Minima Cardiniana 487/2

Domenica 10 novembre 2024
XXXII Domenica del Tempo Ordinario, San Leone I (“Leone Magno”)

EDITORIALE
LA NUOVA AMERICA DI TRUMP. IL “MALE” ALLA CASA BIANCA?
di David Nieri
Premessa necessaria: ho guardato alle ultime elezioni americane con una certa distanza. Per quanto mi riguarda, seppur in modi radicalmente diversi, entrambi i candidati erano “impresentabili”, senz’altro non adatti a rappresentare politicamente quella che continua a essere definita “la più grande democrazia del mondo”.
In ogni modo, nei giorni immediatamente successivi alla tornata elettorale non ho potuto fare a meno di notare come puntualmente, rievocando ciò che accadde otto anni fa, adesso per (quasi) tutto l’apparato mediatico/intellettuale/artistico il Male è il nuovo inquilino della Casa Bianca. Quasi a suggerire che il solo fatto di essere “democratici” costituisca di per sé, in automatico, garanzia assoluta di immacolata concezione, dunque di affrancamento da qualsiasi ipotesi di umano errore/orrore/peccato. Così, per i democratici, è sempre stato possibile scatenare guerre ed esportare democrazie nel nome del destino e del dio degli inglesi – We satisfy our endless needs and justify our bloody deeds in the name of Destiny and in the name of God, come cantavano gli Eagles –, ovvero quello delle magnifiche sorti e del sol dell’avvenire.
Accade anche qui da noi, seppur in modi diversi: la reductio ad Hitlerum (più precisamente: ad Mussolinum) è ormai da tempo una strategia di normale amministrazione nel catalogo progressista quando Palazzo Chigi viene abusivamente occupato dalle “destre” o da chiunque non vada a genio ai giusti/superiori per elezione, governi “tecnici” ovviamente esclusi.
Ma in America, come è successo ultimamente anche in altri paraggi, la “maggioranza silenziosa” – che è sempre più maggioranza e sempre più silenziosa – alla fine vota. E il voto è prima di tutto una “questione di pancia” nella sua migliore accezione, non quella declinata automaticamente seguendo presunte derivazioni “populiste”, supremo aggettivo denigratore e automatico – per chi non la pensa come deve pensarla, oppure non la pensa affatto – attraverso il quale le genuflessioni alla modernità vorrebbero privare le “masse” del suffragio universale.
Se guardiamo la cartina rosso/blu degli States “divisi” dal voto, notiamo che, a parte la East e la West Coast (e neanche ovunque), ovvero i cuori pulsanti della politica e dell’economia ormai finanziarizzata, tranne qualche eccezione tutto il resto – che in gergo si definisce “America profonda” – ha votato Trump. Perché in definitiva è stanco dell’ideologia woke, del gender, del metoo, della green economy, degli endorsement delle star dello spettacolo – ma quanto ha reso, in termini di voti, l’“effetto Taylor Swift”? – e dell’imposizione valoriale che non corrisponde alle reali necessità del paese. Un paese che ha bisogno di lavoro, di una vita decorosa, magari di una famiglia e di un po’ di sicurezza. In definitiva, quello che tutti noi desideriamo.
Negli ultimi due decenni il ceto medio americano (come il nostro) si è assottigliato e ha perduto il proprio “potere di acquisto”, mentre il partito democratico pensava a tutto fuorché a tutelare gli interessi dei lavoratori, ovvero il principale cardine sul quale ha da sempre fondato la sua stessa esistenza per sposare la causa dei padroni del vapore e delle élites. Perché dopo la caduta del Muro – della quale si è celebrato proprio ieri il trentacinquesimo anniversario – i lavoratori di tutto il mondo hanno smesso di unirsi; al contrario, si sono uniti i padroni: che si fanno beffe della volontà degli elettori oligarchizzando un potere che gattopardianamente finge di cambiare tutto per non cambiare niente.
Il ritorno del tycoon alla Casa Bianca è stato accompagnato da prospettive e dichiarazioni messianiche, in perfetto american style. Non dimentichiamo l’appello del neopresidente alla “provvidenza divina” subito dopo il mancato attentato del luglio scorso. Ovvero, la sua salvezza legata a un improbabile “volere di Dio”. Certo, l’idea di “mettere fine alle guerre in corso e non iniziarne di nuove”, come ha affermato lo stesso Trump all’indomani della seconda elezione dopo la pausa quadriennale, potrebbe significare tutto e il suo contrario. In primo piano ci sono i conflitti russo-ucraino e quello israelo-palestinese, con il rilancio degli Accordi di Abramo. È lì che si gioca principalmente la sua credibilità.
La squadra di governo è in fase di definizione. Un ruolo certamente di primo piano spetterà al suo deus ex machina, l’imprenditore transumanista Elon Musk, colui che ha finanziato la campagna elettorale del candidato repubblicano e che promette di mandarci su Marte a fare due vasche in corso per modiche cifre. Ci sono tutti gli ingredienti per stare tranquilli.