Domenica 2 giugno 2024
Ricorrenza convenzionale (non liturgica) del Corpus Domini
LXXVIII anniversario della proclamazione della Repubblica italiana
IL “CASO GENTILE” A OTTANT’ANNI DALLA MORTE
“EPPUR SI MUOVE”… O NO?
di Franco Cardini
Non c’è nulla da fare: sono un ostinato collezionista di cause perse. Per questo insisto.
Mercoledì 22 maggio scorso, nel bellissimo Palazzo Strozzi di Firenze – sede fra l’alto della prestigiosa Biblioteca Vieusseux, per iniziativa del suo attuale Presidente senatore Riccardo Nencini si è tenuto – finalmente, dopo otto decenni di assurdo, vergognoso silenzio – un convegno sulla figura e l’opera di Giovanni Gentile, cittadino onorario di Firenze, caduto il 15 aprile 1944 nel contesto tragico della guerra civile che per due anni insanguinò il nostro paese e sulla quale fin troppo si parla, ma ancora con insufficiente spirito critico e con ancor minore rispetto della verità storica.
Il convegno fiorentino, celebrato in presenza del Ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano, è stato un successo: ma per il momento non ha avuto un seguito. Firenze e l’Italia hanno, nei confronti di Gentile, un grande debito da pagare: e non sarà certo un convegno, sia pure ben riuscito, a ripagare il grande filosofo del fatto che a lui dedicati non esistano né un monumento, né una facoltà universitaria, né una biblioteca, né un’istituzione culturale, né una strada, né una piazza, né un premio, né una borsa di studio.
È un silenzio troppo pesante. Ben 13 anni or sono, quando alla guida del Comune di Firenze c’era lo sfasciacarrozze Matteo Renzi, provai ad approfittare della sua cordiale amicizia per spedirgli, nell’ aprile 2011, questa lettera:
LETTERA APERTA AL SINDACO SU UN CONCITTADINO ILLUSTRE E SU UNA CENSURA IGNOBILE
Caro Sindaco,
ci risiamo. Il 15 aprile ricorre il sessantasettesimo anniversario della morte di Giovanni Gentile: uno dei tanti caduti nel corso della guerra civile che ha insanguinato l’Italia tra 1943 e 1945. Allora, tu eri nella mente di Dio e io avevo quattro anni. Giovanni Gentile dorme in Santa Croce insieme ai grandi italiani, com’è giusto: sotto il pavimento di una cappella, nel transetto, ricordato da una semplice lapide. Peraltro, come per il Machiavelli, tanto nomini, nullum par elogium.
Giovanni Gentile non venne “assassinato”. La repubblica italiana ha riconosciuto che egli trovò la morte in quanto obiettivo di un’azione militare: e in effetti colui che lo soppresse, il gappista Bruno Fanciullacci, è stato insignito di medaglia d’oro alla memoria e un viale della nostra città lo ricorda. Personalmente, non sono mai stato d’accordo con questo modo di vedere le cose: ma è quello legittimato dalla più alta autorità del mio paese, e in quanto cittadino lo accetto. Anche se ricordo che su chi abbia impartito l’ordine dell’“esecuzione” non è stata mai fatta piena luce, e che molti tra i migliori e più autorevoli esponenti della Resistenza (da Enzo Enriquez Agnoletti a Carlo Ludovico Ragghianti a Tristano Codignola) espressero indignata condanna dell’accaduto. E, se non dobbiamo dire che venne “assassinato”, allora è un caduto in guerra: e anche in quanto caduto dev’essere onorato.
Quel che comunque non posso accettare tuttavia, sessantasette anni dopo quell’evento, è il silenzio che lo attornia: e che pesa come una coltre d’oblìo su colui che fu forse il più grande filosofo dell’Italia del Novecento. Su uno studioso e un cittadino che, per la vita intellettuale e sociale d’Italia, ha servito il suo paese con onore e ha operato nel suo àmbito come forse nessun altro ha mai saputo far meglio (la sua riforma della scuola, purtroppo malamente sostituita da altre che non sono nemmeno lontanamente alla sua altezza, ne è prova; ed è a lui soprattutto che dobbiamo quel monumento che è l’Enciclopedia Italiana).
