Domenica 28 luglio 2024, XVII Domenica del Tempo Ordinario
Santi Nazario e Celso martiri
ARTE, ARTE E ANCORA ARTE
GUSTAV KLIMT: L’ORO DELLA SEDUZIONE
di Eleonora Genovesi
“Chi sa vedere le cose belle è perché ha la bellezza dentro di sé” (Gustav Klimt)
Ed eccoci di nuovo a parlare di Arte. L’ultima volta parlammo di Alphons Mucha, uno dei massimi esponenti dell’Art Nouveau. Oggi parleremo di Gustav Klimt il protagonista indiscusso della Secessione Viennese, nome che l’Art Nouveau assunse in Austria… Tuttavia mi si conceda un breve incipit, prima di addentrarmi nel mondo di Klimt, un incipit che è una riflessione amara sul come l’interesse per l’Arte stia pericolosamente precipitando verso il baratro del senso di ignorare, non vedere.
Siamo in un periodo storico alquanto difficile, afflitto da novelle sette piaghe d’Egitto, piaghe ahimè non risolvibili dall’uomo comune. E personalmente cerco balsami per l’anima, un’anima preoccupata per il futuro, un futuro incerto, ma che da persona solare cerco di vedere in modo positivo. E l’Arte è per me il Balsamo per eccellenza che lenisce paure e insicurezze e che ha lenito anche il dolore. Ma vedo che la gente preferisce parlare sempre di politica, di inflazione e ancora… Sono problemi che affliggono la maggior parte delle persone, ma il parlarne in continuazione, non solo non risolve i problemi a credo che acuisca sensazioni negative… E parlo da docente di Arte che ogni giorno mette l’anima nel proprio lavoro per far amare questa stupenda disciplina, in Italia messa all’angolo, ai suoi ragazzi. Ma quando in sede d’esame alla domanda posta ad un ragazzo sul cosa ti è piaciuto di più di tutto quello che abbiamo fatto in questi anni, ti senti rispondere: “La Cappella Sansevero con le immagini del Cristo Velato che scorrevano col sottofondo del Requiem di Mozart che lei aveva messo” allora ti rendi conto che i ragazzi sono un terreno decisamente più fertile degli adulti nel recepire la Bellezza con tutto ciò che ne consegue. Ed ora iniziamo il nostro viaggio nel mondo di Gustav Klimt, artista che si colloca tra i massimi artefici della corrente artistica dell’Art Nouveau, che dalla fine dell’Ottocento fino agli inizi del Novecento, abbraccerà tutti i campi del mondo dell’arte. Ma facciamo un piccolo passo indietro. L’arco temporale che va dagli ultimi anni dell’Ottocento agli inizi del Novecento per la relativa pace esistente tra le potenze europee viene indicato genericamente come Belle époque. Ma, al di là delle apparenze e del nome, questi anni sono caratterizzati da un’intensa crisi che investe anche il mondo dell’Arte. È una crisi generata dalla consapevolezza che l’incessante crescere della fede nel progresso scientifico, progresso che appare inarrestabile e tale da risolvere tutti i possibili problemi umani, genera una felicità “universale” solo apparente. Felicità per chi? Sicuramente per la borghesia che si arricchisce sfruttando i lavoratori, la cui spiritualità è letteralmente uccisa dalla meccanicizzazione.
E la risposta viene dal mondo dell’arte con il movimento Art Nouveau che per salvarsi dalla volgare materialità della realtà si rifugia in un mondo immaginario intimo e raffinato.
L’Art Nouveau è un movimento dalle caratteristiche simili ma che assume denominazioni diverse in ogni nazione:
– Art Nouveau in Francia e Belgio
– Modern Style in Inghilterra
– Modernismo in Spagna
– Jugendstil in Germania
– Secessione in Austria
– Liberty o floreale in Italia.
Ed ora torniamo al protagonista di questo viaggio: Gustav Klimt. Ma chi era Gustav Klimt?
Klimt nacque il 14 luglio 1862 a Baumgarten, oggi quartiere periferico di Vienna, da una famiglia morava. Fin da bambino si appassionò all’arte così come i suoi fratelli. Dal padre Ernst, di professione orafo, eredita l’amore per l’artigianato e la preziosità dei materiali, dalla madre, amante della musica, riprende, invece la passione per il mondo musicale.
All’età di 14 anni, Gustav frequenta una delle scuole di arti applicate più all’avanguardia del momento, la Kunstgeweberwrschule, dove studia disegno ornamentale e disegno di figura, per poi specializzarsi in pittura decorativa.
E sarà proprio la frequenza di questa scuola di arti applicate a fargli acquisire il possesso di tecniche quali il mosaico e la lavorazione dei metalli e di repertori decorativi di epoche e culture diverse. L’artista inizia il suo percorso artistico nell’ambito dello stile accademico di stampo tradizionale. La svolta la si avrà nel 1897, quando Klimt, desideroso come altri artisti della sua generazione di rivoluzionare l’arte, si farà promotore della Secessione Viennese che, annullando le tradizionali divisioni tra i vari generi, opererà una vera riforma del gusto.
La Secessione Viennese, filone austriaco dell’Art Nouveau, rivendica il diritto di trasmettere una visione interiore del mondo (interiorità messa in crisi dalla volgarità imperversante frutto del crescente processo di industrializzazione), un mondo misterioso, arcano, meraviglioso, attraverso una scrittura magica fatta di colore.
