Domenica 7 luglio 2024, Beato Benedetto XI
IL POETA CHE RINNEGÒ IL SUO PASSATO
IL CAMALEONTE “COMPAGNO” ISMAIL KADARÉ
di Kesiana Lekbello
Il mio canto
Per te
Nel tuo venticinquesimo autunno
Sia
la porpora rosa sulla canna del fucile[1]…
Ciò che nessuno poteva darmi
Partito mio, me l’hai dato tu
Un’armata di compagni spalla a spalla
La più grandiosa sulla terra…
Con te anche il dolore più acuto
Vale più di una gioia
Con te sarei immortale
Anche se fossi un anonimo[2].
Amare la Patria, il partito, il popolo, la costruzione del socialismo, i compagni prima di ogni cosa. È la verità. Questa è stata la nostra educazione di proletari, e Kadaré ne faceva parte scrivendo le sue poesie, poche, perché amava la prosa. Che rapporto può esistere quindi, tra l’Albania socialista e Ismail Kadaré, il poeta noto in patria soprattutto per la sua metamorfosi, dopo il 1990, nato a Gjirokaster nel 1936 e spentosi a Tirana, a 88 anni? Quali segreti legano l’opera di Kadaré, comunista, membro del Partito del Lavoro, deputato dell’Assemblea del Popolo per 12 anni (dal 1970 al 1982) e membro della presidenza della Lega degli Scrittori d’Albania Socialista, con la denuncia contro la tirannia di Enver Hoxha dopo gli anni Novanta? Più di quanto possiamo immaginare.
Se rimaniamo a una considerazione generale, mi pare innegabile che sia esistito un Kadaré che ebbe “nuovi convincimenti antitotalitari”… Sarà poi cosi? Leggendo i giornali italiani in questi giorni, parrebbe di sì: “Ismail Kadaré è morto: con i suoi romanzi ha combattuto il regime comunista in Albania. Lo scrittore, autore di un’opera monumentale sotto la tirannia di Enver Hoxha, si è spento a Tirana. Aveva 88 anni” [la Repubblica, 1/7/2024][3]; “Addio a Ismail Kadaré, scrittore e poeta albanese testimone del regime comunista di Hoxha. Denunciò la repressione della dittatura filosovietica e fu costretto all’esilio in Francia. I suoi romanzi, tra cui il più celebre è Il generale dell’armata morta, sono stati banditi dall’Albania” [RaiNews][4]; “Mondi fantastici che evocano il Reale” [il Manifesto, 3/7/2024][5]; “Ismail Kadaré, la memoria della dittatura albanese”[6] [Internazionale, 2/7/2024].
Mi pare che possa bastare; i giornalisti sono attratti dai regimi e dalle forme politiche del passato e Kadaré ha lavorato per accontentare tutti, dopo il 1990.
Ma, per amor del cielo, cari lettori, Voi pensate veramente che questo scrittore, poeta e saggista, amato dal popolo, dal partito nell’Albania socialista, abbia scritto opere che “combattevano la dittatura, la tirannia” del leder Enver Hoxha, durante gli anni del socialismo? Pensate veramente che Kadaré sia stato il più grande poeta del Novecento albanese? I nomi di Dritëro Agolli, Nasho Jorgaqi, Fatos Arapi e molti altri sono quasi sconosciuti al grande pubblico occidentale e, per quanto “feroce”, sia stata la “tirannia” di Hoxha, l’Albania non aveva un poeta/scrittore dissidente. Abbiamo scoperto che Kadaré era diventato il dissidente d’Albania, l’esiliato, il censurato che aveva denunciato le tirannie del regime di Hoxha, soltanto dopo il 1990: fuori tempo massimo. Il nome di Kadaré fu più volte proposto per il Nobel in Letteratura, e sappiamo che la commissione scandinava volge spesso lo sguardo a opere di dissidenza politica; sappiamo anche come funziona tra i raccomandati dagli amici degli amici, ma il Nobel, alla fine, non è arrivato.
