Domenica 1 dicembre 2024, Prima Domenica di Avvento
ATTUALITÀ DI TIZIANO TERZANI
LE LETTERE CONTRO LA GUERRA
di Luigi G. de Anna
Un viaggio è sempre un’occasione per portarsi in borsa un buon libro, il tempo passa più rapidamente, immersi nella sua piacevole lettura. Ed è così che, aspettando il volo da Don Muang a Chiang Rai, ho (ri)aperto il libro di Tiziano Terzani Lettere contro la guerra (TEA, 2004, prima edizione Longanesi 2002). Sono qui raccolte sette Lettere, o meglio, sette brevi saggi, nati sulla scia dell’attentato dell’11 settembre 2001, saggi stimolati dalle considerazioni e dalle polemiche suscitate sulla stampa italiana e internazionale.
Riportiamo di seguito alcune citazioni dal volume di Terzani, a testimonianza di come egli seppe cogliere non solo l’essenza della tragedia che opponeva la guerra alla pace, ma anche di come l’appassionata ma razionale analisi di questo sessantatreenne sia oggi ancora attuale per capire che cosa sta succedendo in Ucraina e soprattutto in Palestina.
Il 16 settembre, dunque, Terzani pubblica sul Corriere della Sera, un quotidiano ancora onesto, un commento alla tragedia appena compiutasi. “Il nocciolo di tutto quel che volevo dire era lì: le ragioni dei terroristi, il dramma del mondo musulmano nel suo confronto con la modernità, il ruolo dell’Islam come ideologia anti-globalizzazione, la necessità da parte dell’Occidente di evitare una guerra di religione, una possibile via d’uscita: la non-violenza” (p. 14). Il 29 settembre gli risponde, sempre sulle pagine del Corriere, Oriana Fallaci. “Il punto centrale della risposta della Oriana era non solo di negare le ragioni del ‘nemico’, ma di negargli la sua umanità, il che è il segreto della disumanità di tutte le guerre” (p. 17). Terzani le risponde l’8 ottobre sempre sullo stesso quotidiano, quando gli Stati Uniti avevano già cominciato a bombardare l’Afghanistan. Le Lettere da parte loro riprendono ed ampliano la sostanza di quanto Terzani scrisse alla Fallaci; da una parte il desiderio di capire e di pace: dall’altra la condanna della dichiarazione di guerra dell’Occidente, fanaticamente espressa dalla giornalista.
Il libro inizia con la Lettera da Orsigna. Una buona occasione del 14 settembre 2001. Orsigna è il buon rifugio sull’Appennino toscano, che fa da pendant a quello himalayano dove Terzani amava ritirarsi. La Lettera inizia con “Non c’è niente di più pericoloso in una guerra – e noi ci stiamo entrando – che sottovalutare il proprio avversario, ignorando la sua logica”. Dobbiamo ricordare che l’11 settembre scatenò la “guerra globale al terrorismo” di George W. Bush, che faceva appunto del terrorismo una categoria del male assoluto, senza che venissero analizzati i motivi che spingevano i “terroristi” a sacrificare la propria vita, e quella di altri. Terzani affronta questo tema tenendo presente l’attività e gli obiettivi di Al Qaida, mentre oggi la stessa problematica è riferita non più ad uno scontro tra Islam integralista e modernità occidentale, ma tra la Palestina e l’oppressore. Nel caso della tragedia palestinese, la componente islamica ha minore rilevanza, anche se, indubbiamente, a Gaza, Territori occupati e Libano, si scontrano il mondo arabo con la sua religione e quello israeliano con la propria. Questo scontro non è però prettamente legato a una strategia anti-islamica, tanto è vero che molti Paesi arabi hanno tenuto in questo conflitto un atteggiamento fin troppo moderato, limitando le loro proteste a dichiarazioni verbali. La rete tessuta dagli Stati Uniti dopo l’11 settembre regge ancora, almeno per quanto riguarda i potentati del Golfo. Da parte loro nessuno dei Paesi confinanti con Israele ha mobilitato, mandando le proprie truppe ai confini, permettendo di conseguenza a Israele di non disperdere le proprie risorse militari.
Terzani fa una serrata critica del dominio politico, culturale ed economico degli Stati Uniti, cui, sola, si opponeva la “versione fondamentalista e militante dell’Islam”. Oggi, nella guerra che gli USA, col beneplacito degli alleati occidentali, conducono contro la Palestina, la componente politica (l’appoggio totale a Israele) e quella economica (controllare lo sbocco della via della seta nel Mediterraneo orientale, aiutare Israele ad assicurarsi i giacimenti di idrocarburi ancora in via di sfruttamento) sono sempre operanti. La componente culturale non riguarda un’opposizione tra giudaismo e islamismo, ma tra filo-sionismo e mondo islamico. Inutile dire che la simpatia che la destra occidentale, e italiana in particolare, prova per Israele ha le sue radici non tanto o non soltanto nel Vecchio Testamento, quanto nello scontro tra un Occidente “invaso” da genti di fede islamica e un Medio Oriente e un’Africa sentiti come culla di questa invasione. In poche parole, chi considera perniciosa l’immigrazione dal di fuori dei confini comunitari tende a difendere Israele, sentinella della democrazia e del sistema occidentale nel vasto oceano islamico.