E Klimt è il pittore che più di ogni altro porta avanti queste idee divenendo l’anima della Secessione. In lui prevalgono: il Simbolo, l’evocazione onirica della realtà, la linea elegante e sinuosa, la bidimensionalità delle forme, il preziosismo cromatico. A tutto questo si aggiungeranno le influenze bizantine dovute al suo viaggio in Italia, avvenuto tra il 1900 ed il 1903, quando visitando Ravenna resterà letteralmente incantato dall’oro dei mosaici, cosa che lo porterà a sperimentare a 360° le potenzialità di questo metallo prezioso. E sarà proprio questo viaggio in Italia a definire compiutamente lo stile dell’artista.
Inizia così il suo periodo aureo che coincide con la fioritura della sua maturità creativa. Ma sarebbe troppo restrittivo associare l’arte di Klimt al solo periodo aureo. La sua arte è stata contraddistinta da diversi periodi, di cui molti sconosciuti ai più che lo conoscono solo per alcuni ritratti di donna decisamente sensuali. Sì Klimt è molto di più: la sua arte non è solo pura interiorità, poiché riesce a creare poetici paesaggi e splendidi ritratti femminili, oltre ad indagare la sfera della psiche. La sua produzione è stata grande e variegata e si è interrotta alla sua morte avvenuta nel 1918, alla fine della prima guerra mondiale, quando, pur avendo superato l’influenza spagnola, fu colpito da un ictus.
Iniziamo questo percorso con la Musica, olio su tela del 1895. Siamo in un periodo di sperimentazione che precede la fase Secessionista, periodo in cui Klimt si sta avvicinando all’Art Nouveau. L’artista molto provato dalla prematura morte del fratello Ernst, avvenuta poco dopo quella del padre, inizia a sperimentare ed approfondire degli stili artistici più classici.
E la Musica rispecchia molto bene il periodo che Klimt sta vivendo. Nell’immagine – che simula la pittura vascolare greca – risalta la sfinge (che allude alla libertà artistica), la maschera del sileno a sinistra, i denti di leone (metafora della diffusione delle nuove idee) ed infine il volto meditabondo della donna. Passiamo ora al periodo della Secessione Viennese con i 2 oli su tela: Pallade Atena del 1898 e Nuda Veritas del 1899. La Secessione Viennese fu fondata ufficialmente a Vienna nel 1907 da 19 artisti, il cui capofila era Gustav Klimt. La finalità che si prefiggeva il movimento era quella di affrancarsi dalla tradizione rielaborando un’opera d’arte totale (Gesammtkunstwerk) che unisse architettura, scultura, pittura e design.
Tra gli esponenti più importanti, oltre a Klimt, troviamo Egon Schiele e Otto Wagner. Atto fondativo del gruppo fu la rivista Ver Sacrum (“Primavera sacra”), pubblicata per la prima volta nel 1898: creata dallo stesso Klimt e da Max Kurzweil, si pose come l’organo ufficiale della secessione viennese.
A dispetto della sua breve durata, solo cinque anni (Ver Sacrum concluse infatti le pubblicazioni nel 1903), ebbe un forte impatto nel mondo dell’arte, oltre ad essere un importantissimo elemento per lo sviluppo dell’Art Nouveau. In Pallade Atena la divinità greca viene usata come nume tutelare della Secessione Viennese. Atena è ritratta davanti ad un fregio preso in prestito da un vaso attico a figure nere del VI secolo a.C. È un dipinto davvero bello la cui bellezza viene ulteriormente esaltata dalla cornice dorata realizzata dal fratello di Klimt. Ecco poi Nuda Veritas, olio del 1899 di cui Klimt fece una versione precedente datata 1898, realizzata con la tecnica della litografia e pubblicata su Ver Sacrum. Il dipinto del 1899 si apre con la citazione del filosofo Schiller, scritta su fondo d’oro che si pone come una sorta di cartello introduttivo all’opera accentuandone la carica sensuale: “Non puoi piacere a tutti con la tua azione e la tua arte. Rendi giustizia a pochi. Piacere a molti è male” (Schiller).
Nella parte centrale del dipinto vediamo la figura femminile, protagonista indiscussa della rappresentazione, che si concede alla vista dello spettatore in tutta la sua nudità, senza nascondere nulla. Sebbene la Veritas non abbia un atteggiamento provocatorio, la presenza del serpente ai suoi piedi, dei fiori nei capelli e dello sfondo acquatico rarefatto, conferisce alla figura una carica pericolosa e inquietante. Il pallore dell’incarnato, la chioma rossa, lo sguardo pietrificato rendono questa donna ancora più imperscrutabile e misteriosa. La donna fissa lo spettatore rivolgendogli uno specchio che tiene con la sua mano destra. Cosa gli starà chiedendo? Lo starà invitando a guardarsi dentro, in una sorta di moderno invito al “Conosci te stesso” o lo starà esortando a fuggire dalla menzogna rappresentata dal serpente? Nell’uno o nell’altro caso lo spettatore è invitato a scegliere la strada della verità o quella della menzogna.
In basso, ai lati della Veritas troviamo due fiori che, ergendosi con il loro stelo sottile e lungo, fanno pensare a forme spermatozoiche, che ci richiamano alla memoria la presenza maschile, assumendo così la valenza simbolica di rigenerazione.
