Minima Cardiniana 482/3

Domenica 6 ottobre 2024, San Bruno sacerdote

LA CULTURA LGBT E L’IDENTITÀ DI GENERE
I BAMBINI NON BINARI D’EUROPA
di Anna Tsyba
In Europa, la questione dell’introduzione dei bambini alla cultura LGBT+ è oggetto di particolare attenzione. Politici e organizzazioni sociali discutono su quando i giovani dovrebbero essere introdotti al concetto gender e di orientamento sessuale. L’iniziativa di dare ai minori la possibilità di scegliere l’identità di genere a volte viene dai loro genitori. Nonostante la condivisione delle idee di libertà e tolleranza verso tutti gli orientamenti sessuali, l’opinione pubblica europea percepisce tali iniziative per bambini con molta cautela
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Sabato 28 settembre, a Roma Tre, era in programma un “Laboratorio bambin* trans e gender creative”, in cui diverse famiglie con bambini di età compresa tra i 5 e i 14 anni avrebbero dovuto condividere le loro esperienze personali con i ricercatori. Il laboratorio è stato rinviato perché l’accesso all’università è stato bloccato fin dalle prime ore del mattino da indignati manifestanti di Forza Nuova e dell’Onlus Pro Vita e Famiglia.
“È una questione di età. Non siamo d’accordo con il principio che bisogna indottrinare o cercare di spiegare dei concetti ai bambini di 5 anni che a malapena sanno parlare e scrivere”, spiega uno dei manifestanti.
“Abbiamo chiesto al rettore di annullare questo evento perché non esistono bambini trans. Esistono bambini maschi e bambine femmine, e non si può fare sperimentazione ideologica sulla pelle dei bambini e tantomeno utilizzare spazi pubblici come quelli dell’Università Roma Tre, pagati da tutti i contribuenti per effettuare queste ricerche”, ha detto un rappresentante della Onlus Pro Vita e Famiglia, che ha consegnato al rettore una petizione in cui 32.000 persone hanno protestato contro lo svolgimento del laboratorio.
L’università ha emesso una nota di stampa, affermando che “si tratta di un singolo incontro, nell’ambito di una ricerca non finanziata”, finalizzato a “raccogliere le storie e i vissuti personali”. Il Ministero dell’Università e della Ricerca, a seguito delle polemiche alimentate anche dai deputati del parlamento, ha avviato un’indagine per verificare se il progetto corrispondesse ai requisiti previsti dal bando attraverso il quale Roma Tre ha ricevuto acceso ai fondi pubblici.

Educazione gender
I programmi educativi sulle tematiche LGBT e sull’identità di genere si sono diffusi in Europa nell’ultimo decennio. Di solito sono finanziati a livello comunale o anche regionale, sostenuti da organizzazioni LGBT locali e comprendono programmi mirati alla sensibilizzazione dei valori del movimento, a partire dalla scuola materna fino all’università.
La California è stata la prima a lanciare un programma di questo tipo, approvando nel 2011 un elenco di libri per gli studenti delle scuole medie e superiori.
Tali corsi di solito comprendono la lettura a partire dai 4-5 anni degli specifici libri per l’apprendimento delle esperienze di bambini transgender, travestiti e queer, i training di come rivolgersi in modo neutrale a bambini o adulti non-binari e l’insegnamento della storia del movimento LGBT e dei casi di discriminazione delle persone LGBT nella società. Più avanti vengono introdotti i concetti di omosessualità, del rispetto per l’orientamento sessuale e l’identità di genere, e l’idea di prevalenza di identità di genere sul proprio sesso di nascita.
Ed è qui che iniziano i dibattiti sulla salute psico-fisica dei propri figli. Oltre al crescente numero di progetti educativi di profilo LGBT+, si registra un forte rifiuto da parte di molti genitori che non vogliono che nelle scuole materne ed elementari vengano trattati concetti così complessi e delicati. Molti addirittura preferiscono iscrivere i propri figli a un’altra scuola, dove questi temi vengono trattati di meno o non contemplati.
Altri genitori, al contrario, sostengono le iniziative di esposizione precoce ai valori LGBT+. Riportiamo di seguito una scena osservata in una scuola privata all’inizio di quest’anno scolastico:
“Abbiamo una nuova bambina in classe!”, nota una mamma con un sorriso.
“Non è una bambina”, risponde l’insegnante con un sussurro. “È un bimb*-trans. Non ha ancora deciso il suo sesso”.
Si tratta di un/una bambin* di quattro anni che vorrebbe imparare una lingua straniera e i cui genitori ritengono che il/la loro figli* debba ancora scegliere il proprio sesso. L’alunn* ha i capelli corti e una piccola spilla lilla. Al/la bambin* ci si deve rivolgere in modo neutro, senza enfatizzare il suo sesso. La stessa politica nella scelta di colori, giocattoli e altri oggetti: massima neutralità in tutto ciò che può indicare il genere del bambin* e, quindi, imporgli una scelta di genere.
Il personale docente e l’amministrazione scolastica hanno preso la tacita decisione di riferirsi al bambin* come a una bambina, poiché la neutralità linguistica nella comunicazione con il bambino in una lingua straniera è estremamente difficile e potrebbe confondere gli altri alunni. C’è da notare che le conseguenze legali di una tale decisione potrebbero essere estremamente spiacevoli per una scuola, anche se privata.

