Domenica 26 gennaio 2025
III Domenica del Tempo Ordinario, Santi Timoteo e Tito
ARTE, ARTE E ANCORA ARTE
DIO SI È FATTO UOMO E NON ANDROIDE
di Eleonora Genovesi
“L’universo ha senso solo quando abbiamo qualcuno con cui condividere le nostre emozioni” (Paulo Coelho)
Eh sì, quanto ha ragione Coelho. In una società come questa dove le emozioni si stanno dissolvendo, grazie ad un uso sconsiderato dei cellulari cui si aggiunge, ahimè, anche il gran parlare che si fa di questa intelligenza artificiale, sarebbe il caso di ricordare alle persone che noi esistiamo in quanto esseri dotati dei sensi, del pensiero, delle emozioni. Personalmente trovo inquietante questo gran parlare di intelligenza artificiale. E quando a scuola vedi il disegno di un ragazzo in cui ci sono dei libri con su scritto passato ed al centro un robot con su scritto futuro ti dici: no devi fare qualcosa. Così a ridosso del Natale, nella settimana precedente le vacanze natalizie ho deciso di fare una lezione dal titolo: DIO SI È FATTO UOMO E NON ANDROIDE.
Perché come diceva la mia mamma se attraverso la propria disciplina non si dà una chiave di vita si fa sterile nozionismo. E noi docenti siamo tenuti a plasmare esseri pensanti, perché i ragazzi sono il nostro futuro. E così con il mio innato entusiasmo e voglia di combattere l’ignoranza a 360° ho realizzato con loro questa lezione partecipata, come viene denominata secondo il nuovo linguaggio scolastichese una lezione in cui si dialoga con i ragazzi.
DIO SI È FATTO UOMO E NON ANDROIDE
Siamo alle porte del Natale, quel giorno in cui accadde qualcosa di unico nella storia del genere umano…Ahimè oggi quel significato è passato in secondo ordine perché Natale è solo acquisti, pubblicità, luci… Mi chiedo se a dispetto dell’essere cristiani a parole, non siamo divenuti tutti degli atei digitalizzati! Sarebbe il caso di tornare al significato più profondo di questo giorno. L’etimologia del termine Natale è da ricondursi all’aggettivo latino natalis, col significato di natalizio, nel senso di “qualcosa che riguarda la nascita”.
La festa del Natale entrò nel calendario cristiano molto tardi, nel 354 d.C., con l’imperatore Costantino. Nei primi secoli, infatti, i cristiani non avevano altra festa che la Pasqua, che veniva chiamata “Giorno del Sole” perché ricordava la resurrezione di Cristo.
Il 25 dicembre era il giorno in cui a Roma veniva celebrata la festa del solstizio d’inverno e dell’approssimarsi della primavera. Era una festa caratterizzata da un’incontenibile gioia perché il sole ricominciava a splendere.
I cristiani presero questa festa pagana come festa della nascita di Gesù, perché consideravano Gesù il sole venuto a visitarci dall’alto, per illuminare quelli che stanno nelle tenebre e nell’ombra di morte.
Secondo il cristianesimo, infatti, il Natale è una festività che cade il 25 dicembre e celebra la nascita di Gesù.
IL NATALE SECONDO LA RELIGIONE CRISTIANA
Cosa ci dice la storia?
Che dopo nove mesi esatti dall’annuncio dell’arcangelo Gabriele (25 marzo, giorno dell’Annunciazione), il 25 dicembre Gesù nasce a Betlemme.
“Maria dette alla luce il figlio, lo avvolse in fasce e lo pose in una mangiatoia perché per loro non c’era posto nell’albergo”.
Il racconto ci è pervenuto attraverso i vangeli secondo Luca e Matteo, che narrano l’annuncio dell’arcangelo Gabriele, la deposizione nella mangiatoia, l’adorazione dei pastori e la visita dei magi.
Senza dimenticare la grotta, la stella cometa, il bue e l’asinello che risalgono invece a tradizioni successive e a racconti presenti nei vangeli apocrifi.
La Natività di Gesù rappresenta sicuramente il momento più alto e significativo del calendario cristiano. Ogni anno questo miracolo si rinnova, con la sua promessa di salvezza. Le statue di Gesù Bambino che ci scrutano dai presepi nelle chiese, nelle Piazze e nelle nostre stesse case raccontano un mistero meraviglioso e solenne, il sogno di una Vergine visitata da un angelo, alla quale venne chiesto di diventare la serva e la madre di Dio; di un padre putativo che rinunciò alla propria vita, e che si mise in viaggio e giurò di proteggere quel bambino non suo; di pastori e Re che giunsero da lontano per rendere omaggio a un neonato che affrontava la sua prima notte in una mangiatoia, scaldato dal fiato di un bue e di un asino.
