Minima Cardiniana 484/3

Domenica 20 ottobre 2024, Santa Maria Bertilla Boscardin

ARTE, ARTE E ANCORA ARTE
I PRERAFFAELLITI: I RIBELLI VITTORIANI CHE CONIUGARONO IL NATURALISMO CON IL SIMBOLISMO
Prima parte
di Eleonora Genovesi

Nel quadro voglio rappresentare il sogno di un mondo che non è mai esistito e mai esisterà – nella luce più splendente che si sia mai vista – una terra che nessuno può conoscere o ricordare, solo desiderare” (Edward Burne-Jones)

Ed eccoci di nuovo insieme a parlare di Arte. Spero abbiate trascorso delle vacanze serene e ritempranti… Oggi parleremo del movimento dei Preraffaelliti di cui si è tenuta una bellissima mostra, chiusasi lo scorso 30 giugno, ai Musei San Domenico a Forlì.
Ma chi erano i Preraffaelliti? Si tratta di una Confraternita che nasce in Inghilterra nel settembre del 1848 ad opera di un gruppo di giovani artisti, pittori e poeti, accomunati dalla volontà di opporsi all’arte accademica e di recuperare gli ideali cavallereschi del Medioevo, pur non rinnegando l’appartenenza al proprio tempo. Parliamo di un movimento caratterizzato da tendenze spiritualistiche che fece sua la poetica stilnovista dell’idealizzazione della figura femminile.
Il termine Preraffaellita dato alla confraternita, si riferisce all’arte esistita prima di Raffaello Sanzio, il pittore urbinate, accusato dagli esponenti di questo movimento di aver inquinato l’arte, idealizzando la natura in nome della bellezza e sacrificando la realtà.
I tre fondatori del movimento furono: John Everett Millais pittore, Dante Gabriel Rossetti, vero animatore del gruppo, che estrinseca la propria vena creativa sia in pittura che in poesia e William Holman Hunt pittore, cui successivamente si aggiunsero Edward Burne-Jones (pittore), Ford Madox Brown (pittore), Arthur Hughes (pittore e illustratore), William Morris (artista e scrittore) ed altri. Parliamo di giovani artisti estremamente sensibili ai problemi sociali dell’epoca vittoriana, che, se da un lato sono attratti dalle nuove scoperte scientifiche, dall’altro sono terrorizzati dall’avanzare del fenomeno industriale che rischia di sostituirsi alla mano dell’uomo, uccidendone l’immaginazione e la creatività… La serialità al posto dell’unicità. I Preraffaelliti oscillanti tra sogno e realtà, tra la nostalgia del passato e il desiderio di affermazione di appartenenza al proprio tempo, riflettono molto bene tutte le contraddizioni della società vittoriana. L’ideale stilistico di questo gruppo, come già ci dice il nome scelto, è quello di riportare in auge una pittura primitiva che non tradisca il vero in favore del bello. Parliamo di una ricerca complessa in cui il naturalismo si sposa con suggestioni simboliste che assumono declinazioni diverse a seconda della sensibilità individuale del pittore. Saranno gli scritti di John Ruskin, il teorico di questo movimento a chiarire le finalità dell’opera dei Preraffaelliti. Parliamo di movimento e non di corrente artistica a fronte delle notevoli e significative differenze stilistiche intercorrenti fra i vari componenti del gruppo.
I temi preferiti dai Preraffaelliti, spesso condivisi con i romantici, erano tratti dal Nuovo Testamento e, a livello letterario, dalle pagine della Divina Commedia di Dante Alighieri, dalle tragedie di Shakespeare quali il Re Lear, il Macbeth, l’Amleto e il Romeo e Giulietta. Ma anche la storia di Re Artù fu tra gli argomenti preferiti dal movimento.
I Preraffaelliti, ispirandosi agli artisti antecedenti Raffaello, volevano riacquistare una spontaneità che ritenevano si fosse persa. Questa visione estetizzante dell’arte preraffaellita la si ritrova anche in ambito letterario dove vennero privilegiati temi legati alla civiltà cavalleresca, alle leggende celtiche, a Dante e tutta la letteratura medievale. E in tal senso la letteratura preraffaellita, da un lato costituirà l’ultima appendice del Romanticismo, dall’altro aprirà la strada all’estetica del Decadentismo. Per quanto attiene la tecnica i pittori preraffaelliti si ispirano alla miniatura medievale, al cromatismo limpido e levigato delle tempere e degli olii del Quattrocento italiano e fiammingo. I dipinti degli artisti preraffaelliti sono caratterizzati da una messa a fuoco nitida, sicuramente influenzata dalla nascita del dagherrotipo (primo procedimento fotografico per lo sviluppo di immagini ahimè non riproducibili. Venne realizzato dal francese Louis Jaques Mandè Daguerre, da cui trae il nome, da un’idea di Joseph Nicéphore Niépce e fu presentato al pubblico il 19 agosto del 1839), dall’uso di colori puri e non mescolati e da una grande attenzione al dettaglio.
La vera e propria frattura che disgregherà il movimento inizierà a partire dagli anni Sessanta dell’Ottocento quando la maggior parte degli esponenti esasperò la componente estetica finalizzata a se stessa.
