Minima Cardiniana 471/6

Domenica 9 giugno 2024, Sant’Efrem, Diacono e dottore della Chiesa

LO SBARCO IN NORMANDIA, OTTANT’ANNI DOPO
OVAZIONE DA D-DAY
di Kesiana Lekbello
Sotto la cenere dello spettacolo pirotecnico sulla spiaggia di Arromanches, in Normandia, in occasione delle commemorazioni del D-Day, covano le minacce di una nuova guerra in Europa. Il 6 giugno 1944, ottant’anni fa, le truppe alleate sbarcarono sulle coste transalpine per sfondare le difese della Germania nazista e liberare l’Europa occidentale.
Il D-Day, come è passato alla storia, viene ricordato alla presenza di quasi cinquemila persone tra cui vari capi di Stato, a partire dal presidente francese Emmanuel Macron e da quello degli Stati Uniti, Joe Biden. Presenti anche Re Carlo III, il principe William, il premier britannico Rishi Sunak, il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, il cancelliere tedesco Olaf Scholz e il presidente ucraino Volodymir Zelensky, accolto da una vera ovazione, seguita da un applauso lunghissimo e abbracciato dalla fraternité del presidente francese. È quasi incredibile che dopo tanto pedagogismo speso negli anni per ricordare l’evento (film, documentari, libri…), la vera ovazione sia rivolta proprio al presidente dell’Ucraina che glorifica, come eroe nazionale, Stepan Andrijovič Bandera: “Leader del partito nazionalista e antisovietico Organizzazione dei Nazionalisti Ucraini (OUN) ed esponente della sua ala più estrema, fautrice dell’alleanza con la Germania hitleriana, nel corso della Seconda guerra mondiale cooperò attivamente con le forze naziste, partecipando all’Olocausto ucraino e agli eccidi compiuti in Polonia” (Enciclopedia Italiana Treccani).
Il frutto di processi storici correlati e di fattori sociali ha proiettato il nome dell’eroe nazionale (a lui sono intitolate vie e piazze) in un modello antropologico e politico, capace di segnare la nuova identità Ucraina. Ma il nome dell’eroe ritrovato, nella memoria di moltissimi cittadini dell’Est Europa è associato con quello di Hitler. Cosa significa, dunque, celebrare con un’ovazione il presidente dell’Ucraina? Che cosa abbiamo capito dalla celebrazione del grande D-Day?
È passato quasi sotto silenzio il discorso del presidente americano Biden, che ha voluto rimarcare, ancora una volta, l’impegno al fianco dell’Ucraina contro la Russia: “Impensabile tornare indietro: gli autocrati del mondo intero ci guardano per vedere se lasceremo che l’invasione illegale di Mosca resti impunita”.
Ma la partita non è solo tra le celebrazioni di oggi e quelle di ieri. Biden conosce bene l’oratoria di stampo americano che, a partire dal presidente americano Harry Truman e la sua “dottrina” (12 marzo 1947), segna la linea di politica estera degli Stati Uniti d’America, volta a contrastare l’espansionismo sovietico, che in seguito contribuì a un’ulteriore accelerazione della guerra fredda. Da allora gli USA sono “custodi” della verità e chi lo mette in dubbio non “resti impunita”.
Attraversare i territori dei discorsi orali in piazza significa prestare una maggiore attenzione nei confronti degli eventi storici, perché ogni dimensione sonora che si integra con la divulgazione – accompagnata da voci, rumori, rituali, facezie… – veicola “agenti” della comunicazione verbale. Come non ricordare il presidente Ronald Regan durante il suo discorso tenuto presso la Porta di Brandeburgo, il 12 giugno 1987, a Berlino: “Apra questa porta, Signor Gorbaciov”. E come non ricordare il precedente John Fitzgerald Kennedy, che tenne a Berlino Ovest, il 26 giugno del 1963, il suo discorso con il celebre “Ich bin ein Berliner”, rivolgendosi, allora, a Nikita Kruscev. A ottant’anni di distanza, è necessario rimarcare il senso e l’importanza del discorso di Biden, che in definitiva ripete la lezione dei suoi predecessori. La dimensione orale della comunicazione e l’analisi del discorso deve rimane tuttora – a mio avviso – uno dei campi di ricerca più severamente studiato, se vogliamo capire meglio anche l’inizio e la fine di ogni guerra, compresa quella “fredda”.
La comunicazione orale aveva, e ha, un peso decisivo nei discorsi, soprattutto quelli enunciati dai presidenti americani, che dopo lo sbarco in Normandia hanno mutato il corso degli eventi storici nel mondo. È evidente come l’interesse per la storia della comunicazione sia condizionato dal vivere in una società in cui i media dominano la realtà. Ma la storia non è un processo lineare, e il pericolo che il vero e il falso diventino inestricabili ci porta ancora oggi a non capire che dopo la caduta del Muro di Berlino il confine dell’Europa orientale è blindato nuovamente dal filo spinato, dai campi minati, dai fossati anticarro e dai bunker di ogni forma/costruzione/misura per difendersi dal solito nemico russo, che va fermato. Era forse questo il significato dell’ovazione rivolta al presidente ucraino Zelensky? Chi può saperlo, ma gli indizi ci sono tutti e ci rivelano, con grande evidenza, come ogni discorso, ogni manifestazione/celebrazione abbia da sempre svolto una funzione nevralgica. Gli esempi si potrebbero moltiplicare. Ma proprio le connessioni celebrative troppo dirette tra presente e passato dovrebbero invece indurci alla cautela, perché anche le cose impensabili e impossibili possono ripetersi.

P.S. redazionale
Comunque, contrariamente a quanto hanno diffuso alcuni media, lo ripetiamo: lo sbarco alleato ebbe luogo in Normandia: non in Lombardia.