IL NATALE NELLA STORIA DELL’ARTE
Tra le scene più rappresentate in pittura la Natività è sicuramente nei primi posti della classifica.
Il raccoglimento della famiglia intorno al nuovo nato diventa in questo soggetto una celebrazione stessa della vita, fatto che fu ed è ancora molto esaltato dalla dottrina cristiana. La scena della Natività di Gesù, nella storia dell’arte, è quella più dolce e tenera, più densa di significati e simboli iconografici.
Così viene rappresentata da duemila anni la natività: una grotta, un uomo, una donna, un piccolo bambino deposto in una mangiatoia, con solo un bue e un asino a scaldarlo nella sua prima, gelida notte nel mondo.
Tanti pittori dal Medioevo al Rinascimento, dal Barocco all’arte contemporanea, si sono cimentati nel delicatissimo tema creando dei veri e propri capolavori senza tempo.
E qui vi propongo un “breve” excursus di questa iconografia sacra in campo artistico.
1) Natività, III secolo d.C., Catacombe di Priscilla, Roma
La più antica rappresentazione della nascita di Cristo si trova in Italia, e precisamente a Roma: risale al III secolo ed è conservata nelle catacombe di Priscilla, lungo la via Salaria. Si tratta di uno dei cimiteri paleocristiani più grandi ed importanti, con circa 13 chilometri di gallerie sotterranee e una enorme quantità di reperti preziosissimi, dagli affreschi ancora perfettamente conservati ai marmi e alle statue che ornavano le decine di sarcofagi rinvenuti a metà Ottocento. La scena raffigura Maria che tiene in braccio Gesù, con accanto un profeta che le indica una stella, simbolo, secondo l’Antico Testamento, della venuta di Cristo in terra. Questa scena precede di circa due secoli le raffigurazioni tradizionali che prevedono la presenza dei pastori e di Giuseppe, e per questo si tratta di una Natività decisamente particolare e “non canonica”.
2) La natività nel medioevo: Giotto: La Natività degli Scrovegni, 1303-1305
Passiamo ora alla Natività di Giotto, bellissimo esempio di arte medievale e senza dubbio una delle opere più note al pubblico. L’affresco, databile al 1303-1305, si trova nella Cappella degli Scrovegni a Padova e fa parte della complessa e maestosa opera realizzata dall’artista nella cappella padovana. Un affresco dal paesaggio scarno e roccioso che fa da sfondo alla scena che si svolge all’interno di una capanna di legno. Maria è raffigurata in posizione sdraiata e sembra provata dal parto, ma la sua bellezza appare ugualmente delicata, anche mentre si gira dolcemente per deporre il Bambino nella culla. L’armonia è data dai colori del cielo e del mantello della Madonna.
L’azzurro del mantello indossato da Maria la collega al cielo, all’immensità dell’infinito e al mondo divino. A differenza di altre natività qui troviamo un nuovo elemento, ovvero l’inserviente che sta aiutando Maria a mettere Gesù nella mangiatoia e che si trova sull’estrema sinistra della composizione. Giuseppe viene raffigurato in basso all’affresco, quasi per conto suo e appare stanco e assorto. La sua posizione sembra sottolineare il fatto che lui non abbia partecipato all’evento miracoloso del concepimento e della nascita di Gesù. Giotto vuole sottolineare la protezione materna della Vergine, l’offerta del proprio figlio al mondo, mentre il distacco di Giuseppe simboleggia la sua sottomissione al volere del Padre.
3) Puccio di Simone, Natività, 1350
Parliamo ora di Puccio di Simone, un pittore di nicchia, attivo a Firenze nella metà del Trecento come attestato nel 1346 dall’inclusione del suo nome in qualità di pittore, nei registri dell’Arte dei Medici e Speziali.
La sua Natività, realizzata nel 1350 era parte di un polittico andato disperso. Si tratta di un piccolo dipinto la cui semplicità ed essenzialità calamitano l’attenzione dello spettatore sull’evento. Se lo sfondo oro del cielo è un retaggio bizantino, la dolcezza del volto della Madonna che guarda il Figlio è decisamente realistica così come lo è la stanchezza di Giuseppe ritratto in una postura assopita.
È una Natività intima, raccolta in una piccola capanna con due animali affiancati che paiono essere i primi ad adorare Gesù. Il tutto circondato da un panorama brullo, roccioso, silenzioso così lontano dal chiasso del mondo. Ecco se dovessi riassumere in due parole questo piccolo dipinto parlerei di semplicità e serenità… Eh sì Puccio di Simone non si disperde in elementi che possano distrarre lo spettatore, no, la sua Natività ci comunica in modo diretto ed efficace la grandezza dell’evento. Passiamo ora alla Natività di Gentile da Fabriano del 1423
LA NATIVITÀ NEL GOTICO INTERNAZIONALE
4) Gentile da Fabriano, Natività, 1423
La Natività di Gentile da Fabriano è parte della predella del dipinto L’Adorazione dei Magi. Esattamente è lo scomparto di sinistra. Questa natività è ambientata di notte, una notte stellata con una bellissima luna a falce. Sulla sinistra troviamo sotto un arco due ancelle di Maria, una delle quali dorme, mentre l’altra guarda verso il centro della scena, centro dominato dalla presenza del Bambino che irradia luce. Maria è inginocchiata in adorazione accanto al bue ed all’asinello che paiono anche loro adorare quel Bambino.
