Domenica 28 luglio 2024, XVII Domenica del Tempo Ordinario
Santi Nazario e Celso martiri
FASCISMO E NEOFASCISMO. CONTI FATTI E DA FARE
Si è tornati molto a parlare, in queste settimane, di neofascismo: il remaking di un’“inchiesta” televisiva vecchia di tre anni ma tempestivamente riciclata, l’episodio – riprovevole – del pestaggio a Torino di un cronista del quotidiano “La Stampa”, alcuni episodi di folklore politico che hanno avuto a protagonisti certi politici più o meno improbabili, tutto serve a montare polemiche destinate a riempire il vuoto in un momento nel quale politici e opinion-makers avrebbero invece tanto di più serio di cui occuparsi. Ma naturalmente, di un fenomeno che è anche obiettivamente serio come il neofascismo, nessuno si occupa davvero: è sufficiente darsi alla delazione elettoralmente produttiva o accontentarsi delle caricature.
LE PAROLE DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA, 25 GENNAIO 2018
Sono di nuovo scoppiate polemiche, dicevamo. E allora ricominciamo da capo. Era il 2018. Ecco le parole del Presidente della Repubblica per il “Giorno della Memoria”.
Intervento del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella alla celebrazione del “Giorno della Memoria”
Palazzo del Quirinale, 25 gennaio 2018
Rivolgo un saluto ai presidenti del Senato, della Camera dei Deputati e della Corte costituzionale.
Il 27 gennaio del 1945 truppe russe varcavano i cancelli di Auschwitz, spalancando, davanti al mondo attonito, le porte dell’abisso.
Quei corpi ammassati, i volti dei pochi sopravvissuti dallo sguardo spento e atterrito, i resti delle baracche, delle camere a gas, dei forni crematori erano il simbolo estremo della scellerata ideologia nazista.
Un virus letale – quello del razzismo omicida – era esploso al centro dell’Europa, contagiando nazioni e popoli fino a pochi anni prima emblema della civiltà, del progresso, dell’arte. Auschwitz era il frutto più emblematico di questa perversione.
Ancora oggi ciò che ci interroga e sgomenta maggiormente, di un mare di violenza e di abominio, sono la metodicità ossessiva, l’odio razziale divenuto sistema, la macchina lugubre e solerte degli apparati di sterminio di massa, sostenuta da una complessa organizzazione che estendeva i suoi gangli nella società tedesca.
Il cammino dell’umanità è purtroppo costellato di stragi, uccisioni, genocidi.
Tutte le vittime dell’odio sono uguali e meritano uguale rispetto. Ma la Shoah – per la sua micidiale combinazione di delirio razzista, volontà di sterminio, pianificazione burocratica, efficienza criminale – resta unica nella storia d’Europa.
Come fu possibile che anziani, donne, bambini anche di pochi mesi, stremati dalle lunghe persecuzioni, potessero essere sistematicamente eliminati, perché considerati pericolosi nemici? Che fine aveva fatto tra gli ufficiali di un esercito prestigioso, dalle grandi tradizioni, il senso dell’onore, quello per cui, quanto meno, non si uccidono gli inermi? Dove era finito il sentimento più elementare di umanità e di pietà di una nazione, evoluta e sviluppata, di fronte alle moltitudini di innocenti avviati, con zelo e nella generale indifferenza, verso le camere a gas? Migliaia di cittadini, i “volenterosi carnefici di Hitler”, come li ha definiti lo storico Goldhagen, cooperavano alla distruzione degli ebrei.
Con questo consenso il nazismo riuscì a sterminare milioni di ebrei, di oppositori politici e di altri gruppi sociali – gitani, omosessuali, testimoni di Geova, disabili – considerati inferiori e ritenuti un ostacolo per il progresso della nazione.
Saluto e ringrazio per la loro presenza il presidente della Federazione dei Rom e Sinti, il presidente dell’Associazione deportati politici. Saluto anche il presidente degli internati militari: 800 mila soldati che, per il rifiuto di collaborare con i nazisti e di arruolarsi sotto le insegne di Salò, patirono privazioni, persecuzioni e violenze.