Ma vediamo ora come il tema dei Preraffaelliti sia stato trattato nella mostra dei Musei San Domenico di Forlì, chiusasi lo scorso 30 giugno. Come sempre si tratta di un grande progetto espositivo in cui è stato possibile ammirare circa 320 opere tra dipinti, disegni, sculture, arazzi, stampe, fotografie ma anche opere di arte decorativa come mobili, medaglie, gioielli, libri, provenienti da musei e collezioni italiane e straniere. Si è trattato di una mostra immensa in tutti i sensi, la cui peculiarità è stata quella di accostare, per la prima volta, dei dipinti ottocenteschi a quelli dei vecchi maestri italiani, che sono stati chiaramente i loro modelli. Parliamo di un confronto diretto, presentato al pubblico con una qualità e quantità inusitate sino a questo momento, tra i grandi maestri dell’arte italiana che va dal Trecento al Cinquecento e le opere dei Preraffaelliti. Ma non solo: in questa grande mostra troviamo gli anticipatori, gli esponenti delle tre generazioni e, infine, gli eredi del movimento preraffaellita, a conferma dell’attenzione posta dai Musei san Domenico sul dialogo tra i linguaggi artistici di epoche diverse, come accaduto nelle mostre passate.
Perché con il variare delle epoche si rimettono in discussione l’idea del tempo e del modo di raccontare la realtà. Cambia il modo di descrivere il presente. Il tempo non è visto più come un semplice scorrere ma come un qualcosa di più personale, come il simbolo delle attese, delle decisioni da prendere…
E qui cito quanto esposto in mostra: Da Kronos il tempo si fa Kairos. Perché i greci si servivano di termini diversi fra loro per definire il tempo.
Il Kronos indicava la natura quantitativa del tempo, cioè lo scorrere dei minuti, mentre il Kairos indicava la natura qualitativa e dunque un qualcosa di soggettivo e di indefinito.
Il percorso museale, strutturato in 15 sezioni, inizia come sempre, nella Chiesa di San Giacomo con la Prima Sezione dal titolo La Visione degli Antichi, dove il visitatore si trova dinanzi contemporaneamente opere di grandi artisti italiani del Duecento, Trecento e Quattrocento (si va da Cimabue a Botticelli), soprattutto toscani, ed opere dell’Ottocento (Frederic Leighton) e persino del Novecento (Frederick Cayley Robinson). Tutto ciò a conferma dell’intento della mostra di far capire quanto i Preraffaelliti vagheggiassero l’arte degli antichi maestri, traendo da essi l’ispirazione a creare opere innovative.
Questo percorso nella bellezza inizia ammirando lo splendido Trittico Madonna con Bambino fra i Santi del senese Taddeo Gaddi, seguito dal bozzetto per la famosa Madonna di Cimabue portata in processione per le strade di Firenze, realizzato nel 1854 da Frederic Leighton. Questo tempestivo accostamento di due opere realizzate in tempi così diversi si pone come una chiara dichiarazione della finalità della mostra: quella di far vedere al visitatore come cambi il modo di rappresentare il tempo, pur ispirandosi a temi del passato.
E Leighton reinterpreta l’immagine descritta dallo storico Giorgio Vasari della fastosa processione con cui i fiorentini portarono alla chiesa di Santa Maria Novella una pala d’altare, all’epoca ritenuta di Cimabue, ma successivamente acclarato che si trattasse della Madonna Rucellai di Duccio di Boninsegna. Leighton fa partecipare alla processione, oltre a Cimabue che tiene per mano il suo allievo Giotto, anche altri artisti quali Arnolfo di Cambio, Nicola Pisano, Simone Martini, Buffalmacco, Gaddo Gaddi. E sull’estrema destra, accanto al re di Napoli Carlo d’Angiò a cavallo, pone il sommo Dante Alighieri che osserva la scena con le mani incrociate dietro la schiena a voler mostrare un certo distacco dall’evento. Seguono poi a Madonna in trono con il Bambino e due Angeli di Cimabue, il dittico San Gregorio Magno e Santa Maria Maddalena di Mello da Gubbio, lo splendido polittico del senese Taddeo di Bartolo intitolato Madonna con Bambino fra i Santi, la Madonna della Misericordia dell’aretino Parri di Spinello, la Madonna dell’Umiltà con i Santi Andrea e Prospero di Benozzo Gozzoli, lo splendido Compianto del Cristo Morto del Beato Angelico in tutto il suo lirismo, e ancora la Madonna con Bambino e Santi di Cosimo Rosselli.
E a questo punto il visitatore, calamitato da tanta bellezza, dinanzi ai suoi occhi trova anche 4 imponenti dipinti murali realizzati tra il 1915 ed il 1920 da Frederick Cayley Robinson, un seguace del Preraffaellismo di Edward Burne-Jones, il cui stile risentì dei 4 anni trascorsi in Italia, dal 1898 al 1902, in cui ebbe l’opportunità di studiare le tecniche di artisti del calibro di Giotto, Piero della Francesca, Mantegna. Le 4 scene divise in coppie, di cui le prime due intitolate Il Dottore e le altre due Gli Orfani, traggono sicuramente ispirazione dagli affreschi rinascimentali ma presentano anche dei riferimenti all’arte preraffaellita.
La solidità delle composizioni, la resa cromatica, l’equilibrio della luce, la disposizione dei personaggi, rimandano allo stile di Piero della Francesca da cui Robinson trae ispirazione, ma soprattutto ci aiutano a capire come si possa trasporre nella modernità la cultura visiva di riferimento.
Si prosegue con la Madonna di Piazza di Andrea del Verrocchio e Lorenzo di Credi, le Esequie di San Girolamo di Filippo Lippi seguite dalla superba Pallade ed il Centauro di Sandro Botticelli.
Proseguendo nell’abside si trovano i bellissimi arazzi che raccontano la leggenda del Santo Graal, arazzi tessuti in lana e seta, disegnati da Edward Burne-Jones e realizzati dalla Morris & Co tra il 1888 ed il 1899 che ebbero una forte presa sugli artisti e sul pubblico quando vennero presentati all’Esposizione Universale di Parigi del 1900.
