA sotto la copertura diplomatica, animato dal pericoloso idealismo di un’America che vuole portare la libertà e la democrazia in Asia.
Greene inserisce questa vicenda in quella personale di Thomas Fowler, un reporter avanti negli anni, che vive con Phuong, la giovanissima amante vietnamita, che ama ma non può sposare perché ha già una moglie in Inghilterra che non gli concede il divorzio.
Pyle gli domanderà, riferendosi a Phuong: “Are you married?”. “Yes, but not with her”, risponde malinconicamente Thomas.
Pyle, diventato amico di Thomas, si innamora di Phuong, vuole sposarla e portarla in America per liberarla da Thomas, come vuole liberare il Vietnam. Thomas, perduta Phuong che va a vivere con Pyle, per riaverla dovrà ricorrere a una soluzione drastica. E si renderà complice dell’uccisione dell’agente americano per mano del Vietminh. Phuong tornerà da lui, e i due vivranno insieme, come si aggiunge nel film, attraverso gli anni del conflitto, quando Fowler diventerà uno dei più apprezzati corrispondenti di guerra.
– Sono stato un po’ innamorato di Phuong.
Il giovane mi guardò incuriosito.
– Ho letto e riletto questo romanzo, Phuong e Thomas erano diventati per me il simbolo di quel mondo che andavo cercando, un nuovo mondo.
E recitai al giovane l’inizio del film di Noyce:
I cannot say what made me fall in love with Vietnam; that a woman’s voice can drag you, that everything is so intense, the colors, the tastes, even the rain. Nothing like the filthy rain in London. They say whatever you are looking for, you will find it here. They say you come to Vietnam and you understand a lot in few minutes. The rest has got to be lived. The smell is the first thing, promising everything in exchange of your soul. And the heat, your shirt is straight away a rag, you can hardly remember your name, or what you came to escape from. But at night, there is a breeze, the river is beautiful, you could be forgiven for thinking that there is not a war, that the gunshots are fireworks, that only pleasure matters: a pipe of opium, or the touch of a girl who may tell you she loves you.
– “The rest has to be lived”… ripetei.
Il giovane era immerso in un qualche suo pensiero. Richiuse la borsa dove teneva i libri.
– Li vuole? Li prenda tutti. Mi dia cento euro e mi potrò comprare una sedia a rotelle.
L’offerta era strana, ma come poterla rifiutare?
Il giovane, liberatosi della borsa, si appoggiò saldamente sulle stampelle.
– È stato innamorato di Phuong?
– Se l’amore può nascere sulle pagine di un libro, sì, lo sono stato. Doveva essere bellissima.
– Lo è ancora.
Non capii che cosa dicesse.
– Ma Phuong era solo un personaggio creato da uno scrittore…
– Greene non inventò la sua storia. Thomas e Phuong esistettero davvero.
Non potevo nascondere la mia incredulità, anche se era possibile, naturalmente, che lo scrittore avesse sentito a Saigon della storia d’amore tra un anziano inglese e una giovane vietnamita, nonché dell’attività di un qualche agente della CIA che se n’era invaghito.
– Non mi crede?
Scrollai le spalle, che cosa potevo rispondere?
– Venga qui stasera, quando la città si svuota dei turisti. Non resterà deluso.
Promisi che ci sarei stato, la prospettiva di rimanere comunque a Hoi An mi allettava.
Cercai un hotel, ne trovai uno in stile coloniale che si affacciava sul fiume. La cena fu ottima. Bevvi una birra Saigon e guardai l’orologio: era venuta l’ora del mio incontro col giovane, ero molto incuriosito. Cosa mi avrebbe offerto? La prima edizione de L’Amant della Duras, oppure mi aspettava con una bella ragazza dai lunghi capelli neri?
Il giovane mi attendeva all’imbarcadero.
– Prendiamo un cyclo-pousse.
Avrei preferito un taxi, ma l’idea di scendere in triciclo per quelle strade che avevano visto sciamare i personaggi di Greene mi allettava.
Non chiesi dove mi stava portando. Ci fermammo di fronte a una casa in legno scuro. Sull’ingresso, un vecchio cinese masticava il betel.
Entrammo.
– Phuong è la migliore amica di mia nonna.
Rimasi colpito da quanto il giovane diceva, anzi, stordito.
Non avevo avuto il tempo di fermarlo e di dirgli dove diavolo mi avesse portato che una porta si aprì, e comparve una donna che aveva abbondantemente passato gli ottant’anni.
Se una donna anziana può essere ancora bella, ebbene, tale era…
– Madame Phuong – il giovane la presentò così.
E aggiunse:
– La prego, solo pochi minuti, è molto malata, e si stanca facilmente.
Il giovane non disse altro e si ritirò, chiudendo la porta della stanza dietro di sé.
La stanza era arredata con gusto, un sofà coperto da un tessuto ricamato, un letto a baldacchino da cui scendeva, in parte tirata, la zanzariera. Al muro una veduta ingiallita dell’Arc de Triomphe. Su un basso tavolino laccato un mucchio di vecchie riviste francesi, sgualcite e in parte senza più la copertina. Sul cassettone una foto. Era un anziano signore dai capelli bianchi, dal naso affilato e dalla pelle coperta di rughe. Un piccolo vaso di porcellana conteneva alcuni fiori di plastica.