Da Liliana Segre e Pietro Terracina abbiamo sentito poc’anzi il racconto diretto, sconvolgente e inestimabile, dell’inferno dei campi, avvertendo la stessa emozione provata, nei giorni scorsi, ascoltando le parole, anch’esse essenziali e penetranti, di Sami Modiano. Agli internati venivano negati il nome, gli affetti, la memoria e il futuro, il diritto a essere persone.
Tutti i sentimenti erano brutalmente proibiti, tranne quello della paura.
Si possono uccidere, a freddo, senza remore, sei milioni di individui inermi se si nega non soltanto la loro appartenenza al genere umano ma la loro stessa esistenza. Soltanto per effetto di questa insana distorsione essi possono essere trasformati – con un progressivo e violento processo di spoliazione – da persone, titolari di diritti, in oggetti di freddi elenchi, in numeri, come quelli che i sopravvissuti ai campi di sterminio – che saluto tutti ancora – portano indelebilmente segnati sul proprio corpo.
Anche in Italia questo folle e scellerato processo di riduzione delle persone in oggetti fu attuato con consapevolezza e determinazione. Sul territorio nazionale, è vero, il regime fascista non fece costruire camere a gas e forni crematori. Ma, dopo l’8 settembre, il governo di Salò collaborò attivamente alla cattura degli ebrei che si trovavano in Italia e alla loro deportazione verso l’annientamento fisico.
Le misure persecutorie messe in atto con le leggi razziali del 1938, la schedatura e la concentrazione nei campi di lavoro favorirono enormemente l’ignobile lavoro dei carnefici delle SS.
Le leggi razziali – che, oggi, molti studiosi preferiscono chiamare “leggi razziste” – rappresentano un capitolo buio, una macchia indelebile, una pagina infamante della nostra storia.
Ideate e scritte di pugno da Mussolini, trovarono a tutti i livelli delle istituzioni, della politica, della cultura e della società italiana connivenze, complicità, turpi convenienze, indifferenza. Quella stessa indifferenza, come ha sovente sottolineato la senatrice Segre, che rappresenta l’atteggiamento più insidioso e gravido di pericoli.
Con la normativa sulla razza si rivela al massimo grado il carattere disumano del regime fascista e si manifesta il distacco definitivo della monarchia dai valori del Risorgimento e dello Statuto liberale.
Una donna forte e coraggiosa, Ernesta Bittanti, vedova dell’eroe trentino Cesare Battisti, commentava così nel suo diario quei giorni cupi e di dolore: “Io porto tutto il peso di queste sventure nel mio cuore […] peso che mi viene dal ruinare di questa nostra povera Italia nell’abisso della barbarie spirituale. Da cui certo si riavrà un giorno!”.
Lo Stato italiano del ventennio espelleva dal consesso civile una parte dei suoi cittadini, venendo meno al suo compito fondamentale, quello di rappresentare e difendere tutti gli italiani.
Dopo aver soppresso i partiti, ridotto al silenzio gli oppositori e sottomesso la stampa, svuotato ogni ordinamento dagli elementi di democrazia, il Fascismo mostrava ulteriormente il suo volto: alla conquista del cosiddetto impero accompagna l’introduzione di norme di discriminazione e persecuzione razziale, che si manifesta già nell’aprile del 1937, con il regio decreto legge volto a punire i rapporti tra cittadini italiani e quelli definiti sudditi dell’Africa orientale italiana, per evitare che venisse inquinata la razza.
Alla metà del 1938, con le leggi antiebraiche, rivolgeva il suo odio cieco contro una minoranza di italiani, attivi nella cultura, nell’arte, nelle professioni, nell’economia, nella vita sociale. Molti, venti anni prima, avevano servito con onore la Patria – come ufficiali, come soldati – nella grande guerra.