Siamo così giunti alla fine della prima sezione e il messaggio della mostra è già chiaro: intessere un dialogo fra passato remoto, prossimo e presente. Le opere del Trecento e del Quattrocento italiano incluse in questa prima sezione sono state scelte al fine di fornire al visitatore una triplice visione: come fossero percepite ai loro tempi, cosa dicessero alle persone dell’epoca, come siano state viste dai Preraffaelliti e come le vediamo noi con gli occhi di oggi.
Si prosegue con la Seconda Sezione dal titolo Sul crinale della storia. Rileggere il passato rinnovare l’arte dedicata all’influenza che ebbe sui Preraffaelliti un gruppo di pittori tedeschi, i Nazareni, che dall’Accademia di Vienna giunsero a Roma ad inizi Ottocento. I Nazareni, così come i Preraffaelliti, guardano all’arte del passato, quella precedente l’arte di Raffaello, l’arte primitiva, ponendosi una finalità scissionistica nei confronti dell’arte che caratterizzava quel periodo storico. Figure centrali nella trasmissione ai pittori inglesi del sentire del gruppo dei Nazareni sono William Dyce, precursore e prosecutore dei Preraffaelliti, e John Rogers Herbert. Di Dyce, che dai Nazareni riprende una forte nitidezza del disegno, la lucentezza dei colori, la patinatura della superfice, lo studio dei particolari, i richiami naturali, troviamo esposti diversi dipinti che attestano il forte legame con l’arte italiana, quali il bellissimo Compianto sul Cristo morto di matrice tizianesca, la Vergine con il Bambino, l’Omnia Veritas, Tiziano che si prepara per la sua prima prova in pittura (Dyce ritrae un Tiziano adolescente che fissa con estrema concentrazione una statua raffigurante la Madonna, circondato da piante e fiori che gli ispireranno l’uso di una grande varietà di colori naturali).
A differenza di Dyce, John Rogers Herbert dai Nazareni riprende la precisione del disegno e una certa monumentalità come si può vedere nel dipinto dal titolo Re Lear e Cordelia, in cui Herbert riporta su tela l’affresco realizzato per il nuovo palazzo di Westminster (in quel periodo furono chiamati molti giovani artisti ad affrescare alcune parti della nuova residenza di Westminster). Questo dipinto, come detto, è caratterizzato da una certa monumentalità, visibile in particolar modo nella figura del re che richiama alla mente le figure dei Profeti michelangioleschi della Cappella Sistina.
Quest’opera di Herbert, il cui soggetto fa rifermento all’opera di Shakespeare instaura il rapporto che ci sarà in futuro tra l’arte inglese e il suo più grande drammaturgo. Il percorso espositivo di questa seconda sezione prosegue in uno spazio dal titolo Gothic Revival, nome di un movimento di architetti e decoratori, che caratterizzerà tutta l’epoca vittoriana, movimento che in opposizione ai dettami neoclassici si propone di rivalutare lo stile gotico delle cattedrali. La rapida crescita dell’industria comporterà per alcuni il risveglio di una grande passione per l’arte gotica vista come un periodo in cui le arti fiorivano in un clima permeato di spiritualità.
Dunque un revival del gotico quale meccanismo di difesa dal degrado derivante dagli effetti dell’industrializzazione.
Il Gothic Revival si svilupperà principalmente in campo architettonico, seguito poi dalla pittura di illustrazione e dalla letteratura. Si inizia con la vista del bell’acquerello su carta di Charles Wild dal titolo L’esterno dell’Abbazia di Fonthill, esempio di pittura di illustrazione, per poi arrivare a Contrast, il libro dell’architetto inglese Augustus Pugin, antesignano del neo-gotico, considerato uno dei libri manifesto che ha segnato una svolta nella storia dell’architettura. Pugin teorizza la possibilità di ricreare in epoca vittoriana la purezza e l’onestà dell’artigianato tardo medievale, riscoprendo il profondo connubio esistente fra arte, artigianato e tecnica.
Segue poi un olio su tela di Edwin Landser che ritrae la regina Vittoria e il principe Alberto ad un ballo in maschera.
E ancora oggetti disparati, decisamente interessanti, quali una ciotola in porcellana realizzata dalla Minton Art Pottery su disegno di Pugin, così come una carta da parati con l’araldica dei Tutor e le iniziali V.R. (Victoria Regina), disegnata sempre da Pugin e realizzata da Samuel Scott e, infine, il l’italianissimo pendente Raffaello, in oro, perle, calcedonio e smalto, realizzato tra il 1898 ed il 1902 da Raffaele Angelo Marchi su disegno di Alfonso Rubbiani.
Si arriva poi alla Terza Sezione dal titolo Ruskin e l’Italia, sezione che rende omaggio alla figura di John Ruskin, scrittore, pittore, poeta, restauratore e critico d’arte britannico, le cui opere risentirono moltissimo dei suoi numerosi viaggi in Italia.
Viaggiatore instancabile elesse l’Italia a sua meta più ambita, a dispetto dell’incuria e del degrado in cui versava l’immenso patrimonio artistico nazionale, poiché l’Italia gli suscitava emozioni tanto uniche quanto forti. Da questi suoi viaggi trasse la consapevolezza del profondo legame esistente tra fede, economia, arte e vita quotidiana. In mostra troviamo esposti disegni, acquerelli che ritraggono architetture, monumenti e opere da lui viste in Italia. Si passa poi attraverso alcune piccole sezioni cruciali per capire come e perché sia avvenuta la nascita del Movimento Preraffaellita e quali siano i suoi primi interpreti.