– È Thomas.
– Non ne dubitavo, le dissi.
Mi fece sedere sul sofà. Le mani, forse l’unica parte del suo corpo che tradiva l’età, stringevano la teiera.
Parlava un francese quasi perfetto.
– Con Thomas non parlavamo inglese.
– Thomas dunque restò a Saigon e non dovette tornare a Londra?
– Restò. Alla fine la moglie gli concesse il divorzio, ma non ci sposammo, non era necessario. Dopo la scomparsa di Pyle, riprendemmo a vivere insieme.
– Fino a quando viveste a Saigon?
– Thomas si ammalò poco prima che Saigon cadesse, agli inizi del 1975. Aveva con gli anni aumentato le pipe di oppio per lenire il dolore dell’artrite.
– Phuong, e Lei, perché non lasciò il Vietnam?
– Come avrei potuto? Thomas ed io non eravamo sposati e io non potevo salire su uno degli aerei che evacuarono gli ultimi americani e le loro famiglie. Potevo solo salire su una di quelle navi, ma Thomas mi aveva detto che quando fosse caduta Saigon sarei dovuta tornare qui a Hoi An, dove avevamo comprato questa casa.
– Ma anche qui erano arrivati i comunisti.
– Venni a Hoi An nell’aprile del ’75. Ospitai in questa casa, abbastanza grande, come vede, una famiglia di un dirigente locale del partito comunista. Mi lasciarono tranquilla.
– Non avevate figli?
– No, Thomas non li voleva, diceva che questo mondo non era fatto per loro.
– Sua sorella viveva con voi?
Phuong sorrise, ben sapendo quanto poco Thomas amasse la sorella, ma era un sorriso triste.
– Mia sorella non ci raggiunse, scomparve durante l’occupazione di Saigon. Lavorava all’ambasciata americana, quindi era tra i fortunati che potevano salire su quegli elicotteri, ma si attardò per portare via da casa alcuni gioielli che avevamo conservato. Non ne seppi più nulla. Più tardi il funzionario che abitava da me mi disse che era stata internata in un campo di rieducazione.
– Com’era la vita nei primi anni del nuovo Vietnam?
– C’era molta miseria. Le case, i palazzi dei francesi qui a Hoi An cominciarono ad andare in rovina, la gente se ne andava da qui a Da Nang, ma anche lì si stava male. Poi la guerra in Cambogia, e quella con la Cina. Si continuava a morire, i vietnamiti non facevano altro che morire da tanti anni, non riuscivano a smettere…
– Ma ora vivete bene.
Phuong non disse altro, un silenzio imbarazzante era sceso tra noi.
– Lei fuma oppio?
– No, certo che no…
Phuong fece un cenno di assenso col capo.
– Chi era veramente Pyle?
– Voleva fare del bene, non solo a me, ma a un popolo, a un continente, al mondo…
Phuong si alzò per prendere una foto da un album, la foto di Alden Pyle. Erano insieme, lei indossava un candido Ao Dai, i lunghi capelli neri sciolti sulle spalle. Era sottile, minuta, ma guardandola ora ne colsi una forza che non avrei sospettato in una donna di quell’età, e mi ricordai delle parole di Thomas:
She’ll get old, that is all. She’ll suffer from childbirth and hunger and cold and rheumatism, but she’ll never suffer like we do from thoughts, obsessions – she won’t scratch, she’ll only decay.
Cercai di vedere, sotto quella pelle stanca di un viso ancora perfetto, dentro quegli occhi nerissimi, oltre quei capelli candidi. Cercai di vedere quello che Thomas cercava, quello che anch’io ho cercato in questa Indocina in cui si sprofonda, un amore che ci coglie, ci avvince, ci perde.
Che cosa c’era dentro di lei?
She cooked for me, she made my pipes, she gently and sweetly laid out her body for my pleasure.
Thomas ne amava il corpo; la notte, Phuong dormiva nuda, si addormentava tenendo la mano su quella poca peluria, ma non ne voleva il corpo, ma la mente, I wanted to read her thoughts, but they were hidden away IN A LANGUAGE I COULDN’T READ.
I pensieri nascosti in una lingua che non posso leggere… quante volte l’ho pensato? Con Anong, con Sunan, con Teeng. Quella lingua che non impareremo mai… ma continueremo a cercare. Quante Phuong esistono nella nostra vita?
Phuong in vietnamita significa “fenice”.
The touch of a girl who may tell you she loves you.
Phuong cominciò a tossire, coprendosi la bocca con un fazzoletto di seta.
Avevo tante cose da chiederle, ma in fondo nessuna. Tutto poteva essere detto e tutto poteva essere taciuto.
– Mon Indochine n’existe plus…
Mi alzai, le baciai la mano. Restò seduta.
Il vecchio cinese era silenziosamente comparso e mi accompagnò alla porta.
La mattina seguente comprai delle rose rosse e una scatola di cioccolatini, tornai alla casa di legno di teak, girai, girai, ma non riuscii più a trovarla.