Ma la persecuzione, da sola, non fu ritenuta sufficiente. Occorreva tentare di darle una base giuridica, una giustificazione ideologica, delle argomentazioni pseudo-scientifiche. Vennero cercati – e, purtroppo, si trovarono – intellettuali, antropologi, medici, giuristi e storici compiacenti. Nacque Il Manifesto della Razza. Letto oggi potrebbe far persino sorridere, per la mole di stoltezze, banalità e falsità contenute, se sorridere si potesse su una tragedia così immane.
Eppure questo Manifesto, dalle basi così vacue e fallaci, costituì una pietra miliare della giurisprudenza del regime; e un nuovo “dogma” per moltissimi italiani, già assoggettati alla granitica logica del credere, obbedire, combattere.
La penna propagandistica, efficace nel suo cinismo, coniò lo slogan con il quale intendeva rassicurare gli italiani e il mondo, nel tentativo di prendere, apparentemente, le distanze dall’antisemitismo nazista: “Discriminare”, disse Mussolini, “non significa perseguitare”.
Ma cacciare i bambini dalle scuole, espellere gli ebrei dall’amministrazione statale, proibire loro il lavoro intellettuale, confiscare i beni e le attività commerciali, cancellare i nomi ebraici dai libri, dalle targhe e persino dagli elenchi del telefono e dai necrologi sui giornali costituiva una persecuzione della peggiore specie. Gli ebrei in Italia erano, di fatto, condannati alla segregazione, all’isolamento, all’oblio civile. In molti casi, tutto questo rappresentò la premessa dell’eliminazione fisica.
Sorprende sentir dire, ancora oggi, da qualche parte, che il Fascismo ebbe alcuni meriti, ma fece due gravi errori: le leggi razziali e l’entrata in guerra. Si tratta di un’affermazione gravemente sbagliata e inaccettabile, da respingere con determinazione. Perché razzismo e guerra non furono deviazioni o episodi rispetto al suo modo di pensare, ma diretta e inevitabile conseguenza. Volontà di dominio e di conquista, esaltazione della violenza, retorica bellicistica, sopraffazione e autoritarismo, supremazia razziale, intervento in guerra contro uno schieramento che sembrava prossimo alla sconfitta, furono diverse facce dello stesso prisma.
Abbiamo, in questo giorno della Memoria, ascoltato testimonianze coinvolgenti dei sopravvissuti. Nelle loro parole si avverte la forza e il fascino della loro vita ritrovata, della loro volontà di vivere con pienezza ma, al contempo, ci si rende conto dell’immenso patrimonio di presenze e di protagonismi che ci avrebbe assicurato la vita di coloro che sono stati trucidati nei lager e che quella programmata violenza omicida ci ha sottratto.
Dalla professoressa Foa, dalla presidente Di Segni, dalla ministra Fedeli abbiamo sentito discorsi netti e lungimiranti: le ringrazio molto. Abbiamo rivissuto, attraverso le voci incisive di Remo Girone e Victoria Zinny, momenti drammatici della nostra storia di allora.
Siamo stati affascinati dalle canzoni, commoventi e piene di speranza di Noa, messaggera di pace e di bellezza. Grande amica dell’Italia, venuta appositamente da Israele per condividere con noi il Giorno della Memoria e renderlo ancora più ricco di intensità. La ringrazio di cuore, con stima e amicizia.
Abbiamo incontrato anche i giovani appena tornati dall’esperienza, sconvolgente ma formativa, del viaggio ad Auschwitz. A loro viene affidato il compito di custodire e tramandare la Memoria, perché non si attenui e non si smarrisca mai, per non rischiare di provocare nuovi lutti e nuove tragedie.
Focolai di odio, di intolleranza, di razzismo, di antisemitismo sono infatti presenti nelle nostre società e in tante parti del mondo. Non vanno accreditati di un peso maggiore di quel che hanno: il nostro Paese, e l’Unione Europea, hanno gli anticorpi necessari per combatterli; ma sarebbe un errore capitale minimizzarne la pericolosità.