Nella Quarta Sezione dal titolo La nascita della Pre-Raphaelite Brotherhood (PRB = Confraternita dei Preraffaelliti) i riferimenti e le radici, viene presentata la nascita della Confraternita dei Preraffaelliti ed i suoi massimi esponenti quali: Dante Gabriel Rossetti, John Everett Millais, William Holman Hunt, Ford Madox Brown. La Confraternita dei Preraffaelliti viene fondata nel 1848 da 7 studenti della Royal Academy, prestigiosa scuola nazionale dell’arte che incarnava il concetto di accademismo.
Gli studenti in questione sono: William Holman Hunt, John Everett Millais, Dante Gabriel Rossetti, cui in seguito si aggiungeranno William Michael Rossetti, fratello di Dante Gabriele, lo scultore Thomas Woolner, il pittore James Collinson e il letterato Frederick George Stephens. Ma va detto che per i Preraffaelliti ebbero un particolarissimo ruolo due donne: Christina Rossetti, sorella di Dante Gabriel e di William Michael Rossetti, e Elizabeth Siddal, dapprima artista e successivamente moglie di Dante Gabriel Rossetti.
Questi 7 giovani, insoddisfatti dell’insegnamento impartito alla Royal Academy, si ritrovano a discutere in modo critico dell’opera degli Antichi Maestri dell’arte italiana che precedettero Raffaello, ritenuto colpevole di eccesso di virtuosismo e retorica e di mancata aderenza alla verità della natura come si può vedere nella sua Trasfigurazione. Ed è da queste discussioni che nascerà il fondamento dell’arte Preraffaellita: tornare al cosiddetto primitivismo, contraddistinto da una grande onestà. L’associazione ebbe un carattere segreto grazie all’influsso di Dante Gabriele Rossetti, figlio dell’esule italiano Gabriele Rossetti (poeta e critico letterario di Vasto, splendida città abruzzese sulla Costa dei Trabocchi).
Ed è proprio a Dante Gabriele Rossetti che si deve la creazione della rivista “The Germ” che chiarirà l’aspetto letterario, oltre a quello artistico, del movimento. Sebbene nessun artista preraffaellita sia mai stato in Italia, le incisioni degli affreschi medioevali del Camposanto di Pisa, realizzati da Carlo Lasinio nel 1812 saranno per loro una grande fonte di interesse per la cultura primitiva. All’opera di Lasinio si aggiungono l’influsso esercitato dalla grafica dei Nazareni e dalle incisioni di capolavori italiani del Trecento e Quattrocento, eseguite da Bezzi, Marianecci e da Ramboux. Di questi artisti ho potuto ammirare in mostra il San Giacomo condotto al martirio ed il San Giacomo davanti ad Erode Agrippa del Marianecci, ripresi da opere di Andrea Mantegna, il Sacrificio di Abramo di Carlo Lasinio ripreso da Benozzo Gozzoli, le Nozze di Rebecca ed Isacco sempre di Lassinio, riprese sempre da Benozzo Gozzoli e la Maestà realizzata da Johann Anton Ramboux, ripresa da Simone Martini. Per quanto attiene l’influsso dei Nazareni sulla pittura preraffaellita, a livello di ideali cristiani primitivi, sarà il pittore inglese Ford Madox Brown a far pervenire alla Confraternita il mito del Medioevo come tempo più vicino alla natura e ad un ordine morale più vero.
Madox Brown nel 1845 si recò a Roma dove ebbe modo di incontrare alcuni pittori appartenenti al movimento dei cosiddetti Nazareni, movimento che caldeggiava un ritorno alla pittura del Quattrocento italiano vista come il massimo esempio di purismo e grandiosità. Questo incontro portò Brown a concentrare la sua attenzione sugli effetti naturali della luce e sulla limpidezza del colore come si può vedere nel bellissimo olio su tela del 1868, esposto in mostra, dal titolo La Sepoltura caratterizzato da una cromia brillante di colori puri stesi su una superficie bianca ancora umida, che ricorda la tecnica dell’affresco. I soggetti preferiti di Madox Brown sono quelli storici ed allegorici. In mostra, oltre alla Sepoltura si poteva ammirare anche il dipinto dal titolo I semi e i frutti della poesia inglese, una sorta di manifesto che rivela il profilo identitario della cultura letteraria anglosassone. Ma le sue opere vennero malviste sia da Ruskin che dalla Royal Academy, il che portò Brown a fondare nel 1858, insieme ad Hunt, Rossetti e John Roddam Spencer Stanhope il Club Hogarth, un luogo dove si potessero incontrare e confrontarsi artisti con le stesse idee riformatrici dei fondatori. Il Club ebbe vita breve e chiuse i battenti nel 1861 quando Madox Brown, insieme ai fedelissimi amici Rossetti e Burne-Jones, divenne socio fondatore della ditta di arredamento e arti applicate di William Morris. Quel William Morris il visionario che fondò il movimento “Arts and Crafts” divenendo l’antesignano dei moderni designer.
Il percorso espositivo prosegue con la Quinta Sezione dal titolo I primi protagonisti in cui verranno prese in esame le figure di Dante Gabriele Rossetti, John Everett Millais e William Holman Hunt gli Old Master del movimento.
