Minima Cardiniana 473/5

Domenica 23 giugno 2023, Solstizio d’Estate

LETTERA A SOSTEGNO DELLE ACCADEMICHE E DEGLI ACCADEMICI DI GAZA
SOSPENDERE LE RELAZIONI TRA UNIFI E ATENEI ISRAELIANI
In vista della seduta del Senato accademico del 18 giugno, il comitato di dipendenti e lavoratori per la Palestina dell’università di Firenze ha inviato alla rettrice Alessandra Petrucci ed a tutti i membri una lettera aperta in solidarietà agli accademici di Gaza. Riportiamo di seguito il testo integrale della lettera.

Alla Prof.ssa Alessandra Petrucci, Rettrice dell’Università di Firenze
Ai Membri del Senato Accademico, Università di Firenze
Gentile Rettrice, gentili Senatrici e Senatori,
lo scorso 2 giugno, sulle pagine di un quotidiano italiano, è apparso l’appello che 185 docenti e personale tecnico-amministrativo delle Università di Gaza hanno rivolto al mondo, un appello per ricordare la propria esistenza, la determinazione a resistere e a riprendere il prima possibile l’insegnamento, lo studio e la ricerca a Gaza. Come dipendenti dell’Università di Firenze – ma ancor prima come esseri umani sconvolti dalla tragedia in corso – intendiamo esprimere la più profonda solidarietà verso la popolazione e i colleghi di Gaza.
Come ignorare la profonda asimmetria “di potere, risorse e intenti” che caratterizza il conflitto in Medio Oriente, e prima ancora dell’attuale conflitto, le relazioni e la natura stessa dello Stato di Israele e del territorio denominato Palestina, tuttora privo di uno Stato? Il “doppio standard”, con cui la comunità internazionale si pone di fronte alla guerra a Gaza e a quella in Ucraina, investe anche le istituzioni accademiche dei due popoli e i loro rapporti con l’Occidente.
Attualmente la Confederazione delle università spagnole (CRUE), l’Università di Anversa, l’Université Libre de Bruxelles, il Trinity College di Dublino, la University of Santiago Chile (USACH) e in Italia l’Ateneo di Palermo hanno deciso di boicottare gli atenei israeliani e i programmi di gemellaggio. Il nostro auspicio è che anche altri atenei aderiscano al boicottaggio, considerando, tra le altre cose, che:
– gli studenti e i docenti palestinesi all’interno di Israele sono gravemente discriminati se critici verso Israele, come nel caso, tra gli altri, della Prof.ssa Nadera Shalhoub-Kevorkian dell’Università Ebraica di Gerusalemme (UEG), sospesa dall’insegnamento e poi arrestata per avere espresso il proprio punto di vista, non allineato alla propaganda ufficiale;
– l’Università di Tel Aviv ha istituito un corso di propaganda sulle azioni militari d’Israele a Gaza, per sostenere il governo israeliano davanti all’accusa di genocidio presentata dal Sudafrica alla Corte internazionale di giustizia, e coopera attivamente con l’industria militare israeliana (ha anche attivato una convenzione con l’esercito israeliano per lo sviluppo di sofisticati sistemi d’arma e riceve ingenti contributi dal Dipartimento della Difesa delle forze armate Usa);
– l’Università di Bar-Ilan ha istituito un fondo finanziario per supportare gli studenti-riservisti;
– l’Università israeliana di Ariel sorge in Cisgiordania, in totale spregio delle risoluzioni dell’ONU, che da anni intimano a Israele il ritiro dai territori occupati;
nessun ateneo israeliano ha espresso finora parole di sgomento o di condanna per la guerra in corso ed è stato presentato un disegno di legge per obbligare gli atenei a licenziare i docenti dissidenti, proposta accompagnata da una campagna di affissioni di cartelli che prende di mira per nome e cognome docenti che hanno espresso critiche nei confronti di Israele e delle sue politiche.
A Gaza, intanto, sono stati distrutti o gravemente danneggiati 12 istituti universitari, l’87% di tutti gli edifici scolastici (circostanza che rientra nello “scolasticidio”, termine coniato da Karma Nabulsi, una studiosa dell’Università di Oxford, per indicare la demolizione intenzionale e sistematica delle infrastrutture educative), distrutti anche 36 ospedali, e musei e centri culturali, mentre le persone scampate ai bombardamenti sopravvivono in condizioni inumane, private intenzionalmente di cibo, acqua potabile, carburante, elettricità!
Non sono risparmiati gli operatori umanitari (200 vittime dall’inizio della guerra), gli operatori sanitari (458 vittime) che, per il Diritto internazionale umanitario, dovrebbero essere sempre protetti, insieme a malati, feriti, e prigionieri di guerra, in quanto coinvolti nei conflitti, ma senza costituirne parte attiva. Nessun rispetto neanche per i giornalisti (dal 7 ottobre al 13 maggio 128 vittime).
Il trattamento riservato alle persone arrestate è profondamente inumano, come mostra il video della BBC dello scorso 12 marzo, definito “scioccante” dal ministro degli Esteri britannico David Cameron. Nelle immagini i sanitari di Gaza appaiono denudati e bendati, picchiati e umiliati dall’esercito israeliano. Anche l’inchiesta della CNN, pubblicata lo scorso maggio, denunzia le condizioni in cui sono tenuti i prigionieri palestinesi nella prigione israeliana Sde Teiman, nel deserto del Negev: bendati, picchiati, costretti al silenzio, perquisiti di notte sotto la minaccia dei cani, nutriti con cannucce, costretti a defecare nei pannolini e legati costantemente, al punto che per alcuni si è resa necessaria l’amputazione degli arti, andati in cancrena.
In un contesto in cui sono violate sistematicamente le convenzioni internazionali – dai Patti sui diritti dell’uomo (1966) alla IV Convenzione di Ginevra per la protezione dei civili in tempo di guerra (1949), alla Convenzione ONU contro la tortura e altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti (1984) – di fronte alla profonda asimmetria che vede Israele, da una parte, imporre la propria forza militare e i civili palestinesi, dall’altra, privati di qualunque possibilità di difesa, sorge spontanea la seguente domanda: è eticamente sostenibile – da parte degli atenei occidentali – continuare la collaborazione con gli atenei israeliani, senza alcuna verifica circa il loro ruolo di sostegno attivo alle politiche messe in atto a Gaza e contemporaneamente tollerare la distruzione di quelli palestinesi, “trascurabile danno collaterale”?
Le parole “boicottaggio, disinvestimento, sanzioni” – sistematicamente avversate nei confronti di Israele, ma universalmente accettate nei confronti della Russia – non sono che strumenti di lotta non violenta: non distruggono edifici, non uccidono, non mutilano e non affamano esseri umani, e non rendono affatto impossibile il dialogo e la pace! Al contrario, proprio queste parole possono creare i presupposti perché si arrivi a una svolta, a una presa di coscienza che porti a considerare i diritti di entrambe le parti, e non solo quelli di Israele, e a fare della tutela della popolazione civile la priorità.
L’opinione pubblica deve poter esprimere il proprio rifiuto del massacro in corso, e i mezzi sono costituiti da azioni concrete come il boicottaggio, il disinvestimento e le sanzioni, visto che gli appelli restano inascoltati. È questa la strada per far valere la responsabilità politica; saranno poi la Corte internazionale di giustizia e la Corte penale internazionale a valutare le responsabilità giuridiche e a decidere se Israele abbia violato la Convenzione per la prevenzione e la repressione del crimine di genocidio (1948) e se gli esponenti del suo governo abbiano commesso atti di genocidio, crimini di guerra o crimini contro l’umanità.
All’epoca della Shoah l’opinione pubblica mondiale era all’oscuro del tragico destino degli ebrei inviati nei campi di sterminio, ma oggi la situazione è completamente diversa: le telecamere e i video offrono una continua copertura mediatica dei crimini in corso.
Non è possibile giustificarsi dicendo di non sapere, e neppure restare inerti davanti allo spettacolo della disumanizzazione e della sopraffazione che si dispiega davanti ai nostri occhi.
È per questo che chiediamo agli organi politici dell’Università di Firenze di sospendere immediatamente tutti gli accordi di collaborazione con gli atenei israeliani.
Chiediamo inoltre di affiggere nelle nostre sedi di lavoro l’appello rivolto dai colleghi di Gaza, come segno di solidarietà per il loro dramma, come volontà di sperare, nonostante tutto, in una possibilità di pace e di rinascita della loro martoriata terra.