Terzani, già nella lettera al Corriere, spronava a comprendere i motivi che stavano alla base del terrorismo. Qui mi permetto di aprire una parentesi: che cosa intendiamo per “terrorismo”? La voce Terrorismo di Wikipedia dice: “Il termine terrorismo nel diritto internazionale, soprattutto in ambito penale, indica azioni criminali violente premeditate aventi lo scopo di suscitare terrore nella popolazione quali attentati, omicidi, stragi, sequestri, sabotaggi, dirottamenti ed altri eventi che causino danno di collettività ad enti quali istituzioni statali, enti pubblici, governi, esponenti politici e pubblici, gruppi politici, etnici e religiosi”.
In base a questa definizione, possiamo concludere che esiste anche un terrorismo di stato in quanto queste medesime azioni possono essere compiute anche da uno stato sovrano a danno di una comunità o entità altra. Ma esiste anche un’altra valutazione: il terrorismo è tale quando si batte per raggiungere i propri scopi contro gli interessi di uno stato, mentre non lo è più quando gli scopi sono stati raggiunti e la storiografia avrà trasformato il termine “terrore” in “lotta di liberazione”. È il caso della guerra partigiana in Europa o nell’Africa del nord, del Vietnam e di Cuba, e, nello specifico, di Israele, che nasce con il decisivo apporto di organizzazioni terroristiche, Irgun, Banda Stern, Haganah, i cui capi diventeranno poi leaders del nuovo stato di Israele. “Ciò non significa confondere le vittime col boia, significa solo rendersi conto che, se vogliamo capire il mondo in cui siamo, lo dobbiamo vedere nel suo insieme e non solo dal nostro punto di vista”, conclude Terzani (p. 29).
Il “nostro punto di vista” si basa, sia nel caso della Palestina che dell’Ucraina – basta ricordare le parole più volte espresse dalla Meloni a favore dei “valori dell’Occidente democratico” –, su un presunto prevalere dei valori occidentali su quelli “orientali” (Palestina, ma anche Russia e Cina). “Non è neppure ‘un attacco alla libertà ed alla democrazia occidentale’, come vorrebbe la semplicistica formula ora usata dai politici”, aveva già scritto Terzani (p. 43).
“Il problema è che fino a quando penseremo di avere il monopolio del ‘bene’, fino a che parleremo della nostra come LA civiltà, ignorando le altre, non saremo sulla buona strada” (p. 31).
Sangue chiama sangue, è la logica di ogni guerra, e non solo di quella civile. La lezione del 2001 è stata dimenticata: “Se alla violenza del loro attacco alle Torri Gemelle noi risponderemo con una ancor più terribile violenza – prima in Afghanistan, poi in Iraq, poi chi sa dove –, alla nostra ne seguirà necessariamente una loro ancora più orribile e poi un’altra nostra e così via” (p. 40). Alla violenza del 7 ottobre segue quella, maggiore e più distruttiva, della strage di Gaza, alla quale farà seguito una nuova violenza della disperazione palestinese. Chi ha perso un figlio, un fratello, una sorella, una madre, vivrà nell’odio per chi li ha uccisi. Israele ha seminato questo odio già dal 1948 e continua a mieterne i frutti con ricorrente fervore.
Terzani vuol comprendere cosa spingeva “i giovani palestinesi di Hamas che si fanno saltare in aria nelle pizzerie israeliane […] Non si tratta di giustificare, di condonare, ma di capire. Capire, perché io sono convinto che il problema del terrorismo non si risolverà uccidendo i terroristi, ma eliminando le ragioni che li rendono tali” (p. 42). “In questi tempi di guerra non deve essere un crimine parlare di pace” (p. 47), conclude.
Ma chi parla di pace negli Stati Uniti e in Israele? “Dove sono oggi i santi e i profeti? Davvero, ce ne vorrebbe almeno uno! Ci rivorrebbe un san Francesco” (p. 49). E Terzani ricorda come Francesco andò, dopo varie peripezie, in Terrasanta, e parlò col sultano, che lo rimandò, libero, al campo crociato. “Mi diverte pensare che l’uno disse all’altro le sue ragioni, che san Francesco parlò di Cristo, che il sultano lesse passi del Corano e che alla fine si trovarono d’accordo sul messaggio che il poverello di Assisi ripeteva ovunque: ‘Ama il prossimo tuo come te stesso’” (p. 50). Ma purtroppo oggi gli israeliani leggono in modo sbagliato le pagine del Vecchio Testamento, quelle che parlano di stragi dei nemici, di vendette, di rabbia, e anche i musulmani quelle della guerra nel Corano. “Eppure un giorno la politica dovrà ricongiungersi con l’etica se vorremo vivere in un mondo migliore” (p. 54). Ma quel mondo migliore non era alle porte, anzi, cambierà in peggio, e per sua fortuna Tiziano Terzani non vide che cosa sarebbero stati l’Isis, la guerra in Ucraina, le stragi nella Terrasanta. E non avrebbe neppure visto la vittoria talebana in Afghanistan e la sconfitta dell’alleanza occidentale. Ma aveva visto abbastanza con i suoi occhi di vecchio saggio.
Al termine della sua Lettera da Orsigna di 23 anni fa scrive: “Duemilacinquecento anni fa un indiano, chiamato poi ‘illuminato’, spiegava una cosa ovvia: che ‘l’odio genera solo odio’ e che ‘l’odio si combatte solo con l’amore’. Pochi l’hanno ascoltato. Forse è venuto il momento”.
Speriamo abbia ragione anche in questo.