Dante Gabriele Rossetti nasce a Londra nel maggio del 1828 da Frances Mary Lavinia Polidori, figlia di un emigrato italiano e da Gabriele Rossetti, letterato e librettista del grande Gioacchino Rossini, che per il suo sostegno al movimento della Carboneria fu costretto a riparare a Londra nel 1824. Dante Gabriele, risentendo dell’influsso paterno, da subito si appassiona alla pittura ed alla letteratura, sviluppando un amore incondizionato e totale per Dante Alighieri, fino ad identificarsi con lui, cosa che lo portò a scambiare l’ordine dei suoi nomi: da Gabriele Dante a Dante Gabriele. In questa sezione troviamo i dipinti degli anni Cinquanta, e alcuni bozzetti, che hanno come soggetto i temi medievali, in modo particolare quelli della Vita Nova di Dante, ma anche il tema dell’incontro fra il Sommo Poeta e Beatrice. Resto affascinata dal bozzetto di Dante in meditazione con in mano un melograno, realizzato con grande virtuosismo a penna e inchiostro, cui si affiancano i bozzetti Studio per il Saluto di Beatrice e Studio per Paolo e Francesca. E ancora l’acquerello su carta dal titolo Paolo e Francesca, dipinto diviso in tre parti: il bacio terreno dei due amanti a sinistra, Dante e Virgilio che si stringono la mano al centro e l’abbraccio infernale tra i due giovani a destra, che racconta l’amore proibito fra i due giovani e, infine, il dipinto sui Borgia.
Accanto alle opere di Rossetti troviamo anche un bozzetto di Elizabeth Siddal, musa e poi moglie di Rossetti nonché poetessa, dal titolo Santa Cecilia. Dante Gabriele Rossetti si suiciderà l’11 febbraio del 1862, dopo aver ingerito una dose eccessiva di laudano, prostrato dal dolore per la nascita mesi prima di una figlia morta.
Si passa poi alla figura di John Everett Millais, nato a Southampton nel 1829. Millais inizierà a disegnare a soli 4 anni dimostrando da subito un grande talento che lo porterà ad essere accolto nella prestigiosa scuola della Royal Academy a soli 11 anni, da cui “The Child” (Il ragazzo), soprannome che gli verrà dato e che lo accompagnerà per tutta la sua vita. Le opere di Millet sono caratterizzate da un grande senso del dettaglio, che si tratti di oggetti, paesaggi o tessuti, cosa che conferisce grande realismo ai suoi dipinti.
Infatti al di là del soggetto dell’opera, ritratti, opere storiche o paesaggi, i suoi lavori sono caratterizzati da una grande attenzione ai particolari, cosa che catturerà l’attenzione dell’osservatore. Pennellate accurate dalla grande resa cromatica ed un virtuosismo nell’uso della luce conferiscono ai suoi dipinti una grande vitalità. Come artista preraffaellita Millet operò un ritorno ad una rappresentazione della natura decisamente accurata in ogni dettaglio oltre che a servirsi di elementi simbolici ed allegorici nelle sue opere. Lo spazio a lui dedicato nella mostra si apre con una foto a mezzo busto in cui l’artista è ritratto di profilo in abiti danteschi, foto ottenuta con la tecnica della stampa all’albumina su cartoncino, tecnica inventata nel 1850 da Louis Désiré Blanquart-Evrard. Segue poi un’interessante Copertina di un album, realizzata da Millais a soli 13 anni, in cui si ravvisano già le caratteristiche dell’artista. E poi l’acquerello Lorenzo e Isabella, prima opera esposta in stile preraffaellita, al cui interno troviamo le iniziali PRB, opera che merita alcune spiegazioni. Il soggetto è tratto da un poemetto di Keats, a sua volta tratto da una novella del Decamerone di Boccaccio, in cui si indaga l’amore del giovane pisano Lorenzo per la messinese Isabella, ostaggio dei suoi 3 fratelli che poi lo uccideranno. Millais in questo dipinto raggiunge degli alti livelli di profondità per quanto attiene l’impatto psicologico. Rappresentate nella tradizione dell’Ultima Cena vediamo 12 figure sedute intorno ad un tavolo che taglia in diagonale la superficie della tela. In primo piano spicca la gamba bianca tesa del fratello di Isabella nell’atto di tirare un calcio. È un gesto provocatorio che si pone come collante dell’intera composizione. La resa della psicologia dei personaggi ritratti trova il suo clou nella rappresentazione del fratello di Isabella i cui denti digrignati e la tensione della mascella rendono egregiamente la sua aggressività, al punto da rendere difficile la distinzione tra finzione e realtà. Come già detto Millais si serve nella sua pittura di elementi simbolici, come si può ravvisare nel piatto di maiolica raffigurante una battuta di caccia, posto di fronte ai due amanti, quale allusione agli eventi futuri della tragedia dell’uccisione di Lorenzo.
Ma anche i gesti degli uomini e degli animali hanno una valenza simbolica conferendo alla scena una tensione inquietante. Come nella celebre Ofelia anche in quest’opera è l’amore intenso per il dettaglio a rendere il dipinto oserei dire provocatorio. Il brillante cromatismo e l’ambiziosa combinazione di realtà ed astrattismo, insieme alla resa psicologica fanno di quest’opera un vero e proprio manifesto del movimento dei Preraffaelliti. E poi troviamo l’olio su tela dal titolo La Figlia del Boscaiolo del 1851 che mostra una scena dell’omonima poesia di Coventry Patmore del 1844, sull’amore impossibile tra la figlia di un boscaiolo e il figlio del padrone di casa locale. In quest’opera, che tratta un tema sociale, si riconferma l’amore di Millais per il dettaglio, in questo caso piccoli dettagli del mondo naturale, cui l’artista conferisce un valore simbolico. Come sempre Millais, grazie al suo cromatismo tanto brillante quanto puro, riesce a restituire, coerentemente, con il tema rappresentato e la sua ambientazione, il repertorio completo delle emozioni. John Everett Millais morirà nell’agosto del 1896. E, infine, l’ultimo degli Old Master del movimento Preraffaellita: William Holman Hunt. Hunt nasce a Londra nell’aprile del 1827 e nel 1839, mentre lavora come impiegato, studia pittura. Ma dei contrasti con il padre che lo allontana dallo studio della pittura, lo portano a trovare un impiego come copista. Qui il suo nuovo capo, James Labram, intuendone il talento lo introdurrà all’uso della pittura ad olio. Nel 1844, su consiglio dell’amico John Everett Millais, Hunt entra alla Royal Academy Schools, approfondendo lo studio di Shakespeare e Keats. Nel settembre del 1848 sarà uno dei fondatori della Confraternita. Il suo stile è caratterizzato dal colore chiaro, da un’illuminazione brillante, da un complesso simbolismo e da un’accurata definizione dei dettagli, cosa quest’ultima che gli varrà l’elogio del gruppo preraffaellita. Per Ruskin e Carlyle, critici ufficiali del movimento, Hunt aveva il potere di dar voce fortemente al principio secondo cui tutto ciò che esiste è un simbolo che sottintende ad un significato più profondo.