Sulla destra troviamo San Giuseppe che, come da tradizione, è un po’ in disparte, addormentato, a voler sottolineare il suo ruolo di protettore della Vergine e di Gesù. Perché San Giuseppe non ebbe parte attiva in questa nascita Divina. La scena è ambientata in un contesto paesaggistico montuoso, brullo, rischiarato da un bellissimo cielo stellato. Ed è proprio la luce che rischiara la notte stellata la vera protagonista di questa tavola.
Una luce che ci fa percepire il silenzio che domina.
E poi c’è l’angelo, avvolto in una sorta di mandorla dorata, che apre con forza la porta alla luce in questo notturno, uno dei primi nella pittura europea. La luce illumina tutto: pastori, gregge, capanna, ma non potrà mai eguagliare la luce divina emanata dal Bambino.
Anche nella Natività domina il gusto per la narrazione che contraddistingue il linguaggio di Gentile da Fabriano.
LA NATIVITÀ NEL RINASCIMENTO
5) Beato Angelico, Adorazione del Bambino, 1440
L’Adorazione del Bambino o Natività è uno degli affreschi del Beato Angelico che decorano il convento di San Marco a Firenze, affreschi realizzati su commissione di Cosimo de’ Medici. La struttura compositiva è data da un semicerchio con il Bambino al centro e le altre figure disposte in adorazione intorno a lui. Oltre alla Vergine ed a San Giuseppe troviamo anche santa Caterina d’Alessandria e san Pietro Martire.
La semplicità dello sfondo della capanna da cui emergono i volti del bue e dell’asinello fa sì che lo spettatore non possa distrarsi dalla scena. Ciò perché la finalità dell’opera era quella di ispirare la meditazione dei frati e non essere una pura decorazione della cella. La presenza dei due santi è da leggere in chiave mistica. Per quanto attiene San Pietro Martire, questi era un santo dell’Ordine Domenicano e la sua figura doveva costituire un esempio ed essere di ispirazione alla preghiera dei monaci. L’opera è caratterizzata da un cromatismo delicato ed un uso sapiente della luce come nello stile del Beato Angelico.
6) La Natività di Piero della Francesca, 1470-1475
La Natività di Piero della Francesca, oggi visibile alla National Gallery di Londra, dall’influenza fiamminga, è un esempio straordinario di arte rinascimentale, dove il colore della veste di Maria emerge in modo brillante sui colori spenti del paesaggio e degli altri personaggi.
Piero della Francesca sembra donare una grande armonia alla scena, collegando con la gestualità tutti i personaggi presenti nell’opera. Tipici di Piero sono poi gli atteggiamenti solenni e composti, improntati ad un solido equilibrio geometrico.
7) Domenico Ghirlandaio, Natività, 1492
Il Ghirlandaio, uno dei protagonisti del Rinascimento di Lorenzo il Magnifico, il cui tratto distintivo è quello del realismo ottenuto attraverso una minuziosa attenzione ai dettagli di stampo fiammingo che si coniuga con una linea elegante, ci restituisce un’immagine della Natività tanto realistica quanto delicata. Gesù è appena venuto al mondo e Maria è inginocchiata in preghiera di fronte a lui. Giuseppe, con il volto segnato dal tempo in contrasto con i lineamenti di giovane donna della Vergine, è dietro il Bambino, poiché il suo ruolo è quello di proteggere la Madre ed il Figlio, stando sempre due passi indietro. Sembra che anche il bue e l’asinello partecipino con interesse alla scena. Dietro la testa di Giuseppe, si intravedono i Magi proveniente da est che percorrono una strada tortuosa guidati da una stella che brilla su di loro.
Sullo sfondo una nebbia dorata che attraversa il cielo di un paesaggio squisitamente toscano con le sue alture verdi. E poi un angelo che annuncia ai pastori la lieta novella. Il tutto realizzato con delle pennellate delicate ed eleganti.
8) La natività mistica di Botticelli: l’ultimo capolavoro dell’artista, 1501
Di grande pregio anche la Natività Mistica di Sandro Botticelli, datata 1501, visibile alla National Gallery di Londra, forse l’ultimo capolavoro dell’artista.