L’opera si chiude, ai piedi della figura femminile, con la scritta Nuda Veritas. In questo dipinto ravvisiamo già tutte le principali caratteristiche dello stile klimtiano: una grande padronanza del disegno, un disegno bidimensionale reso attraverso l’uso del colore, l’uso dell’oro nella cornice e l’uso di materiali e tecniche derivanti dalle arti minori.
Ma cosa avrà voluto dirci Gustav Klimt con la sua Nuda Veritas? L’artista in quest’opera si cimenta nell’affrontare uno dei temi più antichi della storia dell’umanità, il tema della verità, che per essere tale dev’essere nuda appunto. E questo concetto si estende a tutti i campi, compreso quello dell’arte. Klimt ci dice che l’Arte deve esprimersi senza veli.
L’Eros dev’essere esaltato dall’artista senza alcun timore, anche se questo comporta uno scontro con il pensiero dominante europeo. E Klimt fu coerente con il suo pensiero come ci dice l’impatto provocato dalla sua Nuda Veritas, che suscitò numerose polemiche, in primis le critiche rivolte all’aspetto demoniaco della figura femminile. In effetti il realismo di questo nudo klimtiano era profondamente diverso dal tipo di nudità cui era abituato il pubblico di quell’epoca.
La componente sensuale in Klimt è molto accentuata e ciò non fu apprezzato dai benpensanti.
Ma a Klimt poco importava. E qui lascio la parola all’artista: “Una volta terminato un quadro non ho voglia di perdere dei mesi interi a giustificarlo davanti alla gente. Quello che conta per me non è a quanti piaccia ma a chi”. Queste furono le sue dichiarazioni in un’intervista sul Wiener Morgen-Zeitung.
Ricordiamoci poi che questo dipinto è stato realizzato in un momento storico molto particolare che si stava aprendo ad una crescente modernità come ci attestano le teorie di Sigmund Freud che inauguravano, nella cultura borghese dell’epoca un nuovissimo tipo di dibattito sulla sessualità.
Sta di fatto che, a dispetto delle diverse teorie elaborate su quest’opera, essa resta uno dei capolavori di Klimt, sebbene poco noto ai più. Come già detto in precedenza Gustav Klimt è un artista estremamente versatile, le cui tematiche non sono circoscrivibili a pochi soggetti. La sua linea morbida e ondeggiante, che fonde in un unicum con grande armonia e naturalismo, l’astrazione, la sintesi e la decorazione, fa di lui un artista ricercato. Klimt fu un abile paesaggista ma anche ritrattista di figure femminili della ricca borghesia industriale viennese. Così tra le sue opere troviamo molti paesaggi, ma soprattutto figure femminili. L’artista è infatti passato alla storia come il più grande pittore dell’universo femminile. Per quanto attiene i paesaggi cito un’opera che amo molto: il Faggeto, un olio su tela del 1902, opera che fa parte di una serie di quadri a soggetto lacustre realizzati negli stessi anni. Dinanzi agli occhi dello spettatore si presenta uno scenario naturale che pare invitarci alla meditazione ed alla contemplazione.
La composizione prende vita attraverso il contrasto fra linee verticali e orizzontali, la cui andatura ritmica, anziché generare un appesantimento ottico, gioca con la vivacità dei colori e l’esilità dei tronchi, che sembrano essere leggermente ondeggianti, fino ad immergere lo spettatore nel paesaggio. Benché i fusti dei faggi dipinti da Klimt siano ognuno diverso dall’altro per spessore, colore e andamento, vediamo che ogni elemento del bosco raffigurato è caratterizzato da quel senso di ordine che contraddistingue sempre le opere dell’artista viennese. Così le rette verticali ed i piccoli segmenti orizzontali evocano la struttura di un tessuto prezioso conferendo al quadro l’aspetto tattile di un morbido panno. Klimt, come gli Impressionisti, non dipinge in studio ma en plein air. Tuttavia i suoi paesaggi non sono delle trascrizioni spontanee di ciò che vede il suo occhio, ma assumono una prepotente connotazione astratta, grazie ad uno stile che fonde con audacia elementi naturalistici di grande eleganza raggiungendo così il limite dell’astrazione.
Questo paesaggio, come tutte le opere di Klimt, a prescindere dal soggetto, catturano l’attenzione dell’osservatore, rendendolo parte della sua opera, al di là del tempo e dello spazio.
Nello stesso anno, 1902, Klimt dipinge il ritratto di Emilie Floge, amica, amante e musa dell’artista. Ma Emile non era una semplice musa, era molto molto di più. Era una donna all’avanguardia, una stilista ante litteram, arrivata prima della più famosa Coco Chanel. Infatti quando Coco Chanel apriva il suo salone al 31 di Rue Cambon a Parigi nel 1910, la Flöge confezionava abiti all’avanguardia già da diversi anni. Parliamo di abiti che si distaccano drasticamente dall’abbigliamento femminile dell’epoca. Modelli a vita impero, con maniche larghe ed elementi decorativi ispirati ai ricami ungheresi e slavi. Ebbene sì fu Emile Flöge e non Coco Chanel a liberare per prima le donne dalle pastoie della moda di inizio secolo fatta di corpetti costrittivi. Il corpo femminile doveva essere libero, così come la persona.
L’idea di libertà della Flöge prendeva corpo e volume in un guardaroba morbido e rilassato, che preferiva tagli facili da indossare. Seguendo la traccia della rivoluzione iniziata da Paul Poiret, che nel 1906 eliminò il corsetto, Emilie prediligeva delle silhouette giocose e fluttuanti simbolo di un abbigliamento riformato che urlava una potente dichiarazione di valori tanto moderni quanto rivoluzionari.