Ma vado oltre: Kadaré, durante gli anni del socialismo, non aveva mai denunciato un bel niente! Nell’ottobre del 1990, scelse di lasciare il paese come avevano fatto centinaia e migliaia di profughi albanesi a quell’epoca. Quindi, né perseguitato né esiliato. Anzi, dichiarò nel libro intervista di Eric Faye, Conversazione con Kadaré, a pp. 102-103: “Non cambierò niente, continuerò la mia opera con lo stesso spirito, lo stesso stile, con la stessa libertà d’espressione di cui godevo là, […] e forse non ho bisogno di maggiore libertà. La libertà creativa – e non la libertà banale, politica – l’ho sempre avuta, e mi basterà per fare quello che ho fatto”[7].
Aveva goduto di libertà e scriveva liberamente in Albania. Dopo il 1990 si proietta, quasi “obbligato”, a raccontare al mondo ciò che il mondo voleva sentire: Il totalitarismo. È stato un allievo fedele. Però, in tarda età, pochi mesi prima di morire, si è reso conto che “il potere dell’informazione oggi sta riproponendo un altro totalitarismo, quello della cultura”[8]. Altroché!
Oggi quegli pseudointellettuali di false conoscenze internazionali vengono smentiti: il romanzo Il Generale dell’armata morta (“Gjenerali i ushtrisë së vdekur”, libro che ho letto/studiato al Ginnasio) non fu mai proibito in Albania, e Kadaré scriveva in libertà. Il romanzo esaltava il carattere del nostro popolo, combattente per la libertà durante la Guerra di liberazione contro il nazifascismo; la penna dell’autore ‘giocava’ con il generale e il prete italiano che si erano recati, dopo la guerra, in cerca delle spoglie dei soldati italiani morti e sepolti in Albania durante il conflitto. Riportare in Italia quei resti diventava una faccenda complicata, e in questo terreno aspro, difficile, si muovevano i due personaggi che maledicevano la guerra sbagliata di Mussolini. Kadaré usava spesso il sarcasmo e l’ironia nei confronti dell’assurdo compito di recuperare i resti dei soldati italiani morti in Albania; era serio, invece, quando scriveva sugli avvenimenti della guerra e sulla sua tragicità. Insomma, dopo il successo in Patria del 1963, il romanzo ha goduto di fama nazionale e internazionale: la Bulgaria fu la prima a pubblicarlo, seguita dalla Jugoslavia e dalla Francia.
Dopo il 1990, Il Generale dell’armata morta fu ripensato e modificato: il nuovo romanzo di Kadaré non usava più il sarcasmo e l’ironia nei confronti del prete e del generale italiano in cerca delle spoglie. La metamorfosi subita come effetto della democrazia fece scrivere a Kadaré che i resti sono la pietas, quindi prevalgono i sentimenti benevoli verso il nemico morto e sepolto in Albania. Continuerà per questa strada anche con il romanzo Il palazzo dei sogni, Il concerto e altre opere.
Il romanzo Il grande inverno (“Dimri i Madhe”), uscito nel 1973 e poi nel 1977, elogiava la coraggiosa rottura di Hoxha con l’Unione Sovietica nel 1961; esaltava la figura del comandante e leader Enver Hoxha, che guidava l’Albania sulla strada del socialismo. Eppure il giornalista Pierre Haski, sulle pagine di Internazionale, va contro il suo amato Kadaré quando scrive: “Per capire questa vicenda bisogna ricordarsi cosa è stato il regime albanese. Enver Hoxha è stato a capo di una delle peggiori dittature europee del dopoguerra, ma è stato anche ferocemente nazionalista e ha rotto con tutti quelli che hanno voluto imporgli una tutela, dagli jugoslavi di Tito ai sovietici, fino alla Cina”.