Rispetto alle opere precedenti dell’artista, questo quadro mostra una prospettiva sconvolta, figure rigide, innaturali e sproporzionate, colori forti e linee nervose. Il quadro rispecchia la profonda crisi religiosa e personale dell’artista, ma anche del suo tempo e della sua città, Firenze, ed è percorsa da una forte valenza simbolica e visionaria.
Il soggetto della tela è quello tradizionale, con la Sacra Famiglia al centro della rappresentazione: la grotta e l’adorazione del Bambino da parte di Maria con Giuseppe, i pastori e i Magi. Il resto della composizione è costruita in maniera eccezionalmente ritmica e armoniosa, ma sfugge all’iconografia classica: inusuale è infatti la scena dell’abbraccio tra gli angeli e gli uomini rappresentato nella parte bassa della tela, che rappresenterebbe l’avvenuta riconciliazione fra umano e divino.
9) Lorenzo Lotto, Natività, 1523
La piccola opera, nata certamente per la devozione privata, dopo una serie di vicissitudini è ora alla National Gallery of Art di Washington.
La Sacra Famiglia è evocata con tonalità calde e accese e con un singolare gioco di contrasti tra luce e ombra. Lo spettatore ha la sensazione di essere dentro la piccola capanna, dove Maria e Giuseppe stanno adorando il Bambino adagiato su un lenzuolo arrotolato in un cesto di vimini, cesto posto vicino a un sacco e ad un piccolo barile volti a ricordare il viaggio che li attende, la fuga in Egitto. Al di là della porta si apre un bel paesaggio campestre, con tre angeli il cui canto rischiara la scena, mentre a sinistra, dietro lo stipite e in ombra, si vede un crocifisso che ricorda il destino tragico che attende Gesù, in un evidente transfert temporale. A differenza di altre iconografie della Natività che vedono Giuseppe discostato dalla scena centrale, sempre due passi dietro la Vergine, nella Natività del Lotto Giuseppe, il padre putativo, colui che ha il compito di proteggere la Madre ed il Figlio, è posto in primo piano, genuflesso in adorazione con un sorriso sul volto. Questa rivalutazione del ruolo di San Giuseppe si collega con i committenti dell’opera identificati in alcuni membri della Confraternita di san Giuseppe, Confraternita nata ad opera di fra Girolamo Castro da Piacenza, un frate servita che aveva iniziato una serie di predicazioni tese alla rivalutazione della figura di Giuseppe. E come Giuseppe ognuno di noi è invitati ad offrire a Dio con mansuetudine tutte le prove, gli affanni e le fatiche quotidiane, certi che il Signore non ci abbandonerà. Questo il messaggio che ci viene dalla postura di San Giuseppe. In questo dipinto si riconferma la cura dei particolari tipica di Lorenzo Lotto, particolari dal forte valore simbolico, come la scala appoggiata alla capanna che ricorda ricordare l’episodio biblico del sogno di Giacobbe, quando vide una scala che collegava la terra al cielo, o come la coppia di tortore che simboleggiano la fedeltà della chiesa al suo Sposo (la tortora è un animale che quando perde il compagno non si accoppia più).
Ma la potenza di questo dipinto è racchiusa nel dialogo tra la Madre ed il Figlio. Maria, piegata in avanti verso il Figlio, con gli occhi pieni di meraviglia, consapevole di essere stata per scelta divina, a dispetto dell’umiltà della sua persona, protagonista della grandezza dell’evento, osserva il Bambino. Gesù le parla con lo sguardo, con i piedini che scattano e con le mani che si muovono in uno slancio di affetto, quasi a volerla rassicurare del ruolo cui è stata destinata. Ho sempre amato molto questo dipinto perché con esso Lorenzo Lotto non si limita a suscitare dei sentimenti di amore. No, fa molto di più: lui lavora sui pensieri che scorrono dentro lo spettatore. Lorenzo Lotto risveglia la nostra interiorità invitandoci a fermarci davanti alla capanna dove si compie il mistero di Dio che si è fatto uomo. No, non possiamo rifiutarci.
10) Parmigianino, Natività con angeli, 1525
Decisamente particolare la Natività di Francesco Mazzola, detto il Parmigianino, uno degli esponenti di spicco della corrente manierista e della pittura emiliana in generale.
In questa Natività la capanna è pensata come una volta aperta al cui interno Maria stringe teneramente a sé il Bambino, con alle spalle San Giuseppe, il protettore, ritratto con le gambe accavallate, piegato in avanti in atto di adorazione. Tuttavia lo sguardo del santo è catturato da un giovane ragazzo che alza le braccia verso un angioletto che vola in alto in segno di sorpresa. Forse sarà lui stesso un angelo privo di ali? La rappresentazione si chiude con due anziani posti sullo sfondo nell’atto di conversare tra di loro.
La pittura morbida e sfumata, con impasti di colore densi, ed il complesso coordinamento della gestualità dei personaggi ci ricordano la pittura del Correggio.