I nuovi abiti di Emile Flöge, fatti di stampe floreali e giochi cromatici metallici, di ispirazione orientale, celebravano la libertà fisica, l’espressione di sé, la vicinanza alla natura e la vitalità di altre etnie. Nel 1904, Emilie inaugurò insieme alle due sorelle l’atelier Flöge nella vivace Mariahilfer street di Vienna. Pensate nel 1904 tre donne sulla trentina, non sposate, aprono un atelier: piuttosto insolita come impresa!
E questa è la donna ritratta da Klimt. In una tela molto allungata la protagonista del dipinto è in posa e dipinta al centro dell’opera. Il corpo è rivolto a sinistra dell’osservatore e la Flöge assume una posa elegante e decisa. Il suo braccio destro è abbandonato lungo il corpo mentre la mano sinistra è poggiata sul fianco. La giovane veste un abito dal tessuto decorato con piccoli segni grafici inseriti all’interno di una campitura bidimensionale e aperto sul davanti con un décolleté quadrato. Il ritratto della Flöge trasuda eleganza da ogni dove. Forse è il primo dipinto di Klimt nel quale compare la tipologia della “donna-gioiello”. Infatti la figura di Emilie è impreziosita da una decorazione che incastona il suo corpo. Inoltre anche la posa è elegante e iconica.
Le parti scoperte sono dipinte con uno stile tradizionale che tende la pelle levigata. La decorazione dell’abito e lo sfondo, invece, sono risolti con interventi e segni grafici. Questo ritratto anticipa, nella sua concezione, quelli più celebri del 1906-1907. Entriamo ora nel periodo di massimo splendore, in tutti i sensi, dell’arte di Klimt: il cosiddetto Periodo Aureo.
L’età dell’oro: quel periodo mitico, esistito da sempre nella mente dell’uomo, cantato dai poeti, e nei secoli sognato ed evocato con nostalgia.
Dal punto di vista temporale il Periodo Aureo klimtiano è contemporaneo alla Secessione Viennese, ma mentre quest’ultima è un movimento collettivo, la fase dell’oro di Klimt è una fase tutta personale in cui la sua arte si avvale di tecniche come appunto quella della foglia oro. Come detto in precedenza nel 1903, Klimt visita, per bene due volte, l’Italia, restando irresistibilmente attratto dalla straordinaria luminosità dei mosaici bizantini di Ravenna. Questa esperienza e il ricordo dei lavori di oreficeria del padre, ispirano l’artista a sperimentare un nuovo modo di trasfigurare la realtà e modulare le parti piatte con passaggi di colore, dall’opaco al brillante. È così che si parla del “periodo aureo” di Gustav Klimt, contraddistinto da un massiccio utilizzo del colore dorato, che si materializza nell’applicazione di foglie d’oro, da una spiccata bidimensionalità nello stile delle opere d’arte, da una prevalenza di figure femminili e dall’impiego di simbolismi. I quadri che appartengono a questo periodo “dorato” di Gustav Klimt sono numerosi: Giuditta e la testa di Oloferne (1901), conosciuta anche come Giuditta 1, Le tre età della donna (1905), Il ritratto di Adele Bloch Bauer, Il bacio (1907-1908), la Danae (1907-1908), L’albero della vita (1905-1909), La Speranza II (1907-1908), conservato al MoMA di New York, Il fregio Stoclet.
Il dipinto Giuditta e la testa di Oloferne è considerato la prima opera del periodo aureo, periodo contraddistinto da un linguaggio di forte astrazione simbolica e dall’uso massiccio dell’oro. Quest’opera rappresenta una delle prime esperienze del pittore austriaco dove mostra tutta la sua spontaneità e la mancanza di artifici retorici.
Racchiuso in una cornice di legno, il soggetto viene utilizzato quale metafora del potere di seduzione delle donne, che riesce a vincere anche la forza virile più bruta.
In clima simbolista la figura di Giuditta si presta ovviamente alla esaltazione della femme fatale crudele e seduttrice, che porta alla rovina e alla morte il proprio amante. Il pittore raffigura la protagonista come una donna moderna, con il volto di Adele Bloch-Bauer, esponente dell’alta società viennese. Ma Giuditta è anche una donna libera che si contrappone alla prepotenza maschile. Nella versione klimtiana vediamo una donna che usa la sua sensualità per tagliare la testa a un uomo nemico. Una donna che insegue l’indipendenza e realizza il gesto più forte per ottenerla. Decapita l’uomo, del suo ruolo predominante. L’immagine ha un taglio verticale molto accentuato con la figura di Giuditta, di grande valenza erotica, a dominare l’immagine quasi per intero. La testa di Oloferne appare appena di scorcio, in basso a destra, tagliata per oltre la metà dal bordo della cornice. Da notare la notevole differenza tra gli incarnati della figura, che hanno una resa tridimensionale, e le vesti, trattate con un decorativismo bidimensionale molto accentuato. Dietro la testa di Giuditta è rappresentato un paesaggio arcaico e stilizzato di alberi di fico e viti, tratto da un fregio assiro del Palazzo di Sennacherib a Ninive.
Nel 1905 Klimt realizzerà Le Tre Età della Vita.