Il romanzo in questione suscitò all’epoca un grande dibattito, soprattutto quando trattava i problemi legati all’economia, che senza l’aiuto dell’URSS metteva a rischio lo sviluppo del Paese verso l’industrializzazione. Questa parte fu duramente criticata all’interno dei Comitati di partito, in tutto il Paese, perché dubitava nella forza della dittatura del proletariato che lavorava nella ricostruzione del Paese. A tal proposito sarebbe utile – per chi vuole capire l’Albania socialista – leggere il saggio, Il realismo in Albania. La storia dimenticata, 1980-1990, pubblicato da Edizioni La Vela (2024). Comunque sia, il romanzo Il grande inverno è considerato uno dei ritratti più favorevoli della figura di Enver Hoxha tra quelli scritti da Kadaré. Nel libro Intervista di E. Faye, a p. 46, Kadaré sostiene: “L’odio dei burocrati è stato versato contro di me… Hoxha in persona è intervenuto dicendo: questo romanzo non è così malvagio come pensate… Chi aveva osato agire contro la volontà del capo? Un giorno il mio romanzo era proibito; l’indomani no; il giorno dopo ancora di nuovo proibito… poi il capo dello Stato aveva ritenuto che il romanzo non fosse così cattivo e aveva fatto cessare quella campagna”. E non è tenero con l’Occidente (p. 49): “Spesso in Occidente c’è chi si compiace di distribuire consigli agli scrittori dell’Est, cosa assolutamente meschina. Gli occidentali – critici e giornalisti – si sono rivelati più di una volta alquanto vili; hanno dimenticato molta gente. Nessuno ha mosso un dito per sapere come mai non mi si vedeva più in giro, perché non pubblicavo…”.
In Albania, a quell’epoca, Kadaré era amato dal suo popolo al pari di altri scrittori, artisti, cantanti, pittori. Il fatto è che a Kadaré non piaceva essere criticato e ambiva a un ruolo di prestigio, ma questo non era accettabile nella dittatura del proletariato.
Nel luglio del 1990, nel momento in cui l’Albania, da paese “roccia granitica sulle sponde dell’Adriatico” si era trasformata in un paese di immigrati sparsi per l’Europa che cercavano di sopravvivere, Ramiz Alia voleva fortemente dare la voce agli intellettuali del tempo. Tre volte chiese a Ismail Kadaré di rilasciare un’intervista per il giornale “Zeri i Rinisë” (La Voce della Gioventù) e per tre volte Kadaré si rifiutò. Abbiamo letto, sulla stampa in Albania, il contenuto/verbale della riunione svoltasi il 23 luglio 1990, in cui Ramiz Alia, il Primo Segretario del Partito e del Comitato Centrale e Politburo, cercava, disperatamente, di mantenere salda l’unione tra il popolo e il partito, chiedendo l’aiuto degli intellettuali. Tutti risposero, eccetto Kadaré. Ancora oggi, nel rileggere le parole di Ramiz Alia, si percepisce tutta la preoccupazione/disperazione in cui tutti eravamo coinvolti: “Questa situazione a Tirana è stata istigata e creata dal nemico. Questo è ciò che vuole il nemico! Perché non scrivete sul giornale che Ismail Kadaré si è rifiutato di rilasciare un’intervista!? Così lo avreste posto davanti alla responsabilità morale e davanti all’opinione di tutta la gioventù […] Abbiamo il diritto di dire a queste persone: ‘Questa situazione a Tirana è stata istigata e creata dal nemico. Questo è ciò che vuole il nemico! E tu che taci, da che parte stai?’. È un onore per il nostro intellettuale non dire una parola al presidente Mitterand che ha invitato Ismail Kadaré a visitare la Francia, proprio nel momento in cui si compivano tutte quelle azioni ostili e astute che la loro propaganda borghese ha riversato contro la nostra Albania? La democrazia e l’umanità, di cui parla Ismail Kadaré, non sono diritti astratti, né possono essere concepiti come tali. Per quali persone si chiedono questi diritti, se non trovano espressione concreta nell’interesse della Patria e del popolo? Al di fuori di questi interessi, qualsiasi tipo di democrazia è demagogia […]. “Qualcuno adesso può negare che i temi del Partito, di Enver Hoxha, della Patria, del socialismo siano l’asse principale che attraversa tutta l’opera di Ismail Kadaré, dalle poesie ‘Perché pensano queste montagne’, ‘Le aquile volano in alto’ fino ai romanzi Il Generale dell’esercito morto, Il grande inverno, Concerto di fine inverno ecc.? La situazione attuale esige che Ismail, con il suo nome e la sua posizione di noto intellettuale, renda un nuovo servizio al popolo, al Partito e alla Patria. Questo atteggiamento lo eleverebbe, altrimenti potrebbe mettersi dall’altra parte e promettere come Tuxman di aver sbagliato una volta quando era giovane? È ora che si dica a qualsiasi intellettuale del genere: ‘Voi che parlate così appassionatamente della democrazia, della libertà dell’individuo, vi indignate perché la polizia usa la forza, vedete cosa sta facendo lo straniero contro la libertà dell’Albania?’. Quanto varrebbero le tue pubblicazioni, Kadaré, se non dici una parola di ciò che vedi?”[9].