LA NATIVITÀ NEL SEICENTO
11) Caravaggio, Natività con i santi Lorenzo e Francesco d’Assisi, 1600
L’opera fu commissionata a Caravaggio per celebrare il culto di san Lorenzo e di san Francesco, e venne collocata sull’altare dell’oratorio di San Lorenzo a Palermo dove rimase fino al 17 ottobre 1969. Perché nella notte tra il 17 e il 18 ottobre fu ahimè trafugata e non è stata ancora ritrovata.
In questa si straordinaria Natività si tocca con mano il realismo caravaggesco, il realismo di quel Michelangelo Merisi da Caravaggio che sceglieva come modelli per i suoi personaggi sacri, gente del popolo, scatenando, non l’ira divina, ma quella della Chiesa. Perché Caravaggio, e qui aggiungo, giustamente, diceva che Cristo era venuto al mondo per gli ultimi, per i diseredati, per gli uomini e le donne con i calli sulle mani… E dunque ecco la Vergine dalle fattezze di una donna del popolo (l’esatto opposto della delicatezza delle Madonne di un Filippino Lippi, tanto per citarne uno), stanca del parto, avvenuto da poco, con la testa piegata in avanti e il braccio sul grembo ancora dolorante. Il viso della Vergine è malinconico poiché presago del destino della creatura appena messa al mondo. Accanto a lei troviamo Giuseppe in una strana postura, con le spalle volte verso lo spettatore e le gambe nude in bella vista, che, avvolto in un manto verde dialoga con un pastore che si trova dietro la figura di san Francesco d’Assisi. Ed ecco in basso, adagiato su un piccolo giaciglio il Divino Bambino circondato dai due santi sulla destra e sulla sinistra da un pastore. E, infine, sopra il Bambino vi è un angelo planante, le cui braccia fungono da collegamento fra il cielo e la terra, fra il divino e l’umano, fra il Dio padre ed il Dio Figlio fattosi uomo. Ed a rendere ancora più chiara la gloria divina che quella notte aveva illuminato la terra, ecco un nastro retto dall’angelo con la scritta: GLORIA IN EXCELSIS DEO.
In questa Natività palermitana come in tutte le opere di Caravaggio i personaggi si staccano dallo sfondo scuro e la luce assume la funzione evidenziatrice colpendo quello che è più importante alla fine della trasmissione del messaggio… E allora ecco che la luce colpisce le braccia dell’angelo ad esplicitare la grandezza dell’evento: è nato il Figlio di Dio per redimere l’uomo dal peccato originale. Quel rapporto rotto da Eva si riallaccia grazie all’arrivo di quel Bambino.
12) El Greco, Natività,1597-1603
El Greco, pseudonimo di Domínikos Theotokópoulos, realizzò questo dipinto durante il suo ultimo periodo tolediano per la chiesa del vecchio ospedale della Carità di Illescas, dove ora si trova nel Santuario di Nostra Signora della Carità. Parliamo di un dipinto molto particolare, a partire dalla forma circolare della tela. El Greco semplifica la scena concentrandosi sulla nascita, eliminando la presenza dei pastori. Protagonisti, la Vergine, il Bambino e San Giuseppe. Al centro della scena, poggiato su un panno di un bianco risplendente, troviamo il Bambino quale fonte di luce che squarcia le tenebre che avvolgono la scena. El Greco vuole che lo spettatore si concentri sulla nascita di Gesù Cristo che consente all’uomo di conoscere la luce divina, quella luce emanata da Lui che squarcia le tenebre del peccato, divenendo la guida dell’umanità sulla strada della verità e della salvezza. Accanto al piccolo vediamo Giuseppe e Maria, che teneramente si appresta a coprire il Bambino, quasi sorpresa per l’energia da esso sprigionata. Piccola curiosità: il dipinto è stato realizzato per essere visto dal basso come si percepisce dall’originale intrusione della testa del bue in primo piano sotto i piedi di Maria. Perché questo è El Greco il primo maestro del Siglo de Oro di cui ravvisiamo in questa tela l’influsso del fattore luministico di Tintoretto.
13) La natività fiamminga: Gherardo delle Notti, 1619-20
L’Adorazione del Bambino di Gerrit Van Honthorst, detto anche Gheraldo delle Notti, probabilmente realizzata nel 1620, è il dipinto che più di ogni altro trasmette la magia unica della notte di Natale, magia resa grazie ad un’atmosfera ovattata, frutto di un uso della luce straordinario, pacato, armonicamente raffinato. Il Bambino appena nato è posto al centro della scena, in una mangiatoia, adagiato su un panno bianco da cui si propaga la luce divina che accarezza i volti di Maria, di Giuseppe e di due angeli che gli stanno intorno, in adorazione.
In questo dipinto, che adoro, tutto è umana commozione.