Questo dipinto vinse il premio all’Esposizione d’Arte Internazionale di Roma del 1911 e l’anno seguente fu acquistato dalla Galleria Nazionale d’Arte Moderna. La tela unisce il decorativismo geometrizzante a un’inattesa introspezione psicologica nelle espressioni delle tre figure: la drammatica premonizione della fine nella vecchiaia, la tenerezza protettiva nella giovane donna e l’abbandono sicuro del bambino.
Nel 1904 Klimt viene chiamato per decorare Palazzo Stoclet (dal nome del ricco proprietario) a Bruxelles. La progettazione del palazzo, realizzata dall’architetto Josef Hoffmann, vede coinvolti diversi artisti.
Klimt si occupa della decorazione delle pareti dalla sala da pranzo, decorazione ultimata nel 1909, e sceglie di realizzare un lungo fregio su tre pannelli: Il fregio Stoclet. Lo scopo del progetto era quello di unire tutte le arti: pittura, scultura, arti decorative, arredamento in un’opera d’arte totale.
Il compito di congiungere tutte le arti in un’Opera d’arte totale, questa la traduzione letterale del termine Gesamtkunstwerk, spetta all’architettura che riunisce in sé tutto. Per questo motivo si diffonde la pittura murale.
Gustav Klimt realizza questo Fregio con la tecnica del mosaico impreziosito da vari materiali: ceramica, vetro, metallo e soprattutto il tipico oro in diverse tonalità che invade l’opera, quasi a voler rappresentare la ricchezza del committente. La caratteristica principale è sicuramente la sua composizione costituita da pannelli che rappresentano nella loro interezza e maestosità un albero che simboleggia il processo ciclico della vita. Il Fregio si sviluppa orizzontalmente con un susseguirsi di scene che apparentemente sembrano non essere correlate l’una all’altra, ma che nella realtà attribuiscono una complessa dinamicità all’intera opera.
Klimt nel fregio di Palazzo Stoclet mostra le riflessioni a lui più care, simboleggiate dalle figure dalla donna, dalla natura morta e dall’amore, che negli anni hanno caratterizzato il suo operato. Queste tre tematiche che riscontriamo all’interno di questo fregio sono rappresentate con l’albero della vita, l’attesa e l’abbraccio.
Il fregio di Palazzo Stoclet di Gustav Klimt è dunque la sintesi del divenire ciclico della vita e della morte e della ricerca dell’amore da parte di una donna e del successivo avverarsi del sogno sempre desiderato. Al centro dell’Albero della Vita di Klimt spicca un albero d’oro dai mille rami, che si intersecano andando a formare figure geometriche somiglianti a nuvole e onde. Nel fregio confluiscono influenze diverse: dall’arte musiva bizantina alle stampe giapponesi. Ma soprattutto domina la cultura egizia, nella posa delle figure e nell’iterazione di motivi decorativi. Ma al di là del preciso messaggio che l’artista vuole trasmettere attraverso la composizione dell’opera, questo albero ha da sempre un significato simbolico preciso, che si ripete in diverse culture fin dai primordi dell’arte: l’albero è conoscenza, l’albero è vita. E proprio per questa sua valenza simbolica mi piace realizzare a mano ogni anno un albero della vita, cui i ragazzi di prima, che si avvicinano per la prima volta a questa disciplina, sempre meno conosciuta, attaccano vicino ai rami il disegno su cartoncino della loro mano con su scritto il loro nome. E sotto il disegno dell’albero, citando Socrate, scrivo: L’ALBERO DELLA CONOSCENZA: IL SAPERE RENDE LIBERI, È L’IGNORANZA CHE RENDE PRIGIONIERI (Socrate). Perché sia ben chiaro da subito che solo la conoscenza ci dà il dono della libertà.
Ed eccoci giunti a parlare di uno dei dipinti più iconici e importanti di Gustav Klimt Il ritratto di Adele Bloch Bauer I del 1907, la Monna Lisa d’Austria, una divinità moderna. Ed è proprio in questo ritratto che il periodo d’oro raggiunge il suo apice. Adele Bloch Bauer incarna alla perfezione l’ideale dell’aristocrazia viennese di fine ‘800, figura in bilico tra femme fatale e complessità. Figlia di un imprenditore, cresce in una famiglia ebrea molto colta. Appassionata d’arte, frequenta con piacere la vita mondana della Vienna di quel periodo, ed è una sorta di punto di riferimento per la vita culturale della città. La donna è molto amica di Gustav Klimt, di cui ammira il lavoro ed è, allo stesso tempo, musa e mecenate delle sue opere. Nel dipinto la figura della donna è collocata su uno sfondo dorato con dei tasselli di diversi colori, ispirati alla mitologia egizia. Gli elementi dell’opera, nel complesso, cercano di donare al soggetto un’aura di sacralità, che Klimt riesce a rendere con un senso di atemporalità nella sua tela.
Questa atemporalità è messa in luce dall’inesistenza di una profondità spaziale come nelle raffigurazioni religiose antiche. Gli unici elementi dell’opera che sembrano emergere dalla bidimensionalità sono le mani e il volto della donna, volto cui viene conferita una potenza espressiva che comunica al contempo erotismo e malinconia, mettendo al centro il conflitto tra eros e thanatos. Un conflitto, che caratterizza anche altre opere di Klimt come la Giuditta I e Giuditta II, di cui parla Freud nella sua Interpretazione dei sogni del 1899, opera con la quale il padre della psicoanalisi apre le porte all’analisi dell’inconscio e al riconoscimento dell’esistenza di una parte dell’essere nascosta che influisce sulla persona. Due, per Freud, le pulsioni fondamentali: Eros, pulsione di vita; Thanatos, pulsione di morte.