I giornalisti italiani/occidentali sostengono che il poeta Kadaré abbia scritto contro il tiranno e contro la dittatura. Ma ciò non corrisponde al vero. Certo, il Kadaré dopo il 1990 è un altro, non quello che noi albanesi abbiamo amato durante il socialismo. In tutta onestà, che anche guardando a quel momento e a quegli intellettuali in prima fila, Kadaré non si è mai esposto e non ha difeso la propria libertà intellettuale che tanto gli viene riconosciuta oggi. Storicamente, il suo comportamento può leggersi in chiave di opportunismo. È percepibile anche nelle parole di Pierre Haski, quando scrive sull’Internazionale: “Ismail Kadaré aveva stretto una relazione di amicizia e fiducia con un grande editore francese, Claude Durand, capo di Fayard, attraverso il suo traduttore Yusuf Vrioni, ex prigioniero di un gulag albanese. Durant rischiò molto per far uscire i manoscritti di Kadaré dall’Albania. Poi li depositò nella cassaforte di una banca parigina, con l’istruzione di non pubblicarli a meno che non fosse successo qualcosa all’autore; o dopo la sua morte, perché Kadaré pensava che il regime comunista gli sarebbe sopravvissuto. Il regime è invece scomparso per primo e i capolavori sono usciti dalla cassaforte”.
Non abbiamo avuto alcun gulag in Albania. E Kadaré lodava il partito, la storia del suo popolo e del suo leader, mentre assicurava i suoi manoscritti preso l’editore francese.
Dopo la sua emigrazione in Francia, nell’ottobre 1990, Kadaré iniziò a denigrare la figura di Enver Hoxha, dipingendolo come assetato di potere, pazzo, opportunista, ottuso, crudele con la sua dittatura, il suo totalitarismo… parole che l’Occidente ama utilizzare spesso, soprattutto senza conoscere.
Nel 2002, in risposta alle parole di Kadaré, intervenne la consorte di Hoxha, Nexhmija, che pubblicò sul giornale “Gazeta Shqiptare” alcune lettere di corrispondenza con Ismail Kadaré. Ecco qua una di esse:
Compagna Nexhmije
Scusatemi se vi distraggo con alcuni miei problemi e non vorrei disturbare il mio compagno Enver. Non nascondo che il mio desiderio sarebbe che venisse a conoscenza di questa lettera, ma sapendo quanto è impegnato negli affari del Partito e del Paese, mi sono rivolto a voi, nella speranza che, se lo ritenete ragionevole e in linea, al momento opportuno, gli direte qualcosa di quanto scrivo.
Capisco il desiderio e l’impazienza mostrata da alcuni giornali occidentali di mettermi nel ruolo di dissidente. È naturale per la loro logica e intenzioni.
Nonostante le difficoltà e le complicazioni che potrei incontrare nella vita, non darò mai questo piacere a queste persone impazienti. Tutto quello che ho scritto in piena coscienza non è stato dettato da nessuno; più precisamente, è stato dettato solo dalla visione del mondo comunista che il partito mi ha insegnato. Sono comunista e come tale obbedirò al partito in tutto.
La vera arte è molto al di sopra delle meschine insinuazioni e dei sospetti di tipo poliziesco. Se da 25 anni scrivo della Patria e del socialismo, occupandomi dei suoi problemi principali, facendomi nemici, che sono i nemici del partito a cui ho legato il mio destino e il mio lavoro, non avevo bisogno di scrivere su più pagine il contrario di quello che pensavo e che ho scritto in migliaia di altre pagine, mi si accusa di dividere il mio lavoro in due parti che sarebbero in contraddizione tra loro. E così il 99% del mio lavoro sarebbe scritto per costrizione, paura o ipocrisia, e solo l’1% per sincerità.
