Minima Cardiniana 340/4

Domenica 22 agosto 2021, San Fabrizio

ANCORA SUL “COVID” (E SUL SUO CONTESTO SOCIOCULTURALE)
L’epidemia ha messo a nudo uno dei tanti aspetti del nostro ormai demenziale modo di vivere e di pensare. Quello che almeno nell’ultimo mezzo secolo è stato per “noialtri occidentali” il tempo del “balzo in avanti” del “progresso” e della “qualità della vita” ci ha fatto cedere di nuovo, mutatis mutandis ma in pieno, in quella che a suo tempo è stata la trappola tesa dall’Antico Serpente ai nostri Progenitori secondo il Genesi: nell’ Eritis sicut Dei. Anni fa Berlusconi vi aveva preavvertito che, quanto a lui, avrebbe vissuto fino a 140 anni: glielo augurammo e continuiamo a farlo. Nel frattempo, però, lo abbiamo seguito e poi addirittura sorpassato. Abbiamo cominciato a pensare – magari senza dichiararlo – che progresso sociale, scoperte scientifiche e qualità della vita ci avrebbero addirittura consentito – antica utopia – di sconfiggere la morte e di divenire immortali. E dal momento che essa era divenuta l’unica nostra vera paura in un universo mentale individuale e collettivo svuotato di tutto il resto, ci siamo dati a negarla, a camuffarla, a illuderci di poterla davvero ingannare.
Il Covid è stato un duro risveglio che ci ha posti dinanzi a una realtà prima d’ora sconosciuta o evitata: la morte, scacciata dalla porta dei nostri orizzonti culturali (non credo sia più il caso di definirli “spirituali”), è rientrata in noi tutti dalla finestra dell’inconscio ed è divenuta una padrona assoluta; eliminata dai rituali sociali e confinata nel limbo delle “cose” delle quali non si deve pronunziare la “parola” che le designa, si è impadronita della nostra fantasia e del nostro inconscio popolandoli di incubi di terrore, di violenza, di Fine di Tutto. Questa “morte inselvaggita”, fuggita dal recinto che la Modernità le aveva costruito attorno, oggi infuria spietatamente. È necessario “addomesticarla” di nuovo, come fanno da sempre tutte le culture tradizionali e come facevamo anche noi, prima della “Grande Apostasia” consumata fra Cinque e Settecento e divenuta irreversibile nel XX secolo dopo la breve, ambigua reazione romantica.
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