14) Georges de La Tour, Adorazione dei pastori, 1645
Il nome di questo dipinto compare per la prima volta nell’inventario, redatto nel 1653, della collezione del governatore della Lorena… Poi se ne persero le tracce fino al 1924 quando riapparve nel mercato come opera di artista ignoto. Dopo tutta una serie di peripezie fu acquistata dal museo del Louvre, dove la si può vedere, e venne identificato l’autore in Georges de La Tour.
Ma chi è De la Tour? De la Tour è artista che visse ed operò in Lorena. Finissimo osservatore della realtà quotidiana, con il suo gusto per il naturalismo, ed una particolare attenzione ai giochi di luce e ombre, fu in Francia uno dei più originali continuatori della scuola del Caravaggio. Tuttavia come asserisce lo scrittore e politico francese André Malraux, La Tour, rispetto a Caravaggio “interpretava la parte serena delle tenebre”. E concludeva dicendo “Ci voleva il suo genio per concepire un Caravaggio trasparente”. Le opere di De la Tour sono caratterizzate da una grande maestria nella gestione delle fonti di luce. Tipica dei suoi dipinti è l’ambientazione in interni illuminati da una semplice candela, modalità molto applicata in Italia agli inizi del Seicento e diffusasi poi in tutta Europa. L’Adorazione dei pastori raffigura il momento in cui questi arrivano a Betlemme per adorare il Salvatore del mondo, subito dopo aver appreso la notizia della sua nascita. Un dipinto che ci presenta al centro un neonato addormentato, stretto nelle fasce, disteso su un giaciglio di paglia e guardato con dolcezza da un tenero agnellino.
Ed è questo neonato a calamitare l’attenzione di cinque personaggi disposti a semicerchio, un semicerchio che partendo da Maria con le mani giunte, e attraverso tre contadini abbigliati con gli abiti tradizionali della Lorena, arriva a Giuseppe che tiene in mano una candela. Tutti adorano il Bambino e la luce della candela che lo illumina ha un che di divino. È una luce che conferisce al dipinto serenità, pacatezza, gioia. Nulla rimanda alla Passione di Cristo. C’è solo la luce della sua nascita. A rafforzare questo senso di pacatezza contribuisce la solidità dei corpi, corpi che paiono bloccati quasi a voler rendere eterno l’evento sacro. La semplificazione delle forme e la luce che illumina solo la parte centrale della composizione, facendo risaltare il corpo della Vergine e del Bambino e lasciando in penombra gli altri personaggi, conferiscono alla scena una sorta di astrazione, a dispetto dei tanti elementi che la legano alla realtà. Un’opera silenziosa proposta in modo semplice, essenziale, verrebbe da dire antibarocco, senza angeli, nuvole, aureole, pose estatiche, stelle, asino e bue.
Questa è la Natività per Georges de La Tour.
15) Carlo Maratti, Notte santa (Natività), 1650
Decisamente interessante la Natività di Carlo Maratta, realizzata nel 1650 e custodita a Roma nella chiesa di San Giuseppe dei Falegnami. Un’opera di una modernità straordinaria per il suo linguaggio pittorico. Carlo Maratta fu una figura centrale della pittura romana ed italiana della seconda metà del Seicento, che si trovò in un periodo in cui il linguaggio artistico era in bilico tra il barocco ed il naturalismo di Annibale Carracci. Ma la capacità di fondere entrambi gli stili dando loro un tocco personalissimo, fa di Carlo Maratta una sorta di portavoce della modernità.
La Natività realizzata a soli 25 anni fu l’opera che lo rese famoso, segnando l’inizio della sua maturità artistica.
Si tratta di un’opera atipica in cui scompaiono i personaggi presenti nelle altre iconografie della Natività, a partire da San Giuseppe. Il dipinto ritrae in primo piano la Vergine Maria che tiene in braccio con grande dolcezza il Bambino appena nato Intorno a lei ci sono 5 angeli che guardano adoranti il nuovo arrivato. La Natività di Maratta si condensa nel rapporto tra madre e figlio. La dolcezza dello sguardo della Vergine mette in rilevo questo legame, un legame più umano che sacro, esaltato dalla luce divina che avvolge madre e figlio. Si è compiuto un miracolo che gli angeli stanno ammirando. Eppure ho la sensazione di essere lì, catturata da quella luce. Con la morbidezza delle pennellate degli incarnati, con la delicatezza cromatica, con il gioco della luce che crea un sapiente chiaro-scuro tra la scena in primo piano e lo sfondo Carlo Maratta supera il linguaggio barocco, dipingendo la delicatezza.