Giovanni Gentile fu il teorico del fascismo come sviluppo del Risorgimento e come prosecuzione di un pensiero liberale e conservatore solidamente fondato sul senso dello stato e sul rispetto delle leggi. Certo, il “fascismo reale” fu un’altra cosa. Ed è noto che Gentile disapprovò l’evoluzione razzista e antisemita del regime, com’è noto che in più occasioni soccorse ebrei perseguitati. Ma era un uomo onesto, coraggioso e coerente: non si abbassò ad abbandonare la parte politica che per un quarto di secolo era stata sua e le idee in alcune delle quali aveva sinceramente e onestamente creduto: aderì alla Repubblica Sociale, pronunziò un nobilissimo Discorso agli italiani (purtroppo frainteso e inascoltato nel suo appello alla concordia), accettò la presidenza dell’Accademia d’Italia. Sapeva bene che cosa rischiava, quando lo fece. Ma lo riteneva suo dovere. Si può non essere d’accordo con lui: non si può non ammirarne la coerenza e l’onestà intellettuale. Esemplare: specie di questi tempi, che di onestà hanno molto bisogno.
Gentile fu benemerito anche del lavoro e della produzione di qualità della nostra città, in quanto presidente e animatore prima dell’editrice Le Monnier, poi della Sansoni. Quando fu ucciso, suo figlio Benedetto chiese alle autorità fasciste fiorentine, anche a nome della madre, che non ci fossero rappresaglie. La sua nobile richiesta fu accolta, nonostante la ferocia dei tempi: eppure era allora segretario del Partito Fascista Repubblicano quell’Alessandro Pavolini che aveva scelto la strada dell’intransigenza La sua famiglia è rimasta tra noi e i suoi nipoti sono oggi tra i cittadini più attivi e stimati di Firenze.
Caro Sindaco, sessantasette anni di silenzio sono troppi. I tuoi predecessori hanno taciuto e accettato il vergognoso silenzio: alcuni di loro lo hanno fatto per faziosità politica e ideologica, altri per un senso malinteso di rispetto per la Resistenza (che non è in questione), altri per conformismo o per viltà.
Ma tu, Matteo, sei uno sfasciacarrozze. Dài, allora. Sfascia anche questo carrozzone fatto di complicità, di vigliaccheria, di faziosità, di pregiudizio, di “pigrizia politica”. Non accodarti al disdicevole coro dei muti. Rompi la congiura del silenzio. Dà alla giustizia quel ch’è della giustizia, alla storia quel ch’è della storia, a Firenze quel ch’è di Firenze. Non m’interessa se a Gentile siano dedicati una celebrazione pubblica, un convegno, una mostra, una biblioteca, un istituto culturale, un busto, una piazza, una strada. Ma tu devi dare un segnale. Oltretutto, i soliti Tartufi ti attaccheranno per questo. Di’ la verità: a parte la buona causa per la quale saresti attaccato, non ti diverte un altro po’ di bella rissa?
Franco Cardini
L’amico Matteo non mi rispose. Ribadisco: l’amico Matteo. Perché io sono uno che con gli amici litiga, ma che non ne ha mai tradito nemmeno uno. Quella fu la prima delusione ch’egli mi dette. Ma mi rendo conto che aveva, e che continua ad avere, molte cose da fare. E gli auguro il meglio per il futuro: anche come “Matteo d’Arabia”, ora che il mondo arabo è tornato di moda.
Oggi però, tredici anni dopo, siamo ancora alle solite. Al convegno del 22 maggio scorso ero stato invitato, ma non potei prendervi parte. Spedii in cambio al senatore Nencini e a tutti i convenuti un indirizzo di saluto nel quale ripetevo i concetti espressi nella lettera a Renzi e ribadivo la mia istanza affinché i residui pregiudizi cadano e si renda un po’ della dovuta giustizia a uno dei protagonisti della cultura italiana ed europea del Novecento.
Non pubblico qui il testo della mia proposta del 22 maggio u.s. in quanto essa è nelle mani del suo principale destinatario, il senatore Nencini, al quale spetta il farne l’uso che preferisce. La sostanza, comunque, rispetto alla missiva a suo tempo inviata al sindaco Renzi, è la medesima: e le proposte sono analoghe.
Giovanni Gentile dorme in Santa Croce, insieme con gli altri Grandi Italiani. Un luogo che gli spetta, a due passi dalla “sua” Biblioteca Nazionale. Onore a lui.