E queste due pulsioni sono padrone dell’uomo, intrecciandosi nel profondo dell’individuo, modellandolo. Sta ai grandi pensatori, a coloro che si interrogano sulla natura intima dell’uomo, dare forma sensibile a tali fili nascosti – quali siano le modalità: forme, colori, parole, teorie. E Klimt è stato abilissimo nel configurare con i suoi colori e le sue forme la lotta tra l’Eros ed il Thanatos.
Perché come dico sempre ai ragazzi l’Arte è lo specchio della società che la produce.
Ma il Il ritratto di Adele Bloch Bauer I, noto anche come Woman in Gold (Donna in oro), è sicuramente il più famoso, non solo per la sua sfolgorante bellezza, ma per essere stato al centro di una clamorosa controversia giudiziaria internazionale. Adele Bloch Bauer morì prematuramente di meningite il 24 gennaio del 1925 a soli 43 anni lasciando al marito Ferdinand precise disposizioni testamentarie. Ma quando i nazisti invasero l’Austria, il marito di Adele fu costretto a rifugiarsi in Svizzera, lasciando così tutti i suoi beni, inclusi i dipinti di Klimt, nelle mani dei nazisti. Ma ebbe comunque il tempo di redigere un nuovo testamento in cui designò eredi di tutto il suo patrimonio le sue nipoti. Il celebre ritratto di Adele venne sequestrato dai nazisti insieme a tutti i beni della famiglia Bloch Bauer, durante la persecuzione degli ebrei. Ma a differenza dei gioielli della famiglia Bloch-Bauer sequestrati e portati in Germania, i dipinti di Klimt rimasero in Austria, per essere esposti assieme al ritratto di Adele – ribattezzato nel frattempo The Woman in Gold, La donna in oro (che è anche il titolo del film omonimo che ripercorre la storia dell’opera), per nascondere l’origine ebraica della protagonista – alla Österreichische Galerie Belvedere.
Molti anni dopo, siamo all’inizio del 2000, Maria Altmann, nipote preferita dei coniugi Bloch-Bauer e legittima erede (salvatasi dai campi di concentramento dove era stata internata), dà inizio ad una lunga procedura legale per riottenere il possesso del dipinto. A seguito di questa vicenda, l’opera verrà acquistata nel 2006 da Ronald Lauder, collezionista e filantropo, per una cifra di 135 milioni di dollari, ma solo a patto che l’opera potesse essere esposta al pubblico in modo permanente. La richiesta fu ottemperata e l’opera attualmente si trova alla Neue Galerie di New York, museo di proprietà dello stesso Ronald Lauder. Dunque Il ritratto di Adele Bloch Bauer I, la Monna Lisa d’Austria è divenuto anche il simbolo della prepotenza nazista, che non solo sterminò milioni di famiglie ebree ma lucrò cinicamente sull’Olocausto.
Sempre nel 1907 Klimt realizza il dipinto che i più associano al suo nome: Il Bacio in cui lo stile aureo si spinge fino quasi all’immagine di una nuova, ossessiva Bisanzio.
Quest’opera, in pieno accordo con i canoni dell’Art Nouveau di cui diviene una delle icone principali, è dipinta su tela con decorazioni e mosaici (Klimt aveva un debole per i mosaici di Ravenna) in color oro sullo sfondo. L’uomo, in piedi, si piega per baciare la donna che sta inginocchiata sul prato tra i fiori e sembra accettare il bacio, partecipando emotivamente. Solo la faccia e le braccia dei personaggi sono realistiche, il resto del quadro è formato da tinte piatte e volumi geometrici accostati. La faccia della donna è racchiusa fra le mani del maschio, il quale ha il braccio della femmina sul collo. Klimt ha vestito i suoi personaggi con la lunga tunica che era solito portare. La coppia è contornata da un ovale. Le forme geometriche sono abbastanza allusive, sul vestito dell’uomo vi sono raffigurati dei rettangoli posizionati in verticale, sul vestito della donna sono raffigurati dei cerchi concentrici, tutte e due le forme geometriche ricordano il sesso dei soggetti che indossano quelle tuniche. Nella parte d’oro che ricopre l’uomo vi sono figure rettangolari e in bianco e nero, mentre la donna sembra essere punteggiata con mazzi di fiori ed è caratterizzata da forme rotondeggianti e prive di ogni possibile spigolo. Anche in questo dipinto ritorna la figura femminile ma, in questo caso, viene contrapposta e, al tempo stesso, assorbita da quella maschile. I due universi (maschile e femminile) totalmente diversi, si fondono attraverso l’unico mezzo in grado di trascendere le antitesi tra sesso maschile e sesso femminile: l’amore. E Klimt è davvero formidabile nel restituirci visivamente questa fusione con un’opera che trasmette allo spettatore un senso di unità e completamento tra le due figure, quasi a volerci sussurrare all’orecchio che i 2 insieme formano un tutto indissolubile. Ed è proprio questa rappresentazione dell’amore come forza unificante e trascendente che fa del Bacio, non solo un’icona dell’Art Nouveau ma anche un simbolo universale dell’amore.