16) La natività di Giovanni Battista Tiepolo, 1732
Siamo in pieno Rococò, evoluzione del tardo Barocco. E Tiepolo in questa Natività, come in tutte le sue opere riesce a sublimare la leggerezza e l’eleganza. Questo dipinto è intriso di una grazia eterea. Come si può vedere l’uso del colore e quello della luce sono letteralmente magistrali. Tiepolo utilizza la luce in modo dinamico, creando effetti luminosi che illuminano la scena rappresentata. La luce radente evidenzia dettagli e contribuisce a dare vita alle figure, conferendo loro una sorta di radiante leggiadria. Basta osservare le figure della Vergine, di San Giuseppe e degli angeli dalla gestualità elegante e dalle pose graffianti.
Questo senso di movimento conferisce alle scene un’energia palpabile, rendendo questo dipinto coinvolgente e quasi animato.
17) William Blake, Natività, 1790-1800
Davvero particolare è la Natività del poeta, pittore e incisore britannico William Blake. Una personalissima rivisitazione dell’iconografia tradizionale. Tutto in questa piccola tempera su rame è teso a sottolineare la natura miracolosa della nascita di Gesù. Vediamo Giuseppe sorreggere una Maria svenuta mentre Gesù balza fuori dal suo grembo e aleggia sopra la mangiatoia. A ricevere Gesù c’è Santa Elisabetta, l’anziana cugina della Vergine, nel cui grembo riposa il figlio Giovanni Battista. Nella finestra risplende qualcosa, sembra una stella, e invece no, è una croce collegata dalla luce con le braccia del Bambino Gesù, braccia tese che prefigurano la sua Crocifissione.
Questo dipinto fa parte di una serie di illustrazioni bibliche che Blake realizzò per Thomas Butts, un impiegato del War Office Department of Mustering e un importante sostenitore dell’arte di Blake.
18) Sir Edward Coley Burne-Jones, La Natività, 1888
La Natività è uno dei due dipinti più imponenti dell’artista preraffaellita Edward Burne-Jones, del quale abbiamo già parlato in precedenza. Quest’opera fu commissionata a Burne-Jones nel 1887 per valorizzare il coro della chiesa di San Giovanni Apostolo a Torquay, in Inghilterra.
La chiesa è opera dell’architetto George Edmund Street che la progettò in stile neogotico poco più di vent’anni prima della commissione richiesta a Burne-Jones. La decorazione di San Giovanni Apostolo è opera di Morris & Co., l’azienda di arti decorative di cui Burne-Jones era socio.
Di qui la scelta di affidare a Burne-Jones la realizzazione della Natività. L’artista dipinge Maria sdraiata su di un grande mangiatoia ricoperta da un lenzuolo bianco, nell’atto di stringere a sé, in modo dolce e protettivo, il Bambino, avvicinandolo al suo volto, mentre Giuseppe guarda.
Sulla sinistra troviamo tre angeli con in mano i simboli della Passione: la corona di spine, un calice ed un contenitore con la mirra. Nella parte alta del dipinto, sopra le colline che fanno da sfondo troviamo un’iscrizione in latino, tratta dal Salterio gallicano, esattamente Salmo 11, versetto 6 che recita: PROPTER MISERIAM INOPUM ET GEMITUM PAUPERIS NUNC EXSURGAM DICIT DOMINUS [“A causa della miseria dei poveri e del gemito dei bisognosi, ora mi alzerò, dice il Signore”].
Decisamente originale la Natività di Edward Burne-Jones, permeata di quell’eleganza che contraddistingue la pittura dei Preraffaelliti… L’eleganza della Vergine e della mangiatoia su cui è stesa, che fa pensare ad un letto, così diversa da quella della tradizione. L’eleganza delle figure angeliche.
Un’eleganza che attenua il dolore che arriverà nel futuro di quel Bambino, come ci ricordano i simboli della passione retti dagli angeli.
19) Pietro Bugiani, Natività (La sera), 1928
Parliamo ora della Natività del pistoiese Pietro Bugiani, uno di quei giovani talentuosi facenti parte di un gruppo chiamato Cenacolo che rinnoverà gli stilemi della pittura locale, distaccandosi dalle rigide regole accademiche. Mentore del gruppo l’architetto Giovanni Michelucci che farà avvicinare Bugiani alla pittura di Giotto. E qui lascio la parola a Michelucci (parole che si riferiscono al suo rapporto con Bugiani): “Oramai rare sono le occasioni che ci consentono di riprendere i nostri colloqui, le nostre passeggiate, le nostre scoperte, l’avvicendarsi delle stagioni, che cosa rappresenti per noi questo dialogo continuo della pittura con la natura, il nostro continuo riferirsi a Giotto che ci ha formato umanamente e culturalmente, che ci ha fatto comprendere il senso e l’unità degli spazi e delle forme…”. Ma Pietro Bugiani soggiornerà spesso a Torino dove avrà modo di conoscere Felice Casorati. Quello con Casorati sarà un incontro molto fruttuoso per l’artista.