Un breve commento a formulare il quale mi sento in coscienza obbligato, nella mia condizione di docente universitario ormai da cinquantasette anni. Sono profondamente solidale con la lettera e con lo spirito della lettera qui pubblicata, ma avverto la necessità ed esprimo il diritto di una personale precisazione.
Per un’antichissima tradizione, legittimata e sacralizzata dal “Diritto delle Genti”, esistono a livello internazionale situazioni e occasioni in cui le armi debbono tacere e le ostilità cessare. Ciò è noto ed esemplificato da modelli come i Giochi Olimpici e le paci anfizioniche nell’antica Ellade, i giorni di
Pax Regis o di Pax (o Treuga) Dei nel medioevo europeo e così via. In passato, si è proposto di sospendere le attività belliche durante i giochi olimpici: ciò non è avvenuto, ma con universale rammarico. Allo stesso modo, mentre personalmente solidarizzo con quanti chiedono la sospensione di tutti i contratti e i rapporti di ricerca interuniversitari da parte italiana con omologhi israeliani per tutti quegli oggetti e contesti che abbiano direttamente o indirettamente a che fare con l’aggressione delle forze armate israeliane contro il popolo palestinese della striscia di Gaza, chiedo che contratti e rapporti i quali abbiano per oggetto forme di collaborazione di altra natura continuino. Il mondo degli studi merita di essere trattato con la medesima, onorabile eccezione che spetta a quello dello sport, della salute, delle iniziative umanitarie in generale. È fondamentale in tempi come i nostri di crescente disumanizzazione tenere comunque alte le ragioni di principio ispirate alla fratellanza e alla solidarietà umana. Agire altrimenti equivale al chiamarsi fuori dall’umana condizione ed è in quanto tale inaccettabile. FC