Ma come già detto Klimt non è solo quello del Bacio. Tra il 1907 ed il 1908 realizzò un altro bellissimo olio su tela dal titolo Danae in cui affronta un soggetto tratto dalla mitologia greca antica: Danae fu fecondata nel sonno da Zeus trasformatosi in pioggia d’oro. Ma Klimt tratterà il soggetto mitologico in modo del tutto personale: stimolato dagli studi di Freud sulla psicanalisi e affascinato dalla vita vista al microscopio rivelata dalla nascente biologia, utilizzerà simboli ed elementi appartenenti al mondo della scienza inserendoli nei poetici contesti dei suoi quadri, come ad esempio in Danae.
In questo dipinto Klimt alla consueta struttura verticale preferisce lo sviluppo ellittico. Infatti la donna è rappresentata in primo piano, rannicchiata, ripiegata su sé stessa, avvolta in una forma circolare, che rimanda alla maternità e alla fertilità universale. Serenità e pace si leggono sul volto e nella posizione fetale della fanciulla. La Danae di Klimt diviene una fanciulla persa nel sonno e nella dimensione onirica, totalmente dimentica di sé, in uno stato inconscio, in balìa dei propri istinti sessuali. In nessun altro dipinto di Klimt la donna è così interamente identificata con la propria sessualità. Il corpo completamente abbandonato di Danae è circondato e ricoperto dai capelli, da un velo orientaleggiante e sulla sinistra da una pioggia d’oro. Nello scroscio della pioggia d’oro, che richiama i preziosismi bizantini, Klimt aggiunge un simbolo, un rettangolo verticale nero, che rappresenta il principio maschile.
Il periodo aureo di Klimt si chiude con l’opera Giuditta II del 1909, dipinto dal formato allungatissimo e dal decorativismo esasperato. Poco dopo la sua realizzazione, infatti, Klimt entra in una crisi artistica e psicologica che durerà alcuni anni. La Giuditta II rappresenta Giuditta nell’atto di uccidere Oloferne del quale viene evidenziata, in basso a destra, la testa dopo la decapitazione. Klimt utilizza il concetto liberty della linea sinuosa curva, a forma di spirale, per rappresentare Giuditta evidenziandone alcune parti del corpo come la testa, il busto e le mani.
Già dal primo sguardo ci rendiamo conto di trovarci di fronte ad una vera e propria trasformazione nello stile dell’artista, il quale ha subito le influenze della seducente e al contempo tormentata visione delle donne del suo pupillo Egon Schiele.
Si tratta di un dipinto ad andamento fortemente verticale, dove la donna è mostrata non più a mezzo busto ma quasi per intero. Magra, elegante e sensuale, Giuditta è rappresentata mentre sta scappando dalla tenda del nemico ucciso. Il suo sguardo è sicuramente seducente ma allo stesso tempo ci appare cinico e crudele. Da uno sfondo non più dorato come nella prima versione, uno sfondo meno appariscente, emergono le sue lunghe mani, simili ad artigli, mentre trascinano per i lunghi capelli la testa di Oloferne, che si intravede in basso. Ancora una volta, lo sfondo e i vestiti sono trattati come una raffinata decorazione bidimensionale Linee a spirale si accostano a cerchi colorati concentrici, triangoli e piccoli rettangoli ravvicinati. Alla donna seducente e assassina della prima Giuditta si sostituisce semplicemente una donna assassina…
L’elemento della seduzione scompare per lasciare spazio alla determinazione omicida. Si chiude così la fase dell’oro di Gustav Klimt caratterizzata da un massiccio e seducente uso dell’oro puro in foglia e carta dorata che, come nei mosaici bizantini visti a Ravenna, assume il ruolo di trasfigurare la realtà. L’oro klimtiano vuole nobilitare la realtà e fissare l’immagine in una eterna sublime trascendenza.
Siamo così giunti all’ultima parte di questo viaggio nel mondo di Gustav Klimt entrando nel suo ultimo periodo definito “maturo” o “fiorito”.
Nel 1909, dopo aver realizzato Giuditta II, Klimt entrò in crisi.
Probabilmente a questa crisi contribuirono anche i cambiamenti che stavano avvenendo in quel momento: da un lato, l’impero austroungarico stava per collassare, cosa che avvenne all’inizio della prima guerra mondiale, dall’altro in campo artistico si stava diffondendo la prima delle Avanguardie artistiche del Novecento: l’Espressionismo Tedesco o Die Brücke (Il Ponte) grazie anche ad Egon Schiele uno dei più cari allievi e amici di Klimt.
Questo nuovo movimento artistico e culturale, caratterizzato da una potente forza di contestazione si oppose al decorativismo dell’Art Nouveau ritenuto estremamente superficiale. Come già detto Gustav Klimt aveva un cervello vivace ed incline al cambiamento e si rendeva conto che la decadenza dell’Impero non rispecchiava più l’eleganza e la grandeur dei salotti viennesi del tempo. In fondo l’arte non è da sempre lo specchio della società che la produce?
Probabilmente Klimt ebbe la sensazione che la sua espressività, quella del periodo aureo, fosse oramai incongruente con la situazione del momento e decise di mettere ancora una volta in discussione la propria arte sperimentando uno stile pittorico a lui nuovo. Nel frattempo la conoscenza di artisti quali Matisse, Van Gogh, Toulouse-Lautrec, accelerò questo processo di cambiamento dando così inizio alla “terza fase klimtiana” in cui l’artista abbandona l’oro e le linee curve dell’Art Nouveau.