I cambiamenti rapidi e sconvolgenti che la globalizzazione comporta – le grandi migrazioni, i timori per lo smarrimento della propria identità, la paura di un futuro dai contorni incerti – possono far riemergere dalle tenebre del passato fantasmi, sentimenti, parole d’ordine, tentazioni semplificatrici, scorciatoie pericolose e nocive.
La predicazione dell’odio viene amplificata e propagata dai nuovi mezzi di comunicazione. La tecnologia e la scienza offrono grandi opportunità ma, come sempre, se non correttamente utilizzate, possono rendere disponibili strumenti sofisticati nelle mani di vecchi e nuovi profeti di morte.
Contro queste minacce, contro il terrorismo, contro il razzismo e la violenza dell’intolleranza serve cooperazione internazionale, servono coraggio e determinazione. È necessario, soprattutto, consolidare quegli ideali di democrazia, libertà, tolleranza, pace, eguaglianza, serena convivenza, sui quali abbiamo riedificato l’Europa dalle macerie della seconda guerra mondiale.
Le leggi razziali in Italia erano entrate in vigore nell’autunno del 1938.
Il 1° gennaio del 1948, dopo neppure dieci anni, la Costituzione Italiana sanciva solennemente che “tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”.
Di mezzo, vi era stata la cesura della guerra. Una guerra terribile, che aveva sparso morte e devastazione su larga parte del mondo. E che aveva aperto gli occhi del mondo sulla follia portatrice di morte del nazismo e del fascismo.
La Memoria, custodita e tramandata, è un antidoto indispensabile contro i fantasmi del passato.
La Repubblica Italiana, nata dalla Resistenza, si è definita e sviluppata in totale contrapposizione al fascismo.
La nostra Costituzione ne rappresenta, per i valori che proclama e per gli ordinamenti che disegna, l’antitesi più netta.
L’indicazione delle discriminazioni da rifiutare e respingere, al suo articolo 3, rappresenta un monito. Il presente ci indica che di questo monito vi era e vi è tuttora bisogno.
Egualmente credo che tutti gli italiani abbiano il dovere, oggi, di riconoscere che un crimine turpe e inaccettabile è stato commesso, con l’approvazione delle leggi razziali, nei confronti dei nostri concittadini ebrei.
La Repubblica italiana, proprio perché forte e radicata nella democrazia, non ha timore di fare i conti con la storia d’Italia, non dimenticando né nascondendo quanto di terribile e di inumano è stato commesso nel nostro Paese, con la complicità di organismi dello Stato, di intellettuali, giuristi, magistrati, cittadini, asserviti a una ideologia nemica dell’uomo.
La Repubblica e la sua Costituzione sono il baluardo perché tutto questo non possa mai più avvenire.
Vi ringrazio
Con tutto il rispetto per il Presidente della Repubblica, in queste parole giudizi storici, etici e metastorici appaiono singolarmente mischiati e confusi. Che il fascismo sia responsabile della guerra e della complicità rispetto alla politica razziale e genocida del nazismo, è fuori dubbio; che i conti storici con il nostro passato siano con ciò esauriti è meno sicuro, e il residuale (?) “pericolo neofascista”, esorcizzato con toni talora più demonologici che storici, è la prova che qualcosa non funziona nel nostro paese. E di ciò i “neofascisti” sono i soli responsabili? Procediamo oltre con alcune problematiche al riguardo.
IL GIORNALISTA ANDREA JOLY DELLA “STAMPA” PESTATO DA ESPONENTI DI CASA POUND
Intervista del giornalista Francesco Rigatelli a Franco Cardini
CARDINI: “JOLY HA CERCATO DI DOCUMENTARE LA PERSISTENZA DEL NEOFASCISMO”
Lo storico: “La Russa doveva cogliere l’occasione per dire che questi episodi devono finire. Se un’organizzazione delinque va sciolta, non serve la politica basta un giudice”.
Quanto segue è il testo dell’intervista fedelmente seguito, con qualche integrazione là dove il testo o lo spazio tiranni hanno ostacolato l’effettiva estrinsecazione del pensiero sottostante.