Ho messo tutto il mio lavoro al servizio della fioritura e della stabilità della società socialista in Albania. Essendo pienamente consapevole che l’instabilità creerebbe nel nostro Paese una terribile catastrofe, non solo sociale, ma anche nazionale, comprendendolo profondamente, ho voluto dare il mio modesto aiuto per il suo rafforzamento e consolidamento.
Per favore perdonatemi ancora una volta per questa lunga lettera. So che di fronte ai grandi problemi del tempo, i disturbi individuali non sono altro che piccole cose.
Quando la nostra causa principale va bene, stiamo tutti bene. Avevo e ho ancora piena fiducia nel partito, senza il quale non sarei diventato uno scrittore. È il partito, è la comprensione ampia e profonda delle cose letterarie da parte del suo leader, il fattore principale grazie al quale ho creato tutto ciò che ha valore e al quale devo tutto. Sono pienamente consapevole che senza questi doveri potrei essere solo un creatore mediocre. Quindi la mia gratitudine rimane per sempre immutata.
Con rispetto, Ismail Kadaré
Tirana, 15 giugno 1982[10]
Sono sotto gli occhi di tutti gli articoli scritti su Kadaré, il poeta che sfidò il tirano, la dittatura. Ed è sotto gli occhi di moltissimi albanesi che cosa sia stata l’Albania al tempo di Enver Hoxha: una figura ancora amata, per la maggior parte degli albanesi, che continua a chiamarlo il Padre nobile dell’Albania. La Repubblica Popolare d’Albania, impegnata a compiere nel più breve tempo possibile uno sforzo gigantesco, non solo riuscì a costruire una società moderna, emergendo dalle macerie della seconda guerra mondiale e da un’arretratezza secolare, ma lo fece aderendo al socialismo, che metteva al centro la fiducia nella società comunista che si fondava sull’eguaglianza. Ismail Kadaré ha contribuito, con la sua arte e letteratura e insieme al popolo, a superare ogni ostacolo, in un contesto complicato dalla divisione del mondo in due blocchi contrapposti. La letteratura e l’arte non potevano non avere un ruolo centrale in questo impegno, e Kadaré lodò il socialismo, il partito, il popolo, il leader amato Enver Hoxha e i compagni, che egli descrisse come “un’armata di compagni spalla a spalla”.
Per la metà degli albanesi Kadaré è morto nel 1990.
[1] La poesia “Le aquile volano alto”, dedicata al Partito del Lavoro nel XXV anniversario, in Rivista Letteraria “Nëntori”, nr. 5/1970, p. 121.
[2] Rivista “Nëntori”, Organo della Lega degli Scrittori, nr. 11/1979, p. 131.
[3] https://www.repubblica.it/cultura/2024/07/01/news/ismailkadare è morto ha combattuto il regime comunista in albania con i suoi romanzi.
[4] https://www.rainews.it/articoli/2024/07/addio-a-ismail-kadare-scrittore-e-poeta-testimone-del-regime-comunista-albanese.
[5] https://ilmanifesto.it/mondi-fantastici-che-evocano-il-reale.
[6] Pierre Haski, France Inter, Francia, https://www.internazionale.it/opinione/pierre-haski/2024/07/02/ismail-kadare-scrittore.
[7] E. Faye, Conversazioni con Kadaré [trad. it. di F. Bruno], Parma, Ugo Guanda Editore, 1991, pp. 102-103.
[8] In Top Channel.tv, 11/11/2023.
[9] Ramiz Alia, Prendere posizione o schierarsi con il nemico, in http://www.panorama.com.al/ramiz-alia-kadare-te-mbaje-qendrim-ose-te-dale-ne-anen-e-armikut/.
[10] https://gazetashqiptare.al/2022/03/06/20-vite-pare-gazeta-shqiptare-dokument-te-gjitha-letrat-derguar-per-enverin-nexhmija-ju-tregoj-letrat-e-mia-kadarene/