Ed effettivamente Hunt sposò in toto questa linea di pensiero asserendo che il solo scopo dell’arte è quello di palesare la corrispondenza esistente tra segno ed essenza.
In mostra a suffragare lo stile di Hunt troviamo: La vigilia di Sant’Agnese: la fuga di Madelaine e Porfiro, il Crepuscolo in Egitto realizzato a Menfi, antica capitale egiziana, durante un suo viaggio in Egitto. In questo dipinto lo spettatore si trova dinanzi, circonfusa da una luce accecante, una figura femminile vestita con abiti e gioielli tradizionali mentre trasporta grano e acqua, simboli di fertilità, donna che rievoca lo spirito dell’antico Egitto. Segue il dipinto dal titolo Bianca, tratto dall’Otello di Shakespeare che trae ispirazione dalla pittura veneta del Cinquecento. Nello stesso periodo dipinge Isabella e il vaso di basilico (1866-1868). Il soggetto di questo dipinto, che Hunt realizza a Firenze, è palesemente tratto dal poema di John Keats a sua volta ispirato da una novella del Decamerone di Giovanni Boccaccio, lo stesso poema che ha per soggetti Lorenzo ed Isabella cui si ispirò anche Millais. Tutto ciò sta a dimostrare l’importanza per i pittori Preraffaelliti delle fonti letterarie italiane. Nel dipinto vediamo una giovane donna, Isabella, dalla posa di matrice botticelliana, avvolta in un abito chiarissimo, mentre abbraccia un vaso, decorato con teschi e cuori trafitti da frecce. I suoi lunghi capelli neri scorrono sul recipiente, al cui interno cresce una pianta di basilico, quasi a voler accarezzare il vaso visto come una sorta di altare domestico. La stanza è talmente ricolma di mobilio e decorazioni da generare quasi un senso di claustrofobia. Tutto ciò a simboleggiare l’idea fissa che perseguita Isabella: la perdita del suo grande amore Lorenzo ucciso dai suoi fratelli… Ma cosa conterrà mai il vaso per suscitare tutto questo amore nella ragazza, amore che sconfina in una sorta di adorazione? Nel vaso c’è la testa di Lorenzo, il quale tornato sotto forma di spettro rivela a Isabella il luogo dove è sepolto. La giovane, trovato il corpo, per conservarne il ricordo e continuare ad amarlo, gli taglia la testa e la nasconde in un vaso da cui fiorisce una profumata pianta di basilico. Sul vaso la scritta: L’Amore è forte come la morte. Hunt con quest’opera vive in prima persona la dialettica fra amore e morte, tema che ispira da sempre l’arte e la letteratura, in una mescolanza tra arte e vita. Lo straziante lutto subito da Hunt per la perdita dell’adorata moglie Fanny, morta prematuramente di parto, si tradurrà nel dare ad Isabella il volto della sua amata perduta. William Holman Hunt, il meno noto ed apprezzato dei Preraffaelliti, anche se sarà l’unico a tener fede, fino in fondo, ai presupposti originari della Confraternita, morirà a Londra nel settembre del 1910.
Ed eccoci giunti alla Sesta Sezione intitolata La fortuna dei modelli. Siamo oramai giunti alla fine della Confraternita dei Preraffaelliti.
Ognuno dei componenti del movimento preraffaellita imboccherà una strada personale, addirittura Millais raggiungerà l’apice della sua carriera divenendo socio della Royal Academy. È il 1853, sono passati solo 5 anni dalla fondazione della Confraternita. Tuttavia la visione preraffaellita di un’arte che privilegiava il principio della verità della natura, e qui lascio la parola a Ruskin: “la realtà viene mantenuta facendone memoria: si disegna per mantenere vivo (memoria) ciò che si è visto o immaginato”, visione che darà luogo ad una resa accurata, meticolosa della natura circostante, sia a livello di disegno che a livello cromatico, si affermerà a tal punto come modello di pittura da divenire una scuola. Se inizialmente il fenomeno preraffaellita è squisitamente inglese, nel momento in cui il loro modello di pittura diviene scuola si allargherà al resto d’Europa. Artisti quali Charles Allston Collins, Joseph Noel Paton, Walter Howell Deverell ed altri, aderirono in modo convinto al pensiero preraffaellita pur non avendone mai fatto parte. In questa sezione ho potuto ammirare dei bellissimi dipinti di questi artisti, poco conosciuti ai più. Di Charles Allston Collins è esposto un olio su tavola il cui titolo è lungo quasi come un romanzo: I pensieri con cui un bambino cristiano dovrebbe imparare a contemplare le opere di Dio, segue Joseph Noel Paton con il Sonno di Michelangelo e Dante che medita sull’episodio di Paolo e Francesca, quest’ultimo bellissimo olio su tela già ammirato, sempre nei Musei San Domenico nel 2021 visitando la mostra dal titolo Dante la Visione dell’Arte.
