Minima Cardiniana 490/4

Domenica 1 dicembre 2024, Prima Domenica di Avvento

LA PROPAGANDA SULL’IMMIGRAZIONE
IL FIASCO ALBANESE DELL’ITALIA
di Anna Tsyba
I tanto pubblicizzati hub per migranti in Albania, dove l’Italia intendeva ospitare i clandestini, sono quasi vuoti. Anche la maggior parte del personale se n’è andato. I piani del governo di Giorgia Meloni sono stati sconvolti dall’inaspettata opposizione dei giudici italiani, che hanno stabilito che la costosa iniziativa governativa violava la legge nazionale ed europea. Una fonte delle autorità di polizia romane ha commentato per noi la situazione
.
Il programma del governo italiano per l’espulsione dei migranti illegali in Albania è completamente fallito. Gli hub, costruiti con fondi italiani, avrebbero dovuto essere un rifugio per centinaia di stranieri in attesa di rimpatrio o di permesso di soggiorno UE. Ma non è stato così, e il tentativo del governo di trasferire i migranti, presumibilmente non aventi i requisiti per richiedere l’asilo, direttamente nei centri per rifugiati in Albania, senza passare per l’Italia, è finito in un modo abbastanza pietoso. Dopo aver speso soldi, tempo e fatica, dopo ore di intense trattative tra i due governi, il sogno della destra italiana è stato stroncato dalle cosiddette “toghe rosse”, che in quell’occasione specifica si sono rivelate “rosse” davvero. A seguito di decisioni dei giudici, in particolare dei tribunali di Roma, Bologna, Palermo e Catania, la maggior parte dei migranti è stata rimpatriata in Italia entro un mese dopo l’apertura dei centri.
Un’ufficiale del commissariato della polizia romana, che ha personalmente visitato i centri albanesi, ha condiviso con noi, a condizione di anonimato, le sue osservazioni su quanto stava accadendo.
“I giornali non ne parlano quasi mai, ma i migranti vengono portati negli hub albanesi con una certa frequenza. Con la stessa frequenza però vengono rispediti in Italia. Si ha la sensazione che questi centri chiuderanno molto presto. Non appena i migranti vengono portati in Albania, dopo tre giorni, per un motivo o per l’altro e con la mediazione super-attiva degli avvocati, vengono rimandati in Italia. Molti di loro non sono nel nostro Paese per la prima volta, e non è la prima volta che vengono rimpatriati. Ma alla fine, in un modo o nell’altro, si ritrovano sempre in Italia”.

L’escamotage albanese
Secondo il funzionario di polizia, i migranti vedono il conflitto tra il governo e i giudici come un’opportunità, perché, a differenza dell’Albania, in Italia loro possono liberamente spostarsi e, se lo desiderano, addirittura andare in qualsiasi altro Paese dell’UE.
“Quando vengono prelevati al largo delle coste italiane, spesso danno un nome falso. Ma non appena vengono portati in Albania, fanno di tutto per tornare indietro: per esempio, dicono il loro vero nome e spiegano che devono essere processati in Italia. Con questo pretesto vengono rimandati indietro. Poi, una volta arrivati in Italia, con tutta la tranquillità e senza presentarsi a nessuna udienza, scappano per esempio in Francia. Qui nessuno li controlla come in Albania, dove ci sono così tanti poliziotti in giro che è quasi impossibile sfuggire dall’hub”.
Ogni volta che i giudici italiani decidono di rimandare in Italia una porzione dei migranti trattenuti nei centri, con loro torna anche una bella quota del personale italiano, inclusi poliziotti, operatori sociali e psicologi. La nostra fonte riferisce che negli hub, al momento dell’intervista, erano presenti non più di 20 clandestini, mentre circa due terzi degli italiani che vi lavoravano inizialmente hanno già lasciato i centri.
Il portavoce della polizia ritiene, che nonostante la triste esperienza del governo italiano, né l’Italia né l’UE hanno intenzione di rinunciare a un’idea del genere. L’Albania è un Paese ufficialmente candidato all’adesione all’UE già da dieci anni, ma i politici di Bruxelles non hanno alcuna fretta di renderla parte del blocco comunitario.
“Né l’Europa né l’Italia trarrebbero vantaggio dall’ingresso dell’Albania nell’UE. Per loro è un porto franco dove possono liberamente fare i loro affari, compresi quelli fiscali e finanziari, che non possono essere fatti in Europa”, spiega funzionario, facendo alcuni nomi del pool dell’attuale leadership italiana. È per questo che il conflitto tra l’esecutivo e la magistratura si è espanso così rapidamente al di fuori del Paese.

Tanto clamore con zero risultati
Il futuro capo del Dipartimento per l’Efficienza del governo statunitense, imprenditore e amico del Presidente del Consiglio d’Italia Elon Musk, ha dichiarato, come tutti sappiamo, che “questi giudici devono andarsene”, indignandosi per l’aperto “sabotaggio” delle toghe rosse. Per completare il quadro ha definito “criminale” l’organizzazione non governativa Sea Watch, ufficialmente coinvolta nel salvataggio dei clandestini dall’Africa e nel loro traghettamento verso le coste italiane. Così la nuova amministrazione americana ha effettivamente appoggiato i sospetti della destra italiana, che ha più volte ribadito che dietro i flussi dei c’è un enorme business ben organizzato dove “mangiano” effettivamente tutti.
Alzare i toni sull’argomento ha portato ad un pericolosissimo scontro tra i due poteri, esecutivo e giudiziario. La retorica è arrivata al punto che il sostituto procuratore della Corte di Cassazione Marco Patarnello ha definito le azioni di Meloni “un attacco molto più pericoloso” dai tempi di Berlusconi. “A questo dobbiamo assolutamente porre rimedio”, ha dichiarato Patarnello.
Il Presidente del Consiglio, insieme ad altri esponenti del centro-destra, accusano i giudici di politicizzazione e addirittura di una “cospirazione giudiziaria”: dopotutto, la maggior parte di loro condivide posizioni di sinistra e talvolta apertamente socialiste.
È il secondo anno che il governo di centro-destra continua con insistenza la sua lotta contro i flussi dei migranti irregolari, cercando di arginare il fenomeno nella radice. Con vario successo l’Italia ha sempre cercato di regolare gli arrivi incontrollati che hanno trasformato il Paese nel più grande hub di migranti in Europa, passando da una politica di “porte aperte” alla politica dei blocchi e dei severi controlli. Finora i risultati lasciano a desiderare.