Diagnosi errata
Mentre gli europei sono molto cauti nei confronti dell’idea di flessibilità dell’identità di genere e dell’ipotesi di far cambiare sesso ai loro figli, gli americani e i canadesi vivono questi concetti come una pratica normalissima e molto comune, che permette al loro figlio o figlia di esprimere la propria personalità in piena libertà. Al contrario, cercare di convincere un bambino che la sua scelta possa essere prematura o sbagliata, oppure di consigliare un semplice approfondimento è considerato una forma di transfobia e di manifestazione estrema di conservatorismo. Secondo gli esperti di genere e gli attivisti progressisti per i diritti LGBT, i genitori che si oppongono al processo di “transizione” rovinano la vita del bambino e ne ostacolano il diritto naturale all’autodeterminazione.
Molti genitori confessano che i loro figli hanno preso la decisione di cambiare l’identità di genere sotto l’influenza dei video su social network realizzati da influencer transgender o in classe attraverso programmi di studio offerti dalle organizzazioni per i diritti dei transgender. E quindi, essendo in un certo senso influenzati, le decisioni di questo tipo andrebbero ulteriormente approfondite. Però, secondo gli stessi genitori, la pressione della società e dei terapeuti è talmente forte che se il padre o la madre non accettano prontamente la volontà espressa dai loro figli devono essere accusati di transfobia e di non voler bene al proprio bambino o bambina.
Il “New York Times”, che in passato ha sempre promosso la questione gender e le relative cure, ha pubblicato quest’anno un articolo intitolato “Da bambini pensavano di essere trans. Ora non più”. La pubblicazione mette in guardia sui pericoli di decisioni affrettate in merito alla terapia ormonale e agli interventi chirurgici per il cambio del sesso. Gli esempi riguardano adolescenti che, dopo essersi sottoposti a un ciclo completo di procedure di cambio del sesso, si sono resi conto di aver commesso un errore irreversibile e adesso sono perseguitati dalla comunità transgender come strumenti nelle mani della destra. L’articolo presenta anche alcune testimonianze da parte degli specialisti di genere e psicologi sui pericoli della terapia ormonale, bloccanti di pubertà e interventi chirurgici in giovane età.
Molti medici che hanno cercato di capire i problemi dei giovani pazienti sono stati licenziati o espulsi dalla comunità terapeutica transgender, come si evince dalle testimonianze dei medici professionisti raccolte dal “Wall Street Journal”. Il “Journal” ha pubblicato le testimonianze di decine di esperti medici sulla contraddizione tra i benefici dichiarati della terapia ormonale e gli effetti collaterali già scientificamente provati, come l’infertilità o la sterilità dei pazienti. Inoltre, sono stati evidenziati la scarsa efficacia complessiva della terapia, la necessità di somministrare ormoni incrociati e i problemi psicologici generici dei pazienti.

Una dicitura nel passaporto
Il cambio del sesso non comporta alcun problema nel modificare i dati sui documenti. I problemi sorgono quando un bambino o un adulto decide di appartenere al “sesso non binario”.
Il fenomeno è stato ufficialmente formalizzato, nell’UE, da solo 6 dei 28 Paesi. In Belgio e nei Paesi Bassi, le persone con un’“identità di genere non binaria”, su loro richiesta, hanno potuto ottenere la rimozione della dicitura “sesso” dai documenti ufficiali. In Islanda, Danimarca, Austria, Germania e Islanda tali cittadini hanno già la possibilità diretta di apporre sui loro documenti la dicitura “non binario” o “X”. La stessa opzione, al di fuori dell’Europa, è disponibile per i residenti degli Stati Uniti, Colombia, Australia, Argentina, Cile, Brasile, Colombia, Nuova Zelanda e Canada. India, Nepal, Bangladesh, Pakistan, Taiwan e Thailandia consentono il “terzo genere” con un apposito contrassegno sui documenti.
In Italia, la questione dell’introduzione di un “terzo genere” è diventata per la prima volta oggetto di dibattito pubblico dopo che la Corte costituzionale del Paese, a luglio, ha respinto la richiesta di un cittadino, in Trentino, di indicare il “sesso non binario” nel registro civile.
I giudici hanno chiesto al Parlamento di occuparsi del caso riconoscendo la legittimità della richiesta delle persone non binarie di essere identificate come tali. La rilevanza della questione non va sottovalutata.
Uno studio del 2023 del centro IPSOS ha rilevato che il 9% della popolazione italiana, quasi un italiano su dieci, si identifica come LGBT+. Tra questi, il 4% (circa 2,3 milioni) si autodefinisce con un’identità di genere non binaria, mentre il restante 5% degli italiani (quasi 3 milioni di persone) è omo- e bisessuale. E inserire nei documenti la scritta di “non binario” o “terzo genere” è un tentativo di radicare questo concetto al livello burocratico e linguistico.
Il fatto che la maggior parte dei cittadini della Unione Europea (i giovani magari molto di meno) non abbia idea di cosa sia un’“identità di genere non binaria”, ostacola in modo significativo questi processi, e questo rimane una costante fonte di preoccupazione per la comunità LGBT+. Tuttavia, è ovvio che la percentuale di coloro che si identificano come appartenenti a questa categoria di genere può aumentare notevolmente se la promozione e la valorizzazione dei concetti di neutralità di genere inizia già dalla giovane età.