Diretto alla Festa medievale di Montecuccolo sopra Modena lo storico Franco Cardini, 83 anni, approfitta per fare il punto sulla destra, il neofascismo e la violenza politica.
Come va inquadrata l’aggressione ad Andrea Joly?
Da un lato è evidentemente un episodio che rappresenta un reato: non si può picchiare una persona. Mai, per nessun motivo.
E dall’altro?
Un ulteriore reato, ma di diverso tipo. Il giornalista Joly ha documentato una serie di gesti che rientrano nell’apologia del fascismo.
Quindi?
Sul primo reato non c’è dubbio. Sul secondo ho sempre avuto qualche perplessità. Come del resto sull’illiceità della riorganizzazione del partito fascista, definita tale dalla “XII Disposizione transitoria e finale” della Costituzione. Un testo ambiguo, probabilmente dovuto alla sincerità democratica dei costituenti, che in interiori homine ritenevano persecutorio penalizzare un delitto d’opinione. Per esempio, se parlo bene della carta del lavoro di Mussolini o della riforma della scuola di Gentile faccio apologia del fascismo o no? Sono problemi che andrebbero affrontato politicamente e culturalmente.
Cosa pensa delle frasi del presidente del Senato La Russa secondo cui “serve un modo più attento di fare le incursioni da parte dei giornalisti. Joly non si è dichiarato come tale e non credo che passasse da lì per caso”?
Credo che il neofascismo scoperto da Joly per strada fosse un oggetto da documentare. Il giornalista voleva semplicemente testimoniare la sua persistenza. Così come ha fatto Fanpage con le sue inchieste sui giovani di Fdi. La Russa avrebbe dovuto essere più cauto e chiaro, cogliendo l’occasione per dire che questi atteggiamenti devono finire e che perché finiscano bisogna ammettere che c’è qualcosa che non va nella nostra Repubblica, qualcosa che dev’essere ancora spiegato: e per spiegarlo non basta documentare dei gesti e degli slogans, bisogna anche invitare chi ne fa uso a spiegarne il significato: col rischio di trovarsi fra le mani una manciata di mosche, ma anche con l’eventualità di avere qualche sorpresa. Certo, spesso si tratta di giovani ignoranti e non solo di deficienti e maniaci. Occorre tuttavia domandarsi come mai ci sia ancora una minoranza degli italiani che ha bisogno di ostentare gesti di fedeltà al fascismo. Il punto è capire se a tale scopo è necessaria o sufficiente una documentazione o se invece si dovrebbe andare oltre, ad esempio domandando a chi si rende responsabile di gesti o di slogans neonazisti che cosa vuole concretamente intendere con ciò: s la sua è una vacua provocazione, l’espressione di un impulso oscuro e irriflesso o il segno di una progettualità politica da discutere, magari per contestarla e per dimostrarne l’inanità. Se non si fa nulla, la nostra società civile è senza dubbio in grado di controbattere Il neofascismo e a condannarlo, vale a dire denunziando o a reprimerlo. Ma se non si entra nel merito, se non si formulano domande serie, la denunzia di gesti vuoti rischia di essere qualcosa tra il ricattatorio e il persecutorio: e il neofascista indiziato può passare per un martire perseguitato.
Lei che risposta si dà?
Una volta il fascismo difendeva l’italianità, l’ordine sociale E io lo so bene perché lo sono stato dal 1953 al 1965 dopo Trieste e dopo i fatti d’Ungheria. Ma adesso le cose sono peggiorate, soprattutto a causa del malcostume diffuso. Allora come oggi sotto le ceneri cova un disagio nei confronti dell’Italia democratica, la disonestà dei partiti e la mancanza di servizi sociali e lavoro. Se ci sono dei responsabili del diffondersi del neofascismo, vanno cercati nella politica e nelle sue inadempienze.
Ancora La Russa su CasaPound, in cui militano gli aggressori di Joly, ha detto che “lo scioglimento è un processo serio che va oltre il singolo episodio, anche se può essere fatta una valutazione e quando la faranno io la leggerò”.