Klimt intraprende così la strada di uno stile più spontaneo e meno artefatto, uno stile più vero e più vicino alla realtà, uno stile decorativo di stampo espressionista dai tratti meno precisi e dai colori più vivi.
Dunque l’abbandono dell’oro, delle eleganti linee dell’Art Nouveau e del minuto decoro geometrico caratterizzano il “periodo fiorito” di Gustav Klimt che mette da parte i soggetti mitologici e i residui di classicismo, utilizzando un cromatismo più acceso. La pennellata diviene più libera e improvvisata, e i mosaici vengono sostituiti da variopinti tappeti di fiori( da cui il nome fiorito) e motivi orientaleggianti. Tratti questi ben visibili nel quadro La Vergine, olio su tela del 1913, esposto alla Galleria Nazionale di Praga. A dispetto del titolo quest’opera trasuda erotismo femminile, tipico della poetica artistica klimtiana. La donna con il suo immenso potere era una vera fonte di salvezza, l’unica in grado di affrontare la decadenza imperante. Lei, dea creatrice, sopravvive a sé stessa. In questo dipinto Klimt abbandona la consueta eleganza che lo ha contraddistinto sino a questo momento per lasciarsi andare a delle allegorie erotiche. Al centro del dipinto si aggrovigliano sette donne in una massa informe di decorazioni e colori sfavillanti.
Ancora una volta Klimt reinterpreta le fasi della vita della donna in modo ciclico indagando le tematiche dell’amore, della sessualità e della creazione. Le donne, dotate di grande bellezza, sono frammentate in pose tanto offensive quanto oltraggiose e innaturali al fine di creare un contrasto: Klimt pare voglia alludere alla società dell’epoca e al suo lento morire. Altra opera del periodo fiorito o terza fase klimtiana che dir si voglia, troviamo il Ritratto della Baronessa Elisabeth Bachofen-Echt realizzato fra il 1914 ed il 1916 dove troviamo influssi dell’arte orientale come si può vedere nelle figurine che incorniciano la baronessa e del cromatismo di Matisse. Alla struttura piramidale della composizione si accoppia una sintassi astratta e fitta, tipica dell’ultima produzione klimtiana. Il Klimt post fase aurea rigetta i moduli greci o egizi per concentrarsi su una festosa esuberanza cromatica, di memoria matissiana.
Come non citare poi La Ballerina, olio su tela realizzato da Klimt nel 1916-1917 opera in cui dominano gli influssi orientali, di quel Japonisme tanto in voga tra fine Ottocento e inizi del Novecento, come si può vedere nelle figure poste sullo sfondo abbigliate con dei kimoni. Il cromatismo acceso e le forme dei fiori richiamano invece Matisse.
Chiudo questo viaggio, forse per alcuni un po’ lungo, nel mondo di Klimt con la Donna con ventaglio opera iniziata dall’artista nel 1917 e conclusa nel 1918 poco prima della sua prematura morte.
La Dama con Ventaglio di Gustav Klimt è un’opera d’arte che ha affascinato il mondo con la sua bellezza senza tempo e il suo stile distintivo. Il dipinto ci mostra una donna elegante con un abito riccamente decorato e un ventaglio in mano. Se la ricchezza delle decorazioni dell’abito rappresenta l’eleganza e la bellezza femminile, il ventaglio, non è solo un accessorio alla moda che accresce il senso di bellezza, ma può essere interpretato anche come un simbolo di potere, mistero e seduzione. E saranno proprio questo senso di mistero e seduzione simboleggiati dal ventaglio, a fare di questo dipinto un’icona dell’estetica di Gustav Klimt che ha influenzato generazioni di artisti successivi.
Quando, nel febbraio del 1918, Klimt morì inaspettatamente a 55 anni, la Dama con ventaglio era ancora sul cavalletto del suo studio. Questo dipinto rappresenta l’eredità artistica di Klimt e la sua ricerca di nuove forme di espressione. Klimt, tra i ritrattisti più richiesti in Europa, in questo stupendo ritratto segue solo la propria ispirazione. Siamo così lontani dalle donne-icona del Periodo d’Oro, che tanto piacevano alle signore dell’alta borghesia europea. La figura femminile sfuma morbidamente nello sfondo, il colore viene usato in modo oserei dire audace conferendo all’opera una gioiosa spontaneità di carattere marcatamente moderno.
Gustav Klimt è stato un pioniere, un artista che ha osato esplorare nuovi territori espressivi. Klimt non è solo quello del Bacio che è uno dei tanti capolavori che incarnano la sua visione artistica, caratterizzata da un profondo simbolismo, un uso audace del colore e una celebrazione dell’amore e della bellezza. La sua eredità continua a vivere, influenzando indiscutibilmente l’arte, la moda e la cultura contemporanea. La sua audacia nel trattare temi sessuali e la sua innovativa tecnica pittorica hanno ispirato generazioni di artisti. Inoltre, il suo uso del colore e delle texture continua a essere studiato e ammirato.
Ed in un mondo permeato da una volgarità dilagante vorrei tanto rinascesse un Klimt, perché ammirare le sue opere è davvero un potente balsamo per l’anima.
Gustav Klimt non era solo un pittore; era un visionario che ha lasciato un’impronta indelebile sulla tela della storia dell’arte.
“Nessun settore della vita è tanto esiguo e insignificante da non offrire spazio alle aspirazioni artistiche” (Gustav Klimt)