E nella sua Natività, realizzata nel 1928, ritroviamo la sintesi che caratterizza sia la pittura giottesca che quella di Casorati. Una Natività che si discosta dalla tradizione per l’assenza della figura di San Giuseppe. Al centro della tela domina la figura della Vergine, avvolta in un manto rosso, inginocchiata nell’atto di adorare il Bambino posto, non su una mangiatoia, ma su una sorta di cesto. Sulla destra una piccola capanna e dietro la Vergine il bue e l’asinello. Sullo sfondo tre colline collegate in modo da rendere la profondità. Lo spettatore è calamitato dalla figura della Vergine grazie alla forte valenza cromatica del mantello e da lei l’occhio va subito al Bambino. Il messaggio è forte e immediato: l’amore materno che genera un miracolo, quello della nascita divina ed umana. La sintesi, a livello di linea, a livello cromatico, a livello di personaggi e cose presenti, fa di questo dipinto, a mio modesto parere, un vero capolavoro del Novecento. L’arte di Pietro Bugiani è la ricerca di un’arte interiore che ambisce a valori superiori.
20) Gerardo Dottori, Natività, 1930
Questo viaggio nel mondo della Natività nell’Arte, si conclude con la Natività dell’umbro Gerardo Dottori, famoso pittore della seconda stagione futurista e maestro dell’Aeropittura. Dottori nel 1911 si recò a Roma dove, dopo aver conosciuto Giacomo Balla, aderì al Futurismo. La sua esperienza futurista proseguì negli anni a venire. Nel 1926 tornò a Roma dove rimase fino al 1939 ed in questo periodo strinse stretti rapporti con Filippo Tommaso Marinetti del quale divenne di fatto, il portavoce. Questo futurista perugino della metà degli anni Venti non fu soltanto il protagonista più stimato dell’Aeropittura (declinazione pittorica del futurismo che fedele al mito della macchina e della modernità tipico del movimento marinettiano, esalta il potere dell’aereo, del volo), ma anche dell’Arte Sacra Futurista. Dire Futurismo equivale a dire Modernità, ed è appunto nell’intento di modernizzare tutti i settori della produzione artistica che i futuristi si impegnarono anche nel rinnovamento della pittura di soggetto religioso. E nel 1931 fu redatto il Manifesto dell’Arte Sacra Futurista (anche in questo i Futuristi rispettarono il significato del loro nome, redigendo Manifesti programmatici per ogni settore dell’Arte), nel quale Marinetti e Fillia definiscono Gerardo Dottori “il primo futurista che rinnovò con originale intensità l’arte sacra”. Definizione decisamente calzante se esaminiamo la Natività di Dottori, presentata a Roma in occasione della I Mostra Internazionale d’Arte Sacra del 1930. L’artista umbro rivisita questa iconografia della religione cristiana con un linguaggio che definire innovativo è un eufemismo. La Vergine, il Bambino e San Giuseppe, collocati all’interno di una minuscola capanna, sono investiti da un cono di luce spiovente dall’alto, le cui diagonali si congiungono con le linee curve, che ripetendosi restituiscono in modo estremamente sintetico lo sfondo paesaggistico.
Tutto è movimento: persino le aureole dei tre protagonisti si espandono in cerchi concentrici generando movimento. A livello cromatico domina il blu in varie declinazioni da cui si stacca il cono di luce proveniente dall’alto. Questo incantevole, quanto particolare paesaggio notturno, è una sorta di sunto delle caratteristiche della pittura di Dottori, come la visione dall’alto, risultante della sua esperienza nell’ambito dell’aeropittura, mescolata ad un sentire spirituale e contemplativo della natura circostante, di francescana memoria… Insomma, Gerardo Dottori nella sua Natività riesce a creare un affascinante equilibrio fra tradizione e modernità.
In questo viaggio abbiamo visto in quanti modi il tema della Natività in pittura susciti emozioni nello spettatore. Cambiano le modalità e le tecniche, ma non l’emozione che si prova ammirando una Natività. Sicuramente ognuno di noi sarà più attratto da un dipinto e non da altri, ma resta il messaggio: l’essere umano è sensorialità… Che umani saremmo senza provare nulla? Ed in un clima inquietante in cui si sta facendo largo sempre di più il mito dell’intelligenza artificiale, a fine lezione ho mostrato ai ragazzi l’immagine della Natività di Lorenzo Lotto rivisitata ed ho chiesto loro:
ED ORA VOGLIAMO UN GESÙ BAMBINO ANDROIDE?
VOGLIAMO CHE L’INTELLIGENZA ARTIFICIALE SI SOSTITUISCA ALL’UMANO E AL DIVINO?
E devo dire che la risposta è stata:
“Noooooooooooooo Prof.”
“Anche dopo l’invenzione di internet, gli strumenti magici per abolire le distanze di spazio e di tempo non sono le chat o le note vocali o i social: sono le emozioni” (Fabrizio Caramagna)