Se un’organizzazione delinque ordinariamente va sciolta. Non spetta nemmeno al politico stabilirlo, ma al giudice. Ripeto però che bisogna andare alla radice dei problemi.
Uno degli aggressori era iscritto pure alla Lega, che gli ha stracciato la tessera, mentre Vannacci porta avanti un pensiero reazionario. Una contraddizione?
L’aggettivo reazionario mi pare nobilitante, nel caso di Vannacci siamo dinanzi a una grossolana ignoranza. Non ho simpatia per la cancel culture o il woke, ma lui soffre d’ignoranza estrema e a carattere indiscriminato. Il fascismo si combatte anche combattendo l’ignoranza. L’antifascismo dovrebbe interrogarsi su questo. Bisogna uscire dalla denunzia delle cerimonie fasciste e animare un dibattito vivo su cose concrete, con il coraggio di storicizzare pure i pochi positivi del fascismo. Come del resto il paese reale ha già fatto. Il governo Meloni è il frutto di queste contraddizioni e di una società non compiutamente democratica.
È d’accordo con il presidente della Repubblica Mattarella che ogni atto contro l’informazione è eversivo verso la Repubblica?
Certo, ogni atto criminale è eversivo verso la Repubblica. I cittadini devono sempre fare l’interesse primario ed esclusivo dello Stato. Semmai ci si può chiedere se nella nostra informazione non ci sia troppa propaganda e poca informazione critica. Con grande rispetto a Mattarella invece sul fascismo direi che il male assoluto di cui lui ha parlato è un concetto teologico e non storico. Qualunque realtà politica va analizzata come ha fatto De Felice, con luci ed ombre. Anche il fascismo è stato parte attiva nella dinamica dell’Italia unita; per molti versi è stato quello che i sociopolitologi chiamerebbero una “dittatura di sviluppo”.
Anche la situazione odierna della Rai non dà un’immagine di minore libertà?
Certamente sì: e anche di lottizzazione e ignoranza. Il governo dovrebbe riformare la Rai e le opposizioni dovrebbero aiutarlo. Meloni ha grinta, ma fa tenerezza perché sembra molto sola. Anche i suoi migliori ministri danno la sensazione di non essere all’altezza seppur spesso messi alla gogna da un apparato informativo antigovernativo.
La Rai, Mediaset, Il Giornale, Libero, La Verità, Panorama?
Sono filogovernativi nei vertici, meno negli apparati. Per esempio io partecipo al programma Passato e presente di Paolo Mieli, che stimo molto, ma constato che nelle puntate sul fascismo stranamente non si parla mai del “biennio rosso”. Un fenomeno poco considerato come causa del fascismo e ignorato in quanto fu esso una delle radici del fascismo stesso, come esempio ricevuto e come modello concorrenziale. Invece lo si evita perché si teme, semplicisticamente, che la gente comprenda quanto il fascismo ha vinto con la violenza su un’altra violenza che gli era stata maestra.
Anche a livello europeo la destra italiana resta di oggi sospesa tra popolari e neofascisti…
I nodi sono venuti al pettine. Non si può stare con Orban e Von der Leyen o con Trump e Biden. Meloni sa che l’Italia non è un paese sovrano, anche se non può dirlo, e si barcamena. Personalmente la vedo troppo atlantista, così come trovo un errore il suo no al salario minimo.
Con Trump cosa cambierà?
Il debito pubblico Usa porterà a una guerra a macchia di leopardo allargata come oggi in Ucraina e in Israele o a un maggiore spazio offerto ai BRICS con una Cina che per ora fa da Katéchon e trattiene l’Apocalisse.
Cosa pensa della riforma costituzionale?
Il premierato non risolve nulla. Il presidenzialismo forse sì. Bisogna stare attenti ai contrappesi, al Parlamento e al ruolo del presidente della Repubblica. Ma a Meloni suggerisco di lasciar perdere per non fare la fine di Renzi.
(La Stampa, 25 luglio 2024)