Paton raffigura il Sommo Poeta mentre sta meditando sul suo poema, rappresentato dal grande libro che stringe in mano. È un momento tanto forte quanto tormentato del processo di creazione artistica, come si può vedere dall’espressione di Dante. Il poeta siede su un muretto da cui si erge un’arcata affrescata con scene bibliche di perdono e pentimento, arcata che fa da cornice ai corpi nudi di Paolo e Francesca sospesi nell’aria e abbracciati al punto da formare un unicum pieno di pathos. La postura con cui Paton raffigura Dante, seduto con il mento appoggiato sulla mano riporta alla mente le figure del Mosè e delle Sibille di Michelangelo.
Ed a seguire la Dodicesima Notte di Walter Howell Deverell, un dipinto ispirato all’omonima commedia di William Shakespeare, e poi di Frederic William Burton l’acquerello intitolato Il primo sguardo di Faust a Margherita, e, infine il bellissimo Liuto rotto di Arthur Hughes, dipinto che illustra il tema dell’amore romantico, molto caro all’artista.
Vediamo una giovane ragazza stesa sull’erba, con la testa poggiata su un albero e il viso adagiato sulle mani.
L’espressione della ragazza è triste, è stata lasciata dal suo amante. E il liuto rotto simboleggia appunto la rottura del rapporto.
Si passa poi alla Settima Sezione intitolata Burne-Jones e il mito dell’Italia. Siamo nella Sala degli Affreschi interamente dedicata alla figura di Edward Burne-Jones uno dei maggiori rappresentanti della seconda generazione dei Preraffaelliti, la cui storia è legata a filo doppio all’arte italiana. Nel 1855 Burne-Jones si recò in Italia in compagnia di Ruskin, successivamente nel 1859 con Morris. Il suo grande interesse per l’arte italiana è dovuto inizialmente all’influenza che ebbe su di lui Dante Gabriele Rossetti, cui deve l’amore per Dante e le prime informazioni sull’arte del Rinascimento italiano, Rossetti successivamente sostituito dalla figura di Ruskin che dal 1855 si era fatto carico della sua formazione facendone il suo pupillo. A testimonianza di questo amore per l’arte italiana abbiamo i taccuini che Burne-Jones redasse nel suo primo viaggio in Italia dove ebbe modo di ammirare capolavori di Giotto di cui ammira l’intensità volumetrica, di Masaccio, di Filippo Lippi, di Botticelli la cui linea melodica lo affascina, di Michelangelo, di Giorgione, di Tiziano e di molti altri artisti da cui trasse linfa vitale per la sua arte. Ed in effetti questi taccuini sono estremamente rilevanti per capire l’essenza dell’opera di Burne-Jones. In essi rende omaggio agli affreschi del Camposanto di Pisa, formulario delle espressioni artistiche del movimento preraffaellita, prende nota dell’emozione provata dinanzi alla linea sinuosa della figura della Vergine nell’Annunciazione di Simone Martini.
E le opere presenti nella mostra attestano l’evolversi del personale quanto originale modo in cui Burne- Jones rielaborerà le influenze dell’arte italiana, ponendosi così come uno dei più grandi precursori del simbolismo europeo di fine Ottocento. In lui la classicità si fonderà con elementi ripresi dal Rinascimento, rinnovando così l’aspetto iconografico dell’estetica preraffaellita. L’apporto di Ruskin sulla formazione di Burne-Jones, non si limita allo studio delle opere viste in Italia, ma si estende anche all’approfondimento di opere italiane conservate in Inghilterra. Tra i tanti esempi citabili troviamo il Ritratto di Margherita Paleologa, un olio su tela realizzato nel 1531 da Giulio Romano nel corso della sua permanenza alla corte del marchese Federico II Gonzaga, che Burne-Jones ebbe l’occasione di vedere nel 1839 quando la regina Vittoria lo aprì al pubblico. L’artista ne rimase talmente affascinato da ispirarsi ad esso per la realizzazione dell’abito di Sidonia von Bork, un acquerello e gouache su carta, esposto in mostra. Protagonista dell’opera è la nobildonna Sidonia von Bork che sottopose i suoi amanti ad orribili torture tanto da essere condannata a morte per stregoneria. La donna, il cui volto è quello della modella Fanny Cornforth, è raffigurata di profilo mentre fissa l’osservatore con uno sguardo sospettoso quasi lo stesse radiografando.
Ma l’elemento che più di ogni altro visualizza la personalità di questa terribile donna è l’abito, sontuoso sì, ma anche perturbante con i suoi motivi fittamente intrecciati che fanno pensare ad un covo di serpi. Seguono un altro acquerello e gouache dal titolo Fatima, e il bellissimo, grande, trittico (un olio su tela del 1861) avente come soggetto L’Annunciazione e l’Adorazione dei Magi i cui riferimenti sono alquanto complessi passando dalla precisione di matrice botticelliana con cui sono riprodotti fiori e piante, allo stile di Pisanello visto a Verona. E ancora altre opere che attestano la complessità con cui si sono mixate le influenze degli artisti italiani su citati nell’opera di Burne-Jones. Impossibile non citare la Small Briar Rose Series, costituita da 4 dipinti, in cui l’artista unisce abilmente influenze rinascimentali e fiabesche. Dei 4 dipinti sono rimasta particolarmente attratta dalla Bella Addormentata ripresa dal racconto introdotto nei famosi Contes du Temps Passé di Charles Perrault, pubblicati nel 1697, e riscoperto nell’Ottocento grazie alla versione dei fratelli Grimm intitolata Rosaspina. In questo dipinto domina l’influenza dell’arte di Botticelli per l’uso di una linea melodica, la delicatezza dei volti e la resa della natura circostante.
Ma di Burne-Jones troviamo anche altre opere come la Venus Discordia i cui corpi sono di chiara matrice michelangiolesca. L’artista, nel corso del suo terzo viaggio in Italia compiuto nel 1871, ebbe modo di studiare i capolavori di Michelangelo, rimanendo folgorato dalla sua genialità.
Il rapporto con il disegno di Michelangelo porterà Burne-Jones ad aderire ad un classicismo figurativo nei nudi delle sue opere, come appunto nella Venus Discordia e nel Tempio di Amore. E sarà proprio per la questione Michelangelo che avverrà la rottura con Ruskin. Le opere viste sino a questo momento riconfermano come l’adesione alla classicità operata da Burne-Jones avvenga costantemente attraverso una fusione con elementi rinascimentali. Per questo motivo questa parte della settima sezione è volutamente completata con opere di Giovanni Bellini, Andrea Mantegna e Cosimo Rosselli. Uscendo dalla stanza degli Affreschi troviamo ad accoglierci un bellissimo pianoforte in legno dipinto, denominato Graham (o di Orfeo), decorato con disegni realizzati nel 1875 da Edward Burne-Jones che illustrano il poema di William Morris, La storia di Orfeo ed Euridice, poema pubblicato dopo la morte dell’autore. Questo pianoforte commissionato a Burne-Jones dal collezionista e mecenate William Graham quale regalo di compleanno per la figlia Frances, che presterà il suo volto ad Euridice, è un vero capolavoro che rende la mostra sempre più accattivante. Per poter eseguire al meglio quest’opera Burne-Jones, insoddisfatto della pesantezza dei pianoforti a coda standard, dopo uno studio accurato arrivò a progettare pianoforti dalle linee più semplici riprese dal clavicembalo che gli fornissero più superfici da decorare. Sulla parte esterna del coperchio troviamo la figura seduta di un Poeta nell’atto di consegnare alla sua musa un rotolo con su incisa la scritta “ne oublie” [non dimenticare: motto della famiglia Graham]. Si tratta di un cartiglio in cui è riportato, in italiano, il sonetto Fresca rosa novella di Guido Cavalcanti, mentre la decorazione pittorica si trova nella parte interna e raffigura la Madre terra con in braccio un putto, circondata da altri putti che giocano con dei vitigni. Ai lati del piano la decorazione è costituita da forme circolari al cui interno, dipinta in grisaille, viene narrata la vicenda di Orfeo, poeta e musico figlio della musa Calliope, che cerca in tutti i modi di riportare in vita la sua adorata sposa Euridice, ma non vi riesce poiché disattende alla condizione posta da Plutone, dio degli inferi, di non voltarsi finché non sarà uscito fuori dalle regioni infernali. Quest’opera di Burne-Jones è con tutta probabilità la più complessa rivisitazione dell’arte rinascimentale e manieristica compiuta dall’artista, con particolare riferimento all’arte di Botticelli, che ci conferma ancora una volta quanto la storia della Confraternita abbia influito sul concetto, non solo di arte, ma anche di società. Il percorso museale prosegue lungo il corridoio posto in direzione dello scalone monumentale che conduce al piano superiore.
Questo corridoio è la sede dell’ultima sezione del piano terra, l’Ottava Sezione intitolata L’arte condivisa. Morris & Co. e le arti applicate, dedicata al rapporto intercorrente tra Edward Burne-Jones e William Morris, più precisamente alle Arti Applicate relative alla ditta di design londinese Morris & Co., fondata nel 1861 in Inghilterra dal designer e poeta William Morris. Finalità di questa azienda, per l’epoca rivoluzionaria, è quella di coniugare proficuamente l’unione tra utile e bello, tra funzionalità ed estetica. La Morris & CO è caratterizzata dalla realizzazione di un’ampia varietà di prodotti: dagli arazzi, alla carta da parati, ai tessuti per finire a mobili e vetrate prestando grande attenzione ai dettagli. A suffragare la modernità di questa azienda c’è anche un forte impegno per la sostenibilità che si traduce nell’utilizzo di materiali sostenibili e tecniche di produzione rispettose dell’ambiente nella fabbricazione dei suoi prodotti. Tra le opere esposte spiccano per bellezza i pennelli di vetro colorati opera di William Morris, Edward Burne-Jones e di Henry Holiday. Si tratta di pannelli aventi come soggetto figure laiche come nel Menestrello con cembali di Morris, religiose come per gli Angeli custodi di Holiday e letterarie come nel Dio dell’amore e Alceste di Burne-Jones. In queste opere gli autori abbandonano l’indirizzo gotico a favore di un avvicinamento all’arte classica e rinascimentale. E infine in mostra troviamo esposti sedie, vasi, coppe, tessuti, piatti, piastrelle realizzati da questa antesignana ditta manifatturiera, oggetti di un’eleganza straordinaria. I designers della Morris & Co si ispirano alla natura e ai motivi floreali e geometrici che diverranno un classico dell’interior design. Resto letteralmente affascinata da una spilla pendente a forma di uccello, realizzata tra il 1885 ed il 1895, dall’orafo napoletano Carlo Giuliano (che lasciò Napoli per aprire un negozio a Londra) su disegno di Edward Burne-Jones in cui eleganza e semplicità si fondono in un unicum. Esco inebriata da tanta bellezza e cosciente di aver accresciuto le mie conoscenze… Sono pronta a proseguire al secondo piano. Ma qui ci fermiamo… Alla prossima con l’esposizione del secondo piano.

Dimmi ciò che ti piace e ti dirò chi sei” (John Ruskin)