Minima Cardiniana 484/2

Domenica 20 ottobre 2024, Santa Maria Bertilla Boscardin

IL BUSINESS DEL DOMANI
LE AUTORITÀ EUROPEE IN CORSA PER LE BIOTECNOLOGIE
di Anna Tsyba
Lo scorso marzo, la Commissione europea ha indicato il settore delle biotecnologie e della bioproduzione come la chiave dello sviluppo strategico dell’Europa. Grazie al settore biotech l’UE intende rendere “verde”, modernizzare e digitalizzare l’economia, creare nuovi posti di lavoro e garantire la sicurezza sanitaria e alimentare per la popolazione. I vari Paesi si stanno adoperando per diventare leader del settore, cercando di salire sul treno per tenere il passo con gli americani, che dominano il mercato. Nel perseguire i vantaggi delle partnership internazionali e degli investimenti esteri nel settore delle biotecnologie, però, l’Europa e l’Italia rischiano di diventare un altro trampolino di lancio per le sperimentazioni di Big Pharma e degli alleati statunitensi.

Il settore delle biotecnologie è uno dei business più innovativi e in più rapida crescita in Europa. Tre anni fa, le dimensioni di questo mercato globale hanno raggiunto i 720 miliardi di euro. E, secondo diverse fonti, la crescita annua è prevista dal 15 al 18%. Gli esperti suppongono che entro il 2028 il mercato totale supererà i 2.200 miliardi di euro e che la crescita delle biotecnologie in Europa, tra il 2024 e il 2028, sarà quasi del 300%. Queste cifre riscuotono maggior attenzione dalla Commissione europea per il settore e il suo ruolo chiave nello sviluppo di nuovi farmaci, nella creazione e promozione di materie prime e tecnologie innovativi per l’industria sostenibile e di alimenti per la sicurezza alimentare, nonché nella creazione di nuove tecnologie “verdi” e prodotti digitali per intensificare la transizione ecologica digitale dell’economia.
Le biotecnologie vengono utilizzate in tutto il mondo soprattutto nei settori di agricoltura, industria, medicina e ambiente, basandosi sull’utilizzo di organismi viventi, cellule o loro componenti per sviluppare nuovi prodotti, materiali e tecnologie. Recentemente una particolare attenzione da parte degli investitori si è concentrata sul settore farmaceutico delle biotecnologie. Dopo il clamoroso successo commerciale dei vaccini di Pfizer/BionTech, Moderna, AstraZeneca e Janssen, i cui ricavi netti hanno raggiunto fino ai 100 miliardi di dollari (Pfizer/BionTech) al culmine della pandemia di coronavirus, l’attenzione si è spostata sulla creazione di nuovi farmaci innovativi: anticorpi monoclonali, vaccini, prodotti per la terapia genica e cellulare, la cui domanda sta crescendo insieme all’invecchiamento della popolazione europea e all’aumento del numero di persone affette da malattie come cancro, diabete, malattie cardiovascolari e polmonari, patologie che, nella società moderna, purtroppo sono diventate sistemiche.

Dai farmaci antitumorali alle armi biologiche
Tuttavia, le moderne biotecnologie non vengono utilizzate solo a beneficio dell’ambiente e dell’umanità, ma anche contro di essi. L’esempio più famoso è la fatale fuoriuscita dal biolaboratorio cinese di Wuhan di uno dei virus più letali degli ultimi anni – la SARS-CoV-2 –, che ha ucciso più di 7 milioni di persone. Per una curiosa coincidenza, a quei tempi il locale istituto di virologia stava attivamente “cooperando su base di sovvenzioni” con la britannica GlaxoSmithKline, che appartiene alla Pfizer, l’azienda che ha sviluppato il famigerato vaccino contro il coronavirus.
Ma mentre la fuoriuscita del virus dal laboratorio di Wuhan – che ha ricevuto il più alto livello di certificazione di biosicurezza P4 al momento della sua fondazione nel 2018 – può essere condizionatamente attribuita a un incidente, l’uso della biotecnologia nella creazione di nuove armi e armi biologiche è deliberato e premeditato.
Nell’aprile 2023, il Ministero degli Esteri cinese ha chiesto agli Stati Uniti di dare spiegazioni in merito loro attività biologiche militari interne ed estere. La questione è stata sollevata dopo che la Russia ha presentato a Pechino il rapporto della propria commissione parlamentare sul lavoro dei biolaboratori statunitensi in Ucraina. In base ad alcune informazioni, dal 2005 in Ucraina sono stati allestiti circa 50 laboratori sperimentali per lavorare allo sviluppo – come confermano alcuni testimoni militari, politici e studiosi – di un nuovo tipo di armi biologiche. Il fatto è che ovviamente nessuno può ammetterlo, considerando che dal 26 marzo 1975 è in vigore la “Convenzione sulle armi biologiche”, che ne vieta l’uso, alla quale hanno aderito anche gli Stati Uniti.

Taglio europeo
Gli europei osservano, con crescente allarme, l’espansione della rete di biolaboratori sul loro territorio. Particolarmente preoccupanti per la popolazione europea sono i siti con un alto livello di pericolo biologico, dove si lavora con agenti patogeni di malattie potenzialmente pericolose.
Dopo la distruzione di alcuni laboratori ucraini da parte delle truppe russe e/o a seguito della volontà dei proprietari stessi, per mantenere incognite le attività svolte all’interno, gli Stati Uniti, che detengono il 60% di questa attività nel mondo, si sono trovati davanti alla necessità di stabilire nuove basi per la ricerca. E così alcune voci sostengono che il Paese che ha preso il testimone dall’Ucraina sia stato proprio l’Italia, un solido e fedele alleato degli USA.
Lo confermerebbe il fatto che molto spesso si nominano due basi-laboratorio già funzionanti: a Trieste e presso la base NATO di Sigonella, in Sicilia, sono già in piena attività laboratori rispettivamente di quarto (il più alto) e terzo livello di pericolosità biologica. Il sito di Trieste è in parte finanziato da un fondo internazionale, di cui uno degli investitori è il Pentagono. La base militare in Sicilia, trasferita dagli americani dal Cairo 12 anni fa, è interamente controllata dalla Marina statunitense.

Il patrimonio genetico italiano
Mercoledì scorso, presso il Ministero degli Esteri italiano, sono stati presentati i risultati di un tavolo di lavoro sull’internazionalizzazione delle imprese biotecnologiche a cui hanno partecipato il Vicepresidente del Consiglio Antonio Tajani, il Ministro della Salute Orazio Schillaci e Matteo Zoppas, Presidente dell’Istituto per il Commercio Estero. L’evento ha sollevato alcune questioni in merito allo sviluppo biotecnologico italiano in una prospettiva internazionale, che negli ultimi mesi sono state attivamente discusse con i partner degli Stati Uniti.
L’Italia intende diventare uno dei leader mondiali nel settore delle biotecnologie e per questo è pronta a collaborare attivamente con investitori stranieri e rappresentanti di aziende biotecnologiche estere. Il primo nella lista dei partner sono gli Stati Uniti, con i quali, secondo Mauro Battocchi, funzionario responsabile del Ministero degli Affari Esteri italiano, si tengono sistematici cicli di trattative ed è previsto anche un incontro speciale con i rappresentanti del Congresso americano. Inoltre, secondo lo stesso funzionario, nello sviluppo di biotecnologie sul territorio europeo è interessata anche la Commissione Europea stessa, che considera il settore una priorità per lo sviluppo delle economie nazionali dell’UE.
Le biotecnologie, dopo la pandemia di SARS-Cov-2 definite come strategiche, si concentreranno principalmente sullo studio delle infezioni e delle patologie, compreso il moderno e “gettonato” – nei circuiti scientifici – problema della resistenza agli antibiotici, sulla ricerca della terapia genica, dell’RNA e delle cellule, nonché sullo sviluppo delle biotecnologie industriali e ambientali (ingegneria genetica e biologia sintetica). Per questo l’Italia sarebbe disposta ad attrarre gli investitori, fondi di finanziamento privati e i “bio-imprenditori” stranieri per incoraggiarli a stabilire le loro attività all’interno dell’ecosistema italiano. Il governo italiano, come dalle dichiarazioni pronunciate all’interno del tavolo di lavoro, è pronto anche a collaborazioni con le multinazionali del settore farmaceutico e biotecnologico.
Secondo gli organizzatori dell’evento, “la popolazione italiana risulta molto interessante grazie alla sua forte eterogeneità in termini di struttura genetica e distribuzione di rischio ambientale”, per cui lo studio e lo sviluppo delle biotecnologie in Italia è particolarmente attraente sia per investitori, sia per scienziati. A questo punto ci vengono legittime alcune domande: ci saranno dei protocolli di sicurezza adeguati quando decine di nuovi biolaboratori inizieranno a funzionare in diverse parti del Paese, anche quelle sismicamente più fragili? Si terrà conto delle norme sulla privacy quando si tratterà di raccogliere e trattare il materiale genetico? Riuscirà l’Italia a mantenere il controllo e capacità di decidere in quale direzione e come si svilupperà questo settore strategico? Per ora, le risposte a queste